Revoca Indulto e Reato Permanente: Quando la Data di Inizio è Decisiva
La recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 22613/2024) offre un importante chiarimento sulla revoca indulto in relazione ai reati permanenti, come la partecipazione a un’associazione mafiosa. La decisione sottolinea come la data di inizio della condotta criminosa, una volta accertata, sia il fattore determinante per la perdita del beneficio, respingendo argomentazioni meramente ipotetiche sulla possibile cessazione del reato.
I Fatti del Caso: La Revoca del Beneficio e il Ricorso
Il caso ha origine da un’ordinanza della Corte di Appello di Catanzaro, in funzione di giudice dell’esecuzione, che aveva revocato un indulto concesso a un soggetto. La revoca era motivata dalla commissione del delitto di partecipazione ad associazione di tipo mafioso, un reato la cui commissione era stata accertata a partire dal 10 ottobre 2006. Tale data ricadeva nel periodo di cinque anni durante il quale la legge sull’indulto (L. n. 241/2006) prevedeva la perdita del beneficio in caso di nuovi gravi reati.
Il condannato ha proposto ricorso per cassazione, basando la sua difesa su un unico motivo: l’erronea applicazione della legge e il vizio di motivazione. Secondo il ricorrente, il giudice dell’esecuzione non aveva specificato il momento esatto in cui egli avrebbe aderito al sodalizio criminoso. Poiché si tratta di un reato permanente, la difesa sosteneva che la cessazione della condotta criminale avrebbe potuto collocarsi in un momento antecedente o successivo al quinquennio rilevante ai fini della revoca.
La Questione del Reato Permanente e la Revoca Indulto
Il fulcro della questione legale risiede nella natura del reato permanente. A differenza dei reati istantanei, che si consumano in un unico momento, il reato permanente si protrae nel tempo. La difesa ha tentato di sfruttare questa caratteristica per creare incertezza sul momento della consumazione, suggerendo che essa potesse essere al di fuori del periodo critico di cinque anni.
La legge sull’indulto (art. 1, comma 3, L. n. 241/2006) stabilisce chiaramente che il beneficio è revocato se il condannato commette un delitto non colposo, per il quale riporti condanna, entro cinque anni dall’entrata in vigore della legge stessa. La sfida per la Corte era stabilire se un’ipotesi astratta potesse superare l’accertamento fattuale della data di inizio del reato.
Le Motivazioni della Corte di Cassazione
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile per manifesta infondatezza. I giudici hanno smontato l’argomentazione difensiva, definendola “meramente ipotetica” e non supportata da elementi concreti. La decisione impugnata, infatti, indicava con precisione la data di inizio della contestazione associativa: 10 ottobre 2006.
Questa data, hanno osservato i giudici, colloca “solidamente all’interno del range dei cinque anni” previsto dalla legge sull’indulto. La Corte ha inoltre evidenziato che, anche volendo considerare un’adesione successiva, la difesa avrebbe dovuto dimostrare uno scostamento temporale significativo (superiore a quattro anni e mezzo), un’ipotesi che contrasta con la logica comune e non supportata da alcuna prova.
In sostanza, la Cassazione ha stabilito che, di fronte a una data di inizio del reato accertata giudizialmente, non è possibile invocare la natura permanente del reato per creare un’incertezza fittizia sulla sua collocazione temporale ai fini della revoca indulto.
Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza
La sentenza consolida un principio di certezza del diritto nell’ambito dell’esecuzione penale. Stabilisce che, per la revoca di un beneficio come l’indulto, è sufficiente che la commissione del nuovo reato sia accertata all’interno del periodo di tempo ostativo. Le speculazioni sulla durata o sulla cessazione di un reato permanente non possono inficiare un dato fattuale già cristallizzato in una sentenza definitiva. La decisione ribadisce quindi che l’onere di provare circostanze eccezionali che modifichino la collocazione temporale del reato spetta alla difesa e deve basarsi su elementi concreti, non su mere ipotesi.
Quando può essere revocato un indulto?
L’indulto è revocato se il beneficiario commette, entro cinque anni dall’entrata in vigore della legge di concessione, un delitto non colposo per il quale riporta una condanna a una pena detentiva non inferiore a due anni.
In caso di reato permanente, come si determina se è stato commesso nel periodo che causa la revoca dell’indulto?
Si fa riferimento alla data di inizio della condotta criminosa così come accertata nella sentenza di condanna. Se tale data rientra nel quinquennio previsto dalla legge, il beneficio è revocato, a meno che la difesa non fornisca prove concrete di una diversa collocazione temporale.
Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile dalla Corte di Cassazione?
Il ricorso è stato ritenuto inammissibile perché le argomentazioni della difesa erano considerate puramente ipotetiche e non contestavano concretamente il fatto accertato che il reato associativo era iniziato il 10 ottobre 2006, data che rientra pienamente nel periodo di cinque anni rilevante per la revoca.
Testo del provvedimento
Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 22613 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 22613 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 07/03/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a CROPANI il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 06/11/2023 della CORTE APPELLO di CATANZARO
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME; lette/sptffe le conclusioni del PG D. brk 3..f2 cc. cAAJL. GLYPH C-CM C ” >19 22. 41 :70 Ote )-( c …4 2-CAL3
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IN FATTO E IN DIRITTO
Con ordinanza resa in data 6 novembre 2023 la Corte di Appello di Catanzaro quale giudice della esecuzione – ha disposto, nei confronti di COGNOME NOME, la revoca dell’indulto di cui alla ordinanza emessa il 5 novembre 2015. La revoca è ricollegata alla avvenuta commissione del delitto di partecipazione ad associazione mafiosa (a far data dal 10 ottobre 2006) giudicato con sentenza definitiva in data 9 marzo 2022 .
Avverso detta ordinanza ha proposto – nelle forme di legge – ricorso per cassazione COGNOME NOME. Il ricorso è affidato ad un unico motivo con cui si deduce erronea applicazione di legge e vizio di motivazione.
2.1 II ricorrente evidenzia che il giudice della esecuzione non ha specificato il momento in cui il COGNOME avrebbe aderito al sodalizio criminoso, il che impedisce di ritenere soddisfatto l’obbligo di motivazione. Trattandosi di reato permanente, ben poteva la cessazione della permanenza ricadere in un momento antecedente al 1 agosto del 2006 o posteriore al 1 agosto del 2011.
Il ricorso va dichiarato inammissibile per la manifesta infondatezza dei motivi addotti.
3.1 Ed invero le alternative indicate dal ricorrente sono meramente ipotetiche e non si confrontano con i contenuti della decisione, ove si afferma che la contestazione associativa decorre dal 10 ottobre 2006.
Si tratta di una data che pone l’inizio della consumazione solidamente all’interno dei cinque anni di cui all’art. 1 comma 3 della legge n.241 del 2006. Anche volendosi ipotizzare una adesione posteriore, la difesa avrebbe dovuto prospettare in modo concreto uno scostamento temporale superiore ai 4 anni e
del range mezzo, il che contrasta con la logica comune.
Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue di diritto la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento a favore della cassa delle ammende di una sanzione pecuniaria che pare congruo determinare in euro tremila, ai sensi dell’ art. 616 cod. proc. pen..
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle sp processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in data 7 marzo 2024
Il Consigliere estensore
Il Presidente