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Revoca Lavoro di Pubblica Utilità: a chi spetta l’avvio?

La Corte di Cassazione ha annullato un’ordinanza di revoca del lavoro di pubblica utilità, stabilendo un principio fondamentale: l’onere di avviare l’esecuzione della pena sostitutiva spetta esclusivamente al Pubblico Ministero e non al condannato. La revoca è illegittima se il giudice non verifica preventivamente che l’ufficio di Procura abbia notificato al condannato l’ordine di esecuzione, con l’ingiunzione di attenersi alle prescrizioni. Il semplice mancato svolgimento dell’attività non è sufficiente a giustificare la revoca se la procedura non è stata ritualmente avviata.

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Pubblicato il 8 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Revoca Lavoro di Pubblica Utilità: A Chi Spetta l’Onere di Avvio?

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 12152 del 2024, affronta una questione cruciale in materia di esecuzione delle pene: a chi spetta l’iniziativa per l’avvio del lavoro di pubblica utilità? La risposta della Suprema Corte è netta e chiarisce che la revoca del lavoro di pubblica utilità non può essere disposta se il Pubblico Ministero non ha formalmente avviato la procedura esecutiva. Questo principio tutela il condannato da oneri non previsti dalla legge e riafferma il ruolo centrale del PM nella fase esecutiva.

I Fatti del Caso: Dalla Condanna alla Revoca della Pena

Il caso trae origine da una condanna per guida in stato di ebbrezza, per la quale era stata disposta la pena sostitutiva del lavoro di pubblica utilità. Tuttavia, l’attività non veniva mai svolta dal condannato. Di conseguenza, il Tribunale di Milano, in funzione di giudice dell’esecuzione, revocava la pena sostitutiva. La decisione del Tribunale si basava sul presupposto implicito che, una volta divenuta irrevocabile la sentenza di condanna, fosse onere del condannato stesso attivarsi per dare inizio alla prestazione lavorativa.

Il Ricorso in Cassazione e i Motivi della Difesa

Contro l’ordinanza di revoca, il condannato proponeva ricorso per cassazione, affidandosi a due principali motivi:

1. Violazione di legge: La difesa sosteneva che l’avvio della procedura di esecuzione è un compito esclusivo del Pubblico Ministero. Mancando un’iniziativa formale da parte di quest’ultimo, nessun inadempimento poteva essere imputato al condannato.
2. Vizio di motivazione: Si eccepiva inoltre che il mancato svolgimento del lavoro era incolpevole, sia per l’assenza di comunicazioni ufficiali sia a causa delle difficoltà oggettive legate alla pandemia virale dell’anno 2020.

Il Principio di Diritto sulla Revoca del Lavoro di Pubblica Utilità

La Corte di Cassazione ha accolto il primo motivo di ricorso, ritenendolo fondato e assorbente rispetto al secondo. I giudici di legittimità hanno ribadito che il sistema processuale vigente riserva al Pubblico Ministero l’impulso di ogni procedura esecutiva. È il PM, ai sensi dell’art. 655 del codice di procedura penale, a dover curare l’esecuzione di tutti i provvedimenti di condanna, incluse le pene sostitutive.

Il condannato, pur potendo sollecitare l’applicazione della pena sostitutiva o non opporvisi, non ha alcun obbligo di ‘auto-attivarsi’ per avviare la fase esecutiva.

Le Motivazioni

La Suprema Corte ha chiarito che il giudice dell’esecuzione, prima di disporre la revoca del lavoro di pubblica utilità, avrebbe dovuto compiere un accertamento fondamentale: verificare se il Pubblico Ministero avesse notificato al condannato il relativo ordine di esecuzione, con la contestuale ingiunzione di attenersi alle prescrizioni indicate nella sentenza. Questa notifica rappresenta l’atto di impulso che formalmente avvia l’esecuzione e pone il condannato nella condizione giuridica di dover adempiere.

Poiché tale verifica era mancata, il Tribunale ha errato nel sanzionare il ricorrente con la revoca della pena. La decisione si fondava su un presupposto giuridico errato, ovvero l’esistenza di un onere di iniziativa a carico dell’obbligato che non trova riscontro nella disciplina specifica né nei principi generali dell’esecuzione penale. La Corte ha richiamato una consolidata giurisprudenza secondo cui il condannato non è tenuto ad avviare autonomamente il procedimento per lo svolgimento dell’attività lavorativa.

Le Conclusioni

In conclusione, la Corte di Cassazione ha annullato l’ordinanza impugnata e ha rinviato il caso al Tribunale di Milano per un nuovo giudizio. Quest’ultimo dovrà attenersi al principio di diritto enunciato: la revoca del lavoro di pubblica utilità per inadempimento è legittima solo se è provato che l’iter esecutivo sia stato correttamente avviato dal Pubblico Ministero attraverso la notifica dell’ordine di esecuzione. La sentenza rafforza le garanzie procedurali per il condannato, ribadendo che gli oneri esecutivi gravano sugli organi dello Stato e non possono essere implicitamente trasferiti sul cittadino.

A chi spetta avviare il procedimento per lo svolgimento del lavoro di pubblica utilità?
Secondo la sentenza, l’atto di impulso di ogni procedura esecutiva, inclusa quella per il lavoro di pubblica utilità, è riservato esclusivamente al Pubblico Ministero.

Il condannato ha l’obbligo di attivarsi autonomamente per iniziare il lavoro di pubblica utilità una volta che la sentenza è definitiva?
No, la sentenza chiarisce che sul condannato non grava l’onere di avviare il procedimento. Egli non è tenuto ad attivarsi per indicare l’ente o la struttura presso cui svolgere l’attività, ma deve attendere la formale comunicazione dell’ordine di esecuzione.

È legittima la revoca del lavoro di pubblica utilità se il Pubblico Ministero non ha notificato l’ordine di esecuzione al condannato?
No, non è legittima. Il provvedimento di revoca deve essere annullato se è stato emesso in assenza dei necessari accertamenti volti a verificare la previa notificazione all’interessato dell’ordine di esecuzione, con contestuale ingiunzione di attenersi a quanto prescritto in sentenza.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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