Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 3799 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 3799 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 12/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato a MILANO il 23/07/1961
avverso l’ordinanza del 12/07/2024 della CORTE APPELLO di LECCE
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
lette le conclusioni del PG, COGNOME che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza indicata in epigrafe, la Corte di appello di Lecce, in funzione di giudice dell’esecuzione, in accoglimento della richiesta formulata dal Procuratore Generale presso la Corte territoriale, ha revocato il beneficio dell’indulto che era stato concesso a NOME COGNOME con ordinanza del Tribunale di Pinerolo del 31/08/2010, in relazione alla pena di mesi 6 di reclusione ed C 600 di multa, applicata con sentenza del Tribunale di Monza del 11/03/2003, irr. il 18/09/2003, nonché con ordinanza del Tribunale di Pinerolo del 23/06/2010, in relazione alla pena di anni 2 e mesi 2 di reclusione ed C 800 di multa, applicata con sentenza della Corte di appello di Torino del 04/02/2008, irr. il 18/02/2010.
Il provvedimento emesso dalla Corte di appello di Lecce trae origine dall’aver riportato il condannatone GLYPH -vigerre~tjér= -31=~ –una condanna per delitto non colposo, a pena detentiva non inferiore ad anni due, essendo stato egli condannato, con sentenza della Corte di appello di Lecce del 10/09/2021, passata in giudicato il 15/07/2022, alla pena di anni 4 e mesi 10 di reclusione, per i delitti di cui agli artt. 416, 110 e 640 cod. pen., commessi dal maggio 2007 al 18/10/2010.
Ricorre per cassazione NOME COGNOME a mezzo del difensoré avv. NOME COGNOME deducendo due motivi, che vengono di seguito brevemente riassunti nei limiti strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo, viene denunciata violazione ed erronea applicazione della legge penale, rilevante ex art. 606, comma 1, lett. b) cod. proc. pen., in relazione agli artt. 172, comma 5, cod. pen. e 1 I. 241 del 2006.
Lamenta il ricorrente l’erroneità dell’impugnato provvedimento, che ha applicato la revoca dell’indulto senza considerare che le pene inflitte con le sentenze sopra menzionate,t erano da ritenersi estinte per decorso del tempo, ex art. 172 comma 5 cod. pen., dovendosi ritenere che il termine per la prescrizione della pena decorra dalla data di consumazione del reato, non da quello di irrevocabilità della sentenza di condanna.
2.2. Con il secondo motivo, viene sollevata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1 comma 3 I. 241 del 2006, nella parte in cui non prevede un termine entro il quale procedere alla revoca del beneficio dell’indulto, per contrasto con gli artt.117, comma 1, 24, 27comma 3 e 111 Cost.. In particolare, l’automatismo applicativo imposto dalla norma che prevede l’indulto è lesivo del diritto della difesa ex art. 24 Cost., dal momento che a coloro che avevano beneficiato dell’indulto non era stata data la possibilità di richiedere pene alternative in luogo del beneficio stesso; è quindi contraria ai principi costituzionali l’applicazione automatica di un beneficio, come già affermato nel caso del c.d. “indultino” di cui alla legge 207 del 2003, dalla Corte Cost. con sentenza
n. 255 del 2006).
Deve parimenti ritenersi contraria ai dettami costituzionali la previsione di legge che automaticamente revochi un beneficio concessotche sotto il profilo della violazione del principio di rieducazione del condannato ex art. 27 Cost., e della violazione del diritto a poter espiare la pena in tempi consoni rispetto al momento di emissione della sentenza di condanna: costituisce infatti pena degradante (in violazione degli artt. 3 e 6 Carta CEDU) quella irragionevolmente inflitta dopo un lungo lasso di tempo dalla intervenuta condanna.
Con requisitoria scritta il Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione, dott.ssa NOME COGNOME ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo è manifestamente infondato.
La correttezza della soluzione proposta dalla decisione avversata riceve conferma dalla pronuncia delle Sezioni Unite, che con sentenza n. 2/15 del 30/10/2014, dep. 2015, COGNOME, Rv. 261399, sul tema specifico posto dalla presente vicenda, ha affermato che «nel caso in cui la esecuzione della pena sia subordinata alla revoca dell’indulto, il termine di prescrizione della pena decorre dalla data d’irrevocabilità della sentenza di condanna, quale presupposto della revoca del beneficio».
Il passaggio in giudicato della sentenza che accerta la commissione di un reato che impone la revoca dell’indulto concesso costituisce, infatti, l’avverarsi della condizione risolutiva che impediva l’esecuzione della pena indultata: tale pena diventa eseguibile a partire da quel momento, ed anche il termine per la prescrizione della sua eseguibilità decorre solo da allora.
Nel presente caso, pertanto, correttamente la Corte di appello ha revocato il beneficio concesso con le sentenze divenute rispettivamente irrevocabili il 11/03/2003 e 18/02/2010, rispetto alle quali il termine decennale di estinzione ex art. 172 comma 5 cod. pen. decorreva dall’irrevocabilità della sentenza della Corte di appello di Lecce del 10/09/2021, passata in giudicato il 15/07/2022.
Del pari inammissibile, in quanto aspecifico e manifestamente infondato, è il secondo motivo di ricorso.
Va innanzitutto premesso come le doglianze mosse in ricorso avverso l’automaticità di applicazione del beneficio dell’indulto si appalesino del tutto aspecifiche, essendo il beneficio già stato applicato all’Esposito con ordinanze emesse nell’anno 2010, mai avversate dal prevenuto, e vedendosi nel caso in esame della revoca dei benefici in questione.
Quanto agli ulteriori profili di illegittimità costituzionale sollevati, va osservato che, come correttamente rilevato dalla Corte d’appello leccese, questa Corte (Sez. 1, n.
5565 del 21/11/1994, dep. 1995, COGNOME, Rv. 200407) già si è pronunciata sulla questione di legittimità costituzionale dell’art. 4 del d.P.R. 22 dicembre 1990 n. 394, che, al pari dell’art. 1, comma 3, I. n. 241 del 2006, prevedeva l’automatica revoca dell’indulto qualora il soggetto che ne aveva usufruito avesse commesso, entro cinque anni dalla data di entrata in vigore del medesimo d.P.R., delitto non colposo per il quale avesse riportato condanna a pena detentiva non inferiore a due anni, ritenendo manifestamente infondata l’eccezione di incostituzionalità e non configurabile il denunciato contrasto con gli artt. 3, 24, comma secondo, e 27, comma terzo, Cost..
Rileva poi il Collegio come, del tutto condivisibilmente il G.E. abbia osservato come, a fronte di un chiaro dettato normativo della legge istitutiva dell’indulto, che àncora ad un dies a quo preciso il termine a decorrere dal quale, per cinque anni, il condannato non deve commettere un delitto non colposo per il quale riporti una condanna detentiva a pena non inferiore ai due anni, la circostanza che l’accertamento della commissione di detto reato intervenga a distanza di molto tempo non si ponga in termini di contrasto all’ordinamento costituzionale: e ciò sulla base della incontrovertibile circostanza per cui, allorquando il condannato si determini a commettere un nuovo delitto, ha piena consapevolezza del fatto che il beneficio dell’indulto eventualmente concessogli potrà essergli revocato.
Quanto poi al ventilato contrasto con le finalità rieducative della pena, oltre che con i principi ex artt. 3 e 6 CEDU, allorquando la pena inflitta diventi eseguibile a distanza di un considerevole lasso di tempo rispetto all’accertamento definitivo di responsabilità, si rileva come la normativa sui benefici penitenziari garantisca che l’esecuzione della pena possa operare nell’ottica della rieducazione, dal momento che il condannato potrà usufruire, ricorrendone i presupposti, di tutte le eventuali forme di detenzione alternativa previste dalla normativa vigente.
Alla luce delle considerazioni che precedono, si impone la declaratoria di inammissibilità del ricorso; tale decisione postula la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché di una somma in favore della Cassa delle ammende, che si stima equo fissare in euro tremila.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle ‘ spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 12/11/2024