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Revoca lavoro pubblica utilità: onere del PM

La Corte di Cassazione ha annullato un’ordinanza di revoca del lavoro di pubblica utilità. La sentenza chiarisce che l’onere di avviare la procedura esecutiva della pena sostitutiva grava sul Pubblico Ministero e non sul condannato. La semplice inerzia di quest’ultimo non può quindi essere considerata un inadempimento che giustifichi la revoca, se prima la Procura non ha compiuto gli atti di sua competenza.

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Pubblicato il 1 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Revoca lavoro pubblica utilità: a chi spetta avviare la procedura?

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 26253/2024, interviene su un tema cruciale della fase esecutiva della pena: l’avvio del lavoro di pubblica utilità. La decisione chiarisce in modo inequivocabile che l’onere di attivare la procedura non ricade sul condannato, bensì sul Pubblico Ministero. Una pronuncia che annulla la revoca del lavoro di pubblica utilità disposta da un giudice sulla base della sola inerzia del condannato, ristabilendo i corretti binari procedurali.

I Fatti del Caso

Il caso trae origine da un’ordinanza del Giudice per le indagini preliminari di Torino che, in funzione di giudice dell’esecuzione, aveva revocato la pena sostitutiva del lavoro di pubblica utilità applicata a un individuo tramite un decreto penale di condanna. La motivazione alla base della revoca era la mancata esecuzione della prestazione lavorativa.

L’interessato, tramite il suo difensore, ha presentato ricorso in Cassazione, sostenendo che la revoca fosse illegittima. A suo dire, non solo si era attivato per trovare un ente presso cui svolgere il lavoro, ma soprattutto, secondo la giurisprudenza consolidata, non spetta al condannato dare avvio alla fase esecutiva della pena.

La Decisione della Corte di Cassazione sulla revoca del lavoro di pubblica utilità

La Suprema Corte ha ritenuto il ricorso fondato e ha annullato l’ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Torino per un nuovo giudizio. Il Collegio ha stabilito che il giudice dell’esecuzione ha errato nel disporre la revoca basandosi sull’implicito presupposto che, una volta divenuta irrevocabile la condanna, fosse onere del condannato attivarsi per iniziare il lavoro di pubblica utilità.

Le Motivazioni: L’onere della Procura, non del Condannato

La Corte di Cassazione ha ripercorso in modo dettagliato la normativa e la giurisprudenza in materia, fornendo motivazioni chiare e lineari. Il punto centrale è che l’intero sistema processuale pone in capo al Pubblico Ministero, e non al condannato, l’impulso per la procedura esecutiva.

La Procedura Corretta

Secondo il D.Lgs. n. 274/2000, la sequenza procedurale è la seguente:
1. La cancelleria del giudice trasmette l’estratto della sentenza irrevocabile al Pubblico Ministero.
2. Il Pubblico Ministero emette l’ordine di esecuzione.
3. L’ordine, insieme all’estratto della sentenza, viene trasmesso all’organo di polizia competente (ufficio di sicurezza del Comune di residenza o, in mancanza, il comando dei Carabinieri).
4. L’organo di polizia notifica il provvedimento al condannato, ingiungendogli di attenersi alle prescrizioni.

Da questa sequenza, la Corte deduce che l’avvio del procedimento è un onere dell’autorità giudiziaria, non del condannato. Quest’ultimo può sollecitare la decisione o non opporsi, ma non è tenuto ad attivarsi autonomamente per individuare l’ente o avviare le pratiche.

L’Errore del Giudice dell’Esecuzione

Il giudice di merito ha commesso un errore fondamentale: ha considerato l’inadempimento del condannato come causa sufficiente per la revoca, senza prima verificare se il Pubblico Ministero avesse compiuto tutti gli atti necessari per mettere il condannato in condizione di svolgere il lavoro. In pratica, ha attribuito al condannato un obbligo che la legge non prevede, ignorando l’inerzia dell’organo pubblico preposto.

Le Conclusioni: Implicazioni pratiche della sentenza

Questa sentenza ha importanti implicazioni pratiche e riafferma un principio di garanzia fondamentale. Un condannato a una pena sostitutiva come il lavoro di pubblica utilità non può essere sanzionato con la revoca della misura a causa dell’inerzia o dei ritardi dell’apparato giudiziario.

In conclusione, prima di poter valutare un eventuale inadempimento del condannato, il giudice dell’esecuzione ha il dovere di accertare che la macchina della giustizia abbia fatto la sua parte, notificando formalmente l’ordine di esecuzione e l’ingiunzione a rispettare le modalità della pena. Solo dopo che questa procedura è stata completata, un’eventuale violazione da parte del condannato può diventare rilevante ai fini della revoca. In assenza di questo passaggio, la revoca è illegittima.

A chi spetta l’obbligo di avviare la procedura per lo svolgimento del lavoro di pubblica utilità?
Secondo la Corte di Cassazione, l’atto di impulso alla procedura esecutiva è di competenza del Pubblico Ministero, non del condannato.

La semplice inerzia del condannato giustifica la revoca del lavoro di pubblica utilità?
No, l’inadempimento del condannato non può essere desunto dal mero mancato svolgimento del lavoro. È necessario che l’autorità giudiziaria abbia prima avviato la fase esecutiva, notificando all’interessato l’ordine di esecuzione e le relative prescrizioni.

Cosa deve fare il giudice dell’esecuzione prima di revocare la pena sostitutiva?
Il giudice, prima di disporre la revoca, deve verificare se il Pubblico Ministero abbia adottato le necessarie iniziative per portare in esecuzione la sanzione, non potendo fondare la sua decisione sulla sola inerzia del condannato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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