Revoca Indulto e Reato Continuato: La Cassazione Fa Chiarezza
L’istituto dell’indulto, misura di clemenza volta a condonare una parte della pena, è subordinato a precise condizioni. La sua violazione comporta conseguenze severe, tra cui la revoca indulto. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha affrontato un caso interessante, chiarendo come il vincolo della continuazione tra reati non possa salvare il condannato dalla perdita del beneficio. Analizziamo insieme la vicenda e i principi di diritto affermati.
Il Caso in Esame: La Revoca del Beneficio
Un soggetto, beneficiario di un indulto concesso in precedenza, si vedeva revocare tale beneficio a seguito di una nuova condanna. Il provvedimento di revoca, emesso originariamente nel 2019 e confermato dalla Corte d’appello di Roma con ordinanza del 11 dicembre 2024, si basava sulla commissione di un nuovo reato di tentata rapina aggravata. Per questo nuovo delitto, il condannato aveva riportato una pena di tre anni di reclusione.
Contro la decisione della Corte territoriale, il condannato, tramite il suo difensore, ha proposto ricorso per cassazione, lamentando un’errata applicazione della legge penale, in particolare delle norme sul reato continuato e sulla legge che disciplina l’indulto (L. n. 241/2006).
La Tesi Difensiva e la Revoca Indulto
La difesa del ricorrente sosteneva una tesi suggestiva: il nuovo reato di tentata rapina, pur commesso in epoca successiva alla concessione dell’indulto, era stato giuridicamente unito, tramite il vincolo della continuazione (art. 81 c.p.), a reati precedenti. Secondo questa linea argomentativa, il nuovo episodio criminoso non avrebbe dovuto essere considerato un fatto autonomo e successivo, idoneo a determinare la revoca del beneficio. In sostanza, si affermava che l’operazione di individuazione dei singoli reati e delle relative pene, necessaria per valutare il superamento dei limiti di legge per la revoca, non era stata correttamente eseguita dalla Corte d’appello.
Le Motivazioni della Corte di Cassazione
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendo la tesi difensiva infondata e le doglianze meramente ripetitive di quelle già correttamente respinte in appello. I giudici hanno chiarito un punto fondamentale: la revoca indulto opera secondo meccanismi precisi e non derogabili.
La legge n. 241 del 2006, all’articolo 1, comma 3, stabilisce che “il beneficio dell’indulto è revocato di diritto se chi ne ha usufruito commette, entro cinque anni dalla data di entrata in vigore della legge, un delitto non colposo per il quale riporti condanna a pena detentiva non inferiore a due anni”.
Nel caso di specie, il condannato aveva commesso il reato di tentata rapina aggravata in un’epoca successiva alla concessione del beneficio e nel quinquennio previsto dalla norma, riportando una condanna a tre anni di reclusione, quindi superiore al limite di due anni. Queste condizioni, oggettivamente verificate, hanno fatto scattare la revoca automatica (o “di diritto”).
Il punto cruciale della decisione risiede nell’autonomia dei reati ai fini della revoca. La Corte ha ribadito un principio consolidato: i reati, anche se uniti dal vincolo della continuazione, mantengono la loro individualità per determinati effetti giuridici. La “continuazione” è una fictio iuris che opera principalmente sul trattamento sanzionatorio, ma non cancella l’identità storica e giuridica di ciascun singolo reato. Pertanto, il fatto che il nuovo delitto sia stato unificato ai precedenti per la determinazione della pena complessiva non incide sulla sua natura di reato commesso “successivamente” alla concessione dell’indulto, attivando così la clausola di revoca.
Conclusioni: Le Implicazioni Pratiche della Decisione
L’ordinanza in esame rafforza la natura rigorosa delle condizioni per il mantenimento dei benefici di clemenza come l’indulto. La decisione sottolinea che il comportamento del condannato nel periodo successivo alla concessione del beneficio è l’elemento determinante. La commissione di un nuovo e grave delitto entro il termine di osservazione (cinque anni) dimostra una persistente pericolosità sociale che giustifica la perdita del beneficio. L’artificio giuridico del reato continuato non può essere utilizzato per eludere le conseguenze previste dalla legge per chi tradisce la fiducia accordatagli con la concessione dell’indulto. La sentenza conferma, quindi, che ogni reato va valutato singolarmente per verificare se le condizioni per la revoca siano state soddisfatte.
Commettere un nuovo reato legato in ‘continuazione’ con fatti precedenti può impedire la revoca dell’indulto?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che, ai fini della revoca dell’indulto, ogni reato mantiene la propria individualità e autonomia temporale. Il vincolo della continuazione non impedisce di considerare il nuovo reato come un fatto commesso successivamente alla concessione del beneficio, idoneo a causarne la revoca.
Quali sono le condizioni per la revoca di diritto dell’indulto previsto dalla Legge n. 241/2006?
La revoca è automatica se il beneficiario, entro cinque anni dalla data di entrata in vigore della legge, commette un delitto non colposo per il quale riporta una condanna a una pena detentiva non inferiore a due anni.
Perché il riconoscimento del reato continuato non ha influito sulla decisione di revocare l’indulto?
Perché il reato continuato è una finzione giuridica che incide principalmente sul calcolo della pena complessiva, ma non annulla l’esistenza storica e giuridica dei singoli reati. Per la revoca, conta il momento in cui il nuovo reato è stato commesso e la pena per esso inflitta, indipendentemente dai suoi legami con crimini passati.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 14134 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 14134 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 20/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a ROMA il 16/06/1970
avverso l’ordinanza del 11/12/2024 della Corte d’appello di Roma n
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Con l’ordinanza indicata in epigrafe, la Corte di appello di Roma – quale giudi dell’esecuzione – ha disatteso l’istanza formulata da NOME COGNOME che aveva domandato la revoca del provvedimento datato 10/06/2019, a mezzo del quale era stata disposta la revoca dell’indulto in precedenza concessogli.
Avverso questa ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il condannato, tramite il proprio difensore avv. NOME COGNOME deducendo vizio ex art. 606, comma 1, lett. b) co proc. pen., sotto il profilo della violazione degli artt. 81 cod. pen. e 1 legge 31 luglio 241. In ipotesi difensiva l’ordinanza in esame, pur essendo partita dalla corretta premes secondo cui – ai fini della revoca dell’indulto, nel caso di continuazione, andassero individ singoli reati e le relative pene, onde verificare il superamento del limite di pena per la rev diritto – non aveva poi in concreto compiuto tale operazione, emettendo il sopra indic provvedimento di rigetto.
Il difensore ha anche depositato memoria di replica, a mezzo della quale – ribadendo le doglianze esposte nell’atto di impugnazione – ha precisato come non siano state indicate l ragioni per le quali il principio richiamato nel provvedimento impugnato risolva la questi sollevata, consistente nel fatto che il reato che ha determinato la revoca dell’indulto non considerarsi, per un fatto sopravvenuto, commesso successivamente alla concessione del beneficio.
2. Il ricorso è da dichiarare inammissibile.
Invero, il provvedimento di revoca dell’indulto, confermato dalla ordinanza impugnata, s fonda sulla considerazione che il condannato ha posto in essere – in epoca posteriore, rispet alla concessione del beneficio e entro il termine di cinque anni, decorrente dalla data di ent in vigore della legge n. 241 del 2006 – un altro reato di tentata rapina aggravata, in relazio quale ha riportato una condanna alla pena di anni tre di reclusione ed euro 2.800,00 di mult Trattasi di un caso ricadente nel disposto di cui all’art. 1, comma 3 della legge n. 241 del secondo cui “il beneficio dell’indulto è revocato di diritto se chi ne ha usufruito commette, cinque anni dalla data di entrata in vigore della legge, un delitto non colposo per il quale condanna a pena detentiva non inferiore a due anni”. Noto è poi che i reati, pur se unit continuazione, mantengono a determinati effetti la propria individualità, elemento che depon univocamente per la infondatezza della tesi difensiva.
Il ricorrente oppone le considerazioni sopra riportate, che sono ripetitive di dogli già formulate dinanzi alla Corte distrettuale, che ha correttamente chiarito com riconoscimento del vincolo della continuazione, tra la sentenza che ha dato luogo alla avversa revoca e d altre precedenti, non incida sulla sussistenza delle condizioni atte a condurre revoca dell’indulto.
4. Consegue l’inammissibilità del ricorso, con conseguente condanna al pagamento spese processuali e – non ravvisandosi ipotesi di esonero – al versamento di una so
Cassa delle ammende, determinabile in tremila euro, ai sensi dell’art. 616 cod. proc.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento dell processuali e al versamento della somma di tremila euro alla Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 20 marzo 2025.