Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 22110 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 22110 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 02/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOMECUI 01N9OWD) nato a MIRDITE (ALBANIA) il 09/05/1974
avverso l’ordinanza del 09/01/2025 della CORTE APPELLO di MILANO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
lette le conclusioni del PG, NOME COGNOME che ha chiesto l’annullamento con rinvio dell’impugnata ordinanza.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza n. 26240 del 11/04/2024, la Prima Sezione di questa Corte ha annullato con rinvio, per difetto del contraddittorio a causa dell’invalidità della notifica di fissazione dell’udienza al difensore del condannato, l’ordinanza emessa il 14 dicembre 2024 dalla Corte di appello di Milano, che, quale Giudice dell’esecuzione, aveva, su richiesta del P.M., revocato l’indulto (concesso a NOME COGNOME con ordinanza del 23/03/2023 della medesima Corte di appello) sulla pena di anni 2 e giorni 26 di reclusione, inflitta con sentenza della Corte di appello di Milano del 06/12/2001 (irrevocabile il 17/01/2002), per avere il condannato riportato una condanna per delitto a pena superiore a due anni, entro cinque anni dall’entrata in vigore (01/08/2006) della legge 31 luglio 2006 n. 241.
Con l’ordinanza impugnata, la Corte di appello di Milano, quale giudice dell’esecuzione, decidendo in sede di rinvio dalla Cassazione, instaurato correttamente il contraddittorio, ha revocato l’ordinanza emessa dalla medesima Corte d’appello il 23/03/2023 nei confronti di NOME COGNOME ed ha respinto la richiesta formulata dal condannato di estinzione della pena di cui alla sentenza 06/12/2001, irr. il 17/01/2002.
Osservava il G.E. che l’ordinanza emessa il 14/12/2024, annullata dalla Corte di legittimità con la sentenza rescindente, aveva ad oggetto non già la richiesta del P.M. di revoca dell’indulto, bensì la richiesta del P.M. di revoca dell’ordinanza 23/03/2023, che aveva concesso al Nikolli l’indulto, nonostante il beneficio gli fosse già stato concesso il 05/10/2006 (con riferimento alla pena di cui alla sentenza 06/12/2001, irr. il 17/01/2002) e fosse stato revocato il 23/04/2014.
La Corte milanese, in sede rescissoria, ha quindi ritenuto fondata la richiesta del P.M., ed ha conseguentemente disposto la revoca dell’ordinanza 23/03/2023, avendo con essa il G.E. nuovamente concesso il beneficio dell’indulto, già in precedenza accordato al condannato e revocato.
Con riferimento alla richiesta formulata dalla difesa del condannato, di estinzione della pena inflitta con sentenza 06/12/2001, irr. il 17/01/2002, osservava il G.E. come la stessa fosse da disattendere dal momento che detta pena era già stata interamente scontata dal condannato.
Avverso detto provvedimento ha proposto tempestivo ricorso il condannato, a mezzo del difensore, avv. NOME COGNOME denunciando la violazione dell’art. 172 comma 1 cod. pen., per non avere il G.E. dichiarato estinta la pena inflitta con sentenza 06/12/2001, irr. il 17/01/2002.
La Corte milanese non ha infatti considerato che la medesima Corte aveva, il 23/03/2023, concesso l’indulto in relazione alla suddetta pena e che, avendo l’indulto «efficacia retroattiva ex tunc», COGNOME non poteva avere scontato la pena di anni 2 e giorni 26 di reclusione di cui alla sentenza 06/12/2001, irr. il 17/01/2002, proprio perché essa era stata indultata il 23/03/2023.
Prima ancora di verificare se l’indulto concesso fosse da revocare, il G.E. avrebbe dovuto valutare se la pena inflitta con la citata sentenza fosse estinta; né poteva ascriversi alcuna efficacia interruttiva all’intervenuta carcerazione, nel 2016, del Nikolli, in quanto avvenuta oltre dieci anni dopo l’irrevocabilità della sentenza.
GLYPH Il Sostituto Procuratore generale presso questa Corte, NOME COGNOME ha fatto pervenire requisitoria scritta con la quale ha chiesto l’annullamento con rinvio dell’impugnata ordinanza.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile in quanto generico, aspecifico e manifestamente infondato.
La Corte d’appello di Milano, con il provvedimento impugnato, ha correttamente revocato l’ordinanza emessa dalla medesima Corte d’appello il 23/03/2023 – di applicazione dell’indulto in relazione alla sentenza 06/12/2001 irr. il 17/01/2022 -, sul presupposto che detto provvedimento aveva, erroneamente, concesso nuovamente il beneficio dell’indulto, nonostante lo stesso fosse stato già concesso e revocato, il 23/03/2014, per la commissione, nel quinquennio, di ulteriore reato (di cui alla sentenza 29/11/2010, irr. il 13/11/2013).
L’impugnato provvedimento ha quindi respinto la richiesta di estinzione della pena (di anni 2 e giorni 26 di reclusione), di cui alla medesima sentenza 06/12/2001 irr. il 17/01/2022, in quanto la pena risultava essere interamente scontata.
Il ricorrente, omettendo di confrontarsi con la decisione dell’impugnata ordinanza, deduce (pag. 3 del ricorso), in termini del tutto eccentrici ed aspecifici, che «NOME non poteva avere scontato la pena per il reato di cui al numero 1 (quello di anni 2 e giorni 26) in quanto oggetto del provvedimento di indulto della Corte stessa del 23 marzo 2023».
Il ricorrente mostra di non dialogare con l’impugnata ordinanza dal momento che richiama il contenuto di un provvedimento (quello del 23/03/2023) revocato.
Quanto alla dedotta circostanza per cui la carcerazione del COGNOME è avvenuta dal 2016, ad oltre 10 anni dalla data di irrevocabilità della sentenza della quale si invoca
GLYPH
l’estinzione della pena
ex
art. 172 cod. pen., è appena il caso di osservare come il
decorso decennale della prescrizione della pena inflitta con la sentenza 06/12/2001
(irrevocabile il 17/01/2002), è cominciato a decorrere dal momento in cui si è
verificata la condizione per la quale è avvenuta la revoca dell’indulto (cfr. Sez. U, n.
2 del 30/10/2014, dep. 2015, COGNOME, Rv. 261399 – 01), ovvero, nel caso di specie
dal 13/11/2013, data della irrevocabilità della sentenza 29/11/2010; nel 2016,
pertanto, tale termine non era all’evidenza decorso.
3. GLYPH
Alla luce delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere
dichiarato inammissibile. Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186 della
Corte costituzionale e rilevato che – nella fattispecie – non ricorrono elementi che
possano indurre a ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in
colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria di
inammissibilità non può che conseguire, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la
condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento, oltre che al
versamento – in favore della Cassa delle ammende – di una somma che si stima equo
fissare in euro tremila.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso, il 2 aprile 2025
Corte di Cassazione – copia non ufficiale