Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 34454 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 34454 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 19/06/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a LOCRI il DATA_NASCITA avverso l’ordinanza del 07/03/2024 della CORTE APPELLO di REGGIO CALABRIA udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del PG, COGNOME, che ha chiesto il rigetto del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza in data 7 marzo 2024, la Corte di appello di Reggio Calabria ha disposto la revoca del beneficio dell’indulto concesso a NOME COGNOME con ordinanza della Corte di appello di Reggio Calabria in data 04/05/2021 nella misura di anni tre di reclusione.
Ciò in quanto, per come accertato con la sentenza del 30/06/2021 della Corte di appello di Reggio Calabria, divenuta irrevocabile il 12/09/2023, COGNOME aveva commesso il reato di cui all’art. 416b1s cod. pen. dal 20/09/1995 fino al maggio 2010 e il reato di tentate lesioni personali, eseguite in armi, con l’aggravante dell’agevolazione mafiosa, commessi il 28/08/2008; tutti fatti commessi nel quinquennio successivo all’entrata in vigore della legge n. 241/2006 (01/08/2006).
Secondo i giudici calabresi, anche invocando l’orientamento della Cassazione che, ai fini della revoca in caso di commissione di reato permanente contestato in forma aperta, richiede l’accertamento della data di cessazione della condotta criminosa, dovevano considerarsi sussistenti i presupposti per la revoca alla luce del fatto che la sentenza irrevocabile il 12/09/2023 fa riferimento ad «un segmento successivo al 20/09/1995 fino al maggio 2010» e che i reati commessi con armi sono documentati nel 2008.
Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso il difensore di NOME COGNOME, articolando due motivi.
2.1 Con il primo motivo denuncia violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. in relazione all’inosservanza e/o all’erronea applicazione degli artt. 674 cod. proc. pen. e 1, comma 3, In. 241/2006.
La Corte di appello di Reggio Calabria non aveva tenuto conto del fatto che le condotte di cui all’art. 416b1s Cod. pen. e quelle relative ai reati fine commessi per agevolare l’associazione mafiosa erano già note al giudice dell’esecuzione con ordinanza della Corte di appello di Reggio Calabria in data 04/05/2021; in particolare quelle di tentate lesioni aggravate per le quali la statuizione era già passata in giudicato (essendo stato in quel procedimento disposto giudizio di rinvio su altri punti e in particolare sul periodo di permanenza della condotta associativa).
E’ stato quindi omesso l’accertamento sul fatto che il giudice dell’esecuzione aveva già ritenuto meritevole dell’indulto il COGNOME quando già vi era un giudicato sostanziale sulle condotte successive all’entrata in vigore della legge sull’indulto. E per questo l’ordinanza merita censura.
2.2 Con il secondo motivo denuncia violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. in relazione all’inosservanza e/o all’erronea applicazione degli artt. 674 cod. proc. pen. e 1, comma 3, I.n. 241/2006 e anche in ordine all’art. 2 cod. pen
Richiamando il principio di diritto posto da Sez. un. n. 40986 del 19/07/2018, che in tema di successione delle leggi penali, a fronte di una condotta posta in essere sotto il vigore di una legge penale più favorevole, deve avere applicazione la legge vigente al momento della condotta, la difesa sostiene che il tempus commissi delicti in relazione al reato associativo vada retrodatato in senso più favorevole al condannato al momento dell’adesione e non alla successiva protrazione; quanto ai reati fine, essi avevano comportato la pena di un anno e sei mesi di reclusione, inidonea a giustificare la revoca di diritto del beneficio.
Il Procuratore Generale ha chiesto il rigetto del ricorso, deducendo che non vi è prova che il giudice dell’esecuzione che ha disposto l’indulto avesse disponibilità degli atti relativi al giudizio di rinvio per trarne il dato de avvenuto passaggio in giudicato della condanna; quanto al reato associativo, ha evidenziato che esso è permanente e ai fini della revoca dell’indulto vale anche la condotta successiva all’adesione al sodalizio.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato e va pertanto respinto.
Con il primo motivo si lamenta che la revoca dell’indulto sia stata disposta in forza di presupposti già sussistenti e già conosciuti dal giudice dell’esecuzione che aveva concesso il beneficio e che non li aveva ritenuti idonei a precludere l’applicazione del beneficio.
Con ordinanza in data 04/05/2021, la Corte di appello di Reggio Calabria, quale giudice dell’esecuzione, aveva applicato l’indulto ai sensi della legge n. 241/2006 nella misura di anni sulla pena eseguibile a carico di NOME COGNOME in base ad un provvedimento di cumulo emesso dal Procuratore Generale a seguito del riconoscimento della continuazione tra una serie di condanne a suo carico.
Con il provvedimento impugnato, su richiesta dal Procuratore Generale presso la Corte di appello di Reggio Calabria, quella stessa Corte ha revocato l’indulto perché a carico di NOME COGNOME era stata emessa sentenza in data 30/06/2021, irrevocabile dal 12/09/2023, che la ha condannato per il reato di cui all’art. 416bis cod. pen., commesso dal 20/09/1995 fino al maggio 2010 e per il reato di tentate lesioni personali e per connesse condotte illecite in materia di armi, tutti aggravati dalla finalità di agevolazione mafiosa, commessi il 28/08/2008. La Corte ha disposto la revoca applicando l’art. 1, comma 3, legge n. 241/2006 che dispone: «Il beneficio dell’indulto è revocato di diritto se chi ne ha usufruito commette, entro cinque anni dalla data di entrata in vigore della presente legge, un delitto non colposo per I quale riporti condanna a pena detentiva non inferiore a due anni»
Osserva il ricorrente ché alla data del 04/05/2021 la medesima Corte di appello di Reggio Calabria che aveva revocato l’indulto, era a conoscenza della sentenza a carico di COGNOME in forza della quale è stato poi revocato l’indulto.
Ciò in quanto con sentenza in data 06/11/2017 la Corte di appello di Reggio Calabria lo aveva già ritenuto responsabile dei reati di cui all’art. 416bis cod. pen., di tentate lesioni personali e di armi, aggravate dalla finalità mafiosa, solo riducendo la pena inflitta ad anni undici di reclusione.
La Corte di Cassazione aveva annullato tale sentenza limitatamente all’individuazione del periodo di permanenza della partecipazione associativa, ma al momento in cui la Corte di appello di Reggio decideva la revoca, secondo la difesa, doveva considerarsi già formato il giudicato sul reato di partecipazione all’associazione (quantomeno in ordine all’adesione rimanendo aperto nell’ambito del giudizio di rinvio solo l’aspetto temporale della condotta) e soprattutto sugli altri reati di tentate lesioni e in materia di armi, per i quali si era cristallizza pena di un anno e otto mesi.
La causa ostativa quindi, secondo la difesa, sussisteva al momento dell’emissione dell’ordinanza di applicazione dell’indulto e quindi il beneficio non poteva essere revocato sulla base di quella stessa sentenza che ne avrebbe dovuto impedire la concessione.
In effetti, secondo la giurisprudenza di legittimità, «l’omessa valutazione, da parte del giudice, di un elemento decisivo risultante dagli atti sottoposti al suo esame al momento della decisione non costituisce un “novum” suscettibile di determinare il superamento della preclusione derivante dal cd. giudicato esecutivo, ma un errore, di fatto o di diritto, cui deve porsi rimedio con l’impugnazione, in difetto della quale si configura un’ipotesi di acquiescenza alla decisione» (Sez. 1, n. 47041 del 24/01/2017, Rv. 271453-01).
Tuttavia «il giudice dell’esecuzione può revocare il beneficio sulla base della considerazione di una causa ostativa preesistente al riconoscimento del condono, a condizione che la stessa non sia stata nota al giudice concedente e non abbia costituito oggetto di valutazione, anche implicita, da parte di quest’ultimo» (Sez. 1, n. 33916 del 07/07/2015, Rv. 264875-01); in relazione a tale principio, ribadito con più pronunce anche risalenti (sez. 1, n. 32857 del 12/06/2014, Rv. 260542; sez. 1, n. 40647 del 12/06/2014, Rv. 260358-01; sez. 1, n. 33528 del 07/07/2010, Rv. 247975-01), è stato esplicitato che la conoscenza da parte del giudice delle condanne ostative non può essere desumibile dal fatto che di esse vi era menzione in atti che potevano essere nella sua disponibilità, dovendosi tener distinta la possibilità di conoscenza dalla effettiva conoscenza e rilevando solo la seconda (Sez. 1, n. 11647 del 30/01/2008, Rv. 239712-01).
Nel ricorso la difesa deduce che la conoscibilità della sentenza derivava dal fatto che l’indulto era stato concesso dalla stessa Corte di appello di Reggio Calabria che aveva emesso la sentenza di condanna per il reato associativo e per i reati di tentate lesioni e connesse condotte in materia di armi, ma tale dato nulla può consentire di inferire sull’effettiva conoscenza del giudice che aveva valutato i presupposti per l’applicazione. Il ricorrente avrebbe dovuto provare l’effettiva conoscenza da parte del collegio che ha adottato l’ordinanza di concessione dell’indulto, se del caso producendo o offrendo in visione o anche
solo indicando gli atti di quel procedimento ed evidenziando da quale di essi si sarebbe potuto desumere con certezza la sussistenza di una sentenza già passata in giudicato a carico di COGNOME.
Ciò non risulta aver fatto il ricorrente e su tale profilo il ricorso che no allega gli atti del precedente procedimento di esecuzione risulta non osservante del principio di autosufficienza (Sez. 1, n. 48422 del 09/09/2019, Rv. 27779601).
Inoltre va comunque evidenziato che, anche a voler tenere conto del fatto processuale ritenuto rilevante dal ricorrente, e cioè il formarsi del giudicato sostanziale sui- fatti asseritamente commessi nel quinquennio successivo all’entrata in vigore della legge n. 241/2006, esso non avrebbe potuto incidere sulla decisione del giudice dell’esecuzione che ha concesso l’indulto.
La causa ostativa prevista dal sopra riportato comma 3 dell’art. 1 legge n. 241/2006 è integrata dalla commissione di un reato colposo e dall’irrogazione di una pena conseguente, che fin quando non è definitivamente con sentenza passata in giudicato non può essere valutata.
Anche a voler scomporre le condotte, come propone il ricorrente, e ad affermare quindi che l’intangibilità del giudicato si era consolidata su accertamento di responsabilità e pena con riguardo ai reati di tentate lesioni personali e connessi reati di armi e sulla relativa pena, profili non investit dall’annullamento, deve convenirsi che la sanzione inflitta per questi fatti non sarebbe stata valutabile perché la pena inflitta era pari a un anno e diciotto mesi, mentre la causa ostativa è integrata da una condanna a pena detentiva non inferiore a due anni.
3. Pure infondato è il secondo motivo che richiede di estendere anche al caso di specie nel quale l’adesione al sodalizio risale al 1995 il principio di dirit sancito da Sez. un., n. 40986 dei 19/07/2018, Rv. 273934, secondo il quale «nel caso in cui l’evento del reato intervenga nella vigenza di una legge penale più sfavorevole rispetto a quella in vigore al momento in cui è stata posta in essere la condotta, deve trovare applicazione la legge vigente al momento della condotta».
Secondo la difesa il provvedimento impugnato avrebbe dovuto tenere nel debito conto che la data di adesione al sodalizio contestata dal 1995 realizza la fattispecie di cui all’art. 416b1s cod. pen. e a nulla dovrebbe rilevare ai fini dell revoca dell’indulto che un segmento della condotta si sia protratta fino ai 2008.
La tesi difensiva non può essere accolta. Il principio posto dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione riguarda la diversa ipotesi in cui l’evento che compone la fattispecie di reato si realizza quando la condotta dell’autore del delitto si è gi
esaurita (si trattava in particolare di un’ipotesi in cui dalla condotta illecita di automobilista realizzata prima dell’entrata in vigore dell’art. 59851s cod. pen, era derivata la morte dell’infortunato quando tale fattispecie più grave era già vigente).
Si tratta quindi di una situazione diversa da quella.descritta dall’art. 416b1s cod. pen che prevede una condotta che non si esaurisce nell’adesione alla struttura criminale e che si realizza nel mantenimento della disponibilità nei confronti dell’associazione in tutto l’arco di tempo interessato dall’accertamento giudiziale.
Sicché la giurisprudenza di legittimità ha affermato anche di recente, con orientamento dal quale non si ha motivo di discostarsi che «In tema di revoca dell’indulto di cui alla legge 31 luglio 2006, n. 241, per la sussistenza di un delitto non colposo commesso nel quinquennio successivo alla data di entrata in vigore di tale legge, è sufficiente che, in caso di reato permanente, sia caduto nel quinquennio in oggetto un qualsiasi segmento del reato» (Sez. 1, n. 36866 del 03/02/2023, Rv. 285238-01 che per un caso analogo ha ritenuto immune da vizi l’ordinanza di revoca del beneficio a seguito dell’intervenuta condanna pe il reato di associazione di tipo mafioso accertato nell’anno 2003 fino alla data del 30 novembre 2007).
Il ricorso deve essere dunque respinto con le conseguenti statuizioni.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.