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Revoca indulto: il reato permanente fa scattare il divieto

La Corte di Cassazione ha confermato la revoca dell’indulto a un condannato per un reato di associazione mafiosa. La sentenza stabilisce che, in caso di reato permanente, è sufficiente che una qualsiasi parte della condotta criminosa si collochi nel quinquennio successivo all’entrata in vigore della legge sul condono per giustificare la perdita del beneficio. Questa decisione chiarisce un punto fondamentale sulla revoca indulto per i reati che si protraggono nel tempo.

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Pubblicato il 4 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Revoca Indulto e Reato Permanente: Basta un Segmento di Condotta per Perdere il Beneficio

La recente sentenza della Corte di Cassazione, Prima Sezione Penale, affronta un tema cruciale in materia di esecuzione della pena: la revoca indulto nel caso in cui il condannato commetta un nuovo reato di natura permanente. Il principio affermato è chiaro: è sufficiente che anche solo una parte della condotta del reato permanente ricada nel quinquennio successivo alla legge di clemenza per far scattare la revoca del beneficio.

I Fatti del Caso

Un soggetto, precedentemente condannato, aveva ottenuto il beneficio dell’indulto previsto dalla Legge n. 241 del 2006. Successivamente, veniva condannato in via definitiva per il reato di associazione di tipo mafioso (art. 416-bis c.p.), commesso in un arco temporale definito dal 2002 al 2007.

La Corte d’Appello, in funzione di giudice dell’esecuzione, revocava l’indulto precedentemente concesso. La ragione risiedeva nel fatto che la condotta associativa si era protratta oltre il 1° agosto 2006, data di entrata in vigore della legge sull’indulto, ricadendo così nel quinquennio successivo, periodo ‘critico’ ai fini del mantenimento del beneficio.

Il condannato proponeva ricorso per cassazione, sostenendo che un precedente accertamento giudiziario avesse fissato la cessazione della sua condotta al 17 gennaio 2006, data anteriore all’entrata in vigore della legge, e che quindi non vi fossero i presupposti per la revoca.

La Decisione della Cassazione sulla Revoca Indulto

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, ritenendolo infondato e confermando la decisione della Corte d’Appello. Il cuore della decisione risiede nella natura del reato permanente e nelle modalità con cui la sua commissione nel tempo influisce sulla revoca del beneficio.

La distinzione tra contestazione ‘aperta’ e ‘chiusa’

I giudici hanno operato una distinzione fondamentale. Nel caso di un reato permanente a contestazione ‘aperta’ (cioè quando nel capo d’imputazione non è specificata una data di cessazione), spetta al giudice dell’esecuzione accertare quando la condotta sia effettivamente terminata per valutare la sussistenza dei presupposti per la revoca.

Nel caso di specie, invece, la contestazione era ‘chiusa’: la sentenza di condanna aveva accertato che il reato si era protratto dal 2002 al 2007. Questo dato temporale è vincolante per il giudice dell’esecuzione. Di conseguenza, non era necessario un nuovo accertamento, ma solo una verifica matematica.

Le motivazioni

La motivazione della Cassazione si fonda su un principio consolidato: per la revoca dell’indulto, è sufficiente che un ‘qualsiasi segmento’ della condotta di un reato permanente si collochi nel quinquennio successivo all’entrata in vigore della legge di clemenza. Poiché la condotta del reato associativo si era protratta fino al 2007, una porzione di essa (dal 1° agosto 2006 al 2007) ricadeva palesemente in questo arco temporale.

La Corte ha specificato che il ricorso del condannato si basava su affermazioni apodittiche e non si confrontava criticamente con il dato oggettivo della sentenza di condanna, che aveva fissato la permanenza del reato fino al 2007. L’imputato, inoltre, non aveva contestato tale specifica datazione nel giudizio di merito, rendendola definitiva e non più discutibile in sede di esecuzione.

Le conclusioni

La sentenza ribadisce la correttezza e la legittimità della revoca dell’indulto. La decisione rafforza un principio di rigore nell’applicazione dei benefici di legge: la clemenza concessa dallo Stato è condizionata a una successiva buona condotta, e la commissione di un grave reato, anche se iniziato prima della concessione del beneficio ma protrattosi nel periodo di ‘osservazione’, ne determina la giusta decadenza. Per i reati permanenti, non rileva quando la condotta è iniziata, ma se essa è proseguita nel periodo ostativo alla conservazione del beneficio.

Quando viene revocato l’indulto concesso dalla Legge n. 241/2006?
La revoca avviene se il beneficiario commette, entro cinque anni dalla data di entrata in vigore della legge (1 agosto 2006), un delitto non colposo per il quale riporti una condanna a pena detentiva non inferiore a due anni.

Come viene trattato un reato permanente ai fini della revoca dell’indulto?
Per un reato permanente, come l’associazione mafiosa, è sufficiente che un qualsiasi segmento della condotta illecita ricada nel quinquennio successivo alla data di entrata in vigore della legge sull’indulto per giustificarne la revoca.

Cosa significa che la contestazione del reato era ‘chiusa’?
Significa che la sentenza di condanna ha definito in modo preciso l’arco temporale in cui il reato è stato commesso, indicando una data di inizio e una di fine (nel caso specifico, dal 2002 al 2007). Questo dato è vincolante e non può essere ridiscusso in fase di esecuzione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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