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Revoca lavori pubblica utilità: l’onere è del PM

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 3708/2024, ha annullato la revoca dei lavori di pubblica utilità disposta da un Giudice dell’esecuzione. La Corte ha stabilito che la mancata comunicazione tra l’ente di servizio e l’ufficio di sorveglianza (UEPE) non può essere imputata al condannato. La responsabilità di avviare e supervisionare la procedura esecutiva della pena spetta infatti al Pubblico Ministero. Pertanto, una revoca basata su una presunta inerzia del condannato, non provata, è illegittima.

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Pubblicato il 27 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Revoca Lavori Pubblica Utilità: La Cassazione Chiarisce le Responsabilità

La Corte di Cassazione, con una recente sentenza, interviene su un tema cruciale della fase esecutiva della pena: la revoca dei lavori di pubblica utilità. Questa decisione stabilisce un principio fondamentale: il condannato non può subire le conseguenze negative di un’inerzia procedurale che non gli è imputabile. Spetta infatti al Pubblico Ministero, e non al singolo, l’onere di dare impulso alla procedura per lo svolgimento della sanzione sostitutiva.

I Fatti del Caso

Una persona, condannata con sentenza del 2021, aveva ottenuto la sostituzione della pena detentiva (sei mesi di arresto e duemila euro di ammenda) con lo svolgimento di lavori di pubblica utilità. Successivamente, il Giudice per le indagini preliminari (GIP), in funzione di giudice dell’esecuzione, revocava tale beneficio, ripristinando la pena originaria e la sanzione accessoria della sospensione della patente per due anni.

La revoca era stata motivata dalla presunta inerzia della condannata, desunta dalla mancanza di comunicazioni da parte dell’ente presso cui i lavori dovevano essere svolti all’Ufficio di Esecuzione Penale Esterna (UEPE). Contro questa decisione, la condannata ha proposto ricorso in Cassazione, sostenendo di aver svolto diligentemente i lavori, come documentato da attestazioni prodotte, e che nessuna notizia negativa era mai pervenuta dall’UEPE.

La Decisione della Corte di Cassazione sulla revoca dei lavori di pubblica utilità

La Suprema Corte ha accolto il ricorso, annullando l’ordinanza del GIP e rinviando il caso per un nuovo esame. Il cuore della decisione risiede nella corretta interpretazione delle norme che regolano l’esecuzione dei lavori di pubblica utilità. I giudici hanno chiarito che la configurazione normativa dell’istituto affida al giudice della cognizione il potere di applicare la sanzione sostitutiva e di definirne le modalità, ma l’avvio della procedura esecutiva è di competenza esclusiva del Pubblico Ministero.

Di conseguenza, il provvedimento di revoca dei lavori di pubblica utilità è stato ritenuto illegittimo perché ha sanzionato la condannata per una presunta inerzia, basandosi unicamente sulla carenza di comunicazioni tra l’ente e l’UEPE. Questo, secondo la Corte, non è sufficiente a dimostrare un inadempimento colpevole da parte della persona obbligata, la quale non ha l’onere di attivare la procedura.

Le Motivazioni

La Cassazione ha fondato il suo ragionamento su principi consolidati del sistema processuale penale. L’articolo 655 del codice di procedura penale stabilisce che è il Pubblico Ministero l’organo preposto a curare l’esecuzione di tutti i provvedimenti di condanna. Questo principio si estende anche alle sanzioni sostitutive, inclusi i lavori di pubblica utilità.

Il condannato può sollecitare l’applicazione della misura, ma non è tenuto ad attivarsi per indicare l’ente o per avviare la procedura esecutiva. L’onere di impulso è e rimane in capo all’ufficio del PM. Pertanto, il giudice dell’esecuzione ha errato nel far ricadere sulla condannata le conseguenze di una disfunzione burocratica o di una mancata comunicazione tra gli organi preposti alla vigilanza. La Corte ha sottolineato che un’eventuale revoca deve fondarsi su un accertamento positivo e concreto dell’inadempimento del condannato, che nel caso di specie mancava e, anzi, sembrava smentito dalla documentazione prodotta.

Le Conclusioni

Questa sentenza rappresenta un importante baluardo a tutela dei diritti del condannato nella fase esecutiva. Stabilisce chiaramente che la revoca dei lavori di pubblica utilità non può essere una misura automatica derivante da inefficienze del sistema. Per procedere alla revoca, è necessario dimostrare un comportamento colpevole e un inadempimento direttamente attribuibile al soggetto, non una semplice inerzia burocratica di terzi. La decisione riafferma la centralità del ruolo del Pubblico Ministero come motore dell’esecuzione penale, proteggendo il condannato da sanzioni sproporzionate per colpe non sue.

A chi spetta avviare la procedura per lo svolgimento dei lavori di pubblica utilità?
Secondo la Corte di Cassazione, l’atto di impulso alla procedura esecutiva è di competenza del Pubblico Ministero. Il condannato non ha l’onere di avviare il procedimento per lo svolgimento dell’attività.

La revoca dei lavori di pubblica utilità può essere disposta se l’ente non comunica l’andamento dei lavori?
No, la revoca è illegittima se si basa esclusivamente sulla carenza di comunicazioni da parte dell’ente presso cui si svolgono i lavori all’UEPE, in quanto tale circostanza non è sufficiente a dimostrare un inadempimento o un’inerzia colpevole da parte del condannato.

Cosa succede se il giudice revoca illegittimamente i lavori di pubblica utilità?
Il provvedimento di revoca può essere impugnato davanti alla Corte di Cassazione. Se la Corte ritiene il ricorso fondato, può annullare il provvedimento e rinviare gli atti a un diverso giudice per un nuovo esame della situazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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