Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 30274 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 30274 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 03/05/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a NAPOLI il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 14/12/2023 della CORTE APPELLO di NAPOLI udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto procuratore generale NOME COGNOME, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza emessa in data 29 dicembre 2023 la Corte di appello di Napoli, quale giudice dell’esecuzione, ha revocato l’indulto concesso a NOME COGNOME, nella misura di due anni, dieci mesi e sei giorni di reclusione, in relazione alla sentenza emessa dal giudice per le indagini preliminari di Avellino in data 03 marzo 2004, definitiva in data 30 novembre 2005, per avere egli riportato, in data 08 maggio 2019, una condanna definitiva a più di due anni di reclusione per un delitto non colposo, commesso in data 21 ottobre 2010.
La Corte ha respinto la tesi difensiva, secondo cui l’indulto non può essere revocato perché la pena irrogata con la sentenza emessa in data 03 marzo 2004 deve essere ritenuta estinta, essendo trascorso oltre un decennio dalla data di irrevocabilità della condanna e non ricorrendo la condizione ostativa di cui all’art. 172, settimo comma, cod.pen., dal momento che la condanna successiva è intervenuta dopo oltre dieci anni e la qualità di recidivo è stata accertata e dichiarata solo con quest’ultima sentenza, e quindi dopo più di un decennio.
Secondo la giurisprudenza di legittimità, infatti, il decorso del termine di prescrizione della pena, in caso di concessione dell’indulto, rimane sospeso, in quanto la sua esecuzione è subordinata all’eventuale revoca del beneficio, e inizia a decorrere solo dopo la revoca dell’indulto stesso, come stabilito dalla sentenza Sez. U, n. 2 del 30/10/2014, Maiorella.
Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso NOME COGNOME, per mezzo dei suoi difensori AVV_NOTAIO e AVV_NOTAIO, articolando un unico motivo, con il quale denuncia la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod.proc.pen., per l’erronea applicazione dell’art. 172 cod.pen., e la carenza o manifesta illogicità della motivazione.
L’ordinanza non motiva rispetto all’argomento sollevato dalla difesa, cioè la già intervenuta prescrizione della pena alla data del 30/11/2015, che ha reso la stessa ineseguibile a partire da quella data. La giurisprudenza di legittimità ha stabilito un principio opposto a quello affermato dal giudice dell’esecuzione, in quanto ha stabilito che la causa della revoca dell’indulto si concretizza con il passaggio in giudicato della condanna per il reato commesso nel quinquennio dall’entrata in vigore della legge, e non quando la revoca viene formalmente pronunciata.
La Corte di appello erra in quanto ritiene rilevante, ai fini prescrizionali, non la data di irrevocabilità della sentenza di condanna, ma la data in cui è intervenuta la concessione dell’indulto. Inoltre, la Corte ha omesso del tutto di motivare in ordine all’ulteriore argomento addotto, della irrilevanza della
condizione di recidivo perché accertata solo in relazione alla seconda condanna, divenuta definitiva dopo oltre il decennio.
Il Procuratore generale, con requisitoria scritta, ha chiesto il rigetto del ricorso.
Il ricorrente ha inviato una memoria di replica in cui afferma l’erroneità della conclusione della requisitoria, perché la sentenza in essa richiamata conferma il contenuto nel ricorso, quanto alla prescrizione della pena.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Esso non si confronta con l’ordinanza impugnata, in quanto ribadisce la tesi difensiva della non revocabilità dell’indulto, concesso in relazione alla sentenza emessa dal giudice per le indagini preliminari di Avellino in data 03 marzo 2004 e divenuta definitiva in data 30 novembre 2005, per essersi la relativa pena prescritta, a seguito del decorso dei dieci anni previsti dall’art. 172, primo comma, cod.pen.. Questa tesi è stata già ampiamente valutata dal giudice dell’esecuzione, che ha applicato correttamente il principio stabilito dalla legge, e confermato dalla giurisprudenza di legittimità, della non decorrenza del termine di prescrizione di una pena a cui sia stato applicato l’indulto, perché la sua esecuzione è sottoposta a condizione risolutiva, ed ha c:onseguentemente respinto detta tesi difensiva, spiegando perché quella pena non sia prescritta.
Una pena alla quale è stato applicato l’indulto non è eseguibile, e diviene tale solo in caso di revoca del beneficio: ad essa si applica, pertanto, il disposto dell’art. 172, quinto comma, cod.pen., secondo cui «se l’esecuzione della pena è subordinata … al verificarsi di una condizione, il tempo necessario per la estinzione della pena decorre dal giorno in cui … la condizione si è verificata». L’indulto, infatti, è un beneficio soggetto a condizione, in quanto può essere revocato al verificarsi delle condizioni previste dalla legge; la sua eventuale revoca costituisce, pertanto, la condizione a cui è subordinata l’esecuzione della pena a cui esso sia stato applicato. Sino all’eventuale verificarsi della predetta condizione, la pena rimane non eseguibile e la sua prescrizione non può decorrere, stante il chiaro dettato della norma sopra citata, da sempre ribadito dalla giurisprudenza di legittimità (si veda, tra le molte, Sez. 1, n. 1441 del 28/02/2000, Rv. 216007, nella parte in cui afferma che «Nell’ipotesi di indulto sottoposto alla condizione risolutiva della commissione di un nuovo
reato, il termine di prescrizione della pena deve farsi decorrere dal momento in cui, verificatasi la decadenza dal beneficio, la pena può essere concretamente posta in esecuzione»).
Tale principio è stato ribadito dalla sentenza Sez. U, sn. 2 del 30/10/2014, (dep. 2015), Maiorella, Rv. 261399, che nella parte motiva ha confermato che il termine di estinzione della pena, ai sensi dell’art. 172 cod.pen., decorre «dall’avverarsi della condizione risolutiva che costituisce il presupposto della revoca». Tale pronuncia ha poi precisato che «Nel caso in cui l’esecuzione della pena sia subordinata alla revoca dell’indulto, il termine di prescrizione della pena decorre dalla data d’irrevocabilità della sentenza di condanna, quale presupposto della revoca del beneficio». Il passaggio in giudicato della sentenza che accerta la commissione di un reato che impone la revoca dell’indulto concesso costituisce, infatti, l’avverarsi della condizione risolutiva che impediva l’esecuzione della pena indultata: tale pena diventa eseguibile a partire da quel momento, ed anche il termine per la prescrizione della sua eseguibilità decorre solo da allora.
Nel presente caso, pertanto, correttamente la Corte di appello ha ritenuto non estinta la pena indultata, ed ha revocato il beneficio concesso: la pena irrogata con la sentenza divenuta definitiva il 30 novembre 2005 è divenuta eseguibile solo con il passaggio in giudicato, avvenuto in datai 08 maggio 2019, della sentenza che ha accertato la commissione, nei cinque anni dall’entrata in vigore della legge n. 241/2006, di un nuovo delitto non colposo, punito con pena superiore a due anni di reclusione.
GLYPH Il ricorrente lamenta la carenza della motivazione dell’ordinanza impugnata quanto al tema della sopravvenuta prescrizione della pena indultata, ma il giudice dell’esecuzione, al contrario, ha ampiamente valutato il mancato verificarsi della prescrizione, in base all’art. 175, quinto comma, cod.pen.
Le obiezioni contenute nel ricorso, anche in merito alla inapplicabilità dell’art. 175, settimo comma cod.pen., sono pertanto irrilevanti, non avendo l’ordinanza impugnata applicato quest’ultima norma, né attribuito rilevanza alla data di concessione o di revoca dell’indulto, bensì deciso sulla base della interpretazione giurisprudenziale consolidata dell’art. 172, quinto comma, cod.pen., con la quale il ricorrente non si confronta.
Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile per mancanza di specificità: infatti «E’ inammissibile il ricorso per cassazione quando manchi l’indicazione della correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’atto di impugnazione, che non può ignorare le affermazioni del provvedimento censurato, senza cadere nel vizio di
aspecificità, che conduce, ex art. 591, comma primo, lett. c.), cod. proc. pen. all’inammissibilità del ricorso» (Sez. 1, n. 39598 del 30/09/2004, Rv. 230634; Sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019, Rv. 276970)
Sulla base delle considerazioni che precedono il ricorso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile.
Alla dichiarazione di inammissibilità segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186 della Corte costituzionale e in mancanza di elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende nella misura che si stima equo determinare in euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 03 maggio 2024
Il Consigliere estensore
Il Presidente