Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 44008 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 44008 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 15/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a ROSARNO il 04/07/1956
avverso l’ordinanza del 28/05/2024 della CORTE APPELLO di REGGIO CALABRIA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza indicata in epigrafe, la Corte di appello di Reggio Calabria – in funzione di giudice dell’esecuzione – ha revocato l’indulto concesso a NOME COGNOME relativamente:
alla sentenza del 26/01/2004 della Corte di appello di Reggio Calabria, che aveva confermato la sentenza emessa dal Tribunale di Palmi in data 22/10/2002, passata in giudicato il 23/03/2004, che aveva a sua volta condannato l’imputato alla pena di mesi quattro di arresto per il reato di cui all’art. 9 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, oggetto di indulto con ordinanza del 16/10/2006 della Corte di appello di Reggio Calabria;
alla sentenza del 25/11/2004 della Corte di appello di Reggio Calabria, che – in riforma della sentenza emessa dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Reggio Calabria del 08/05/2003, passata in giudicato il 08/02/2005 – aveva condannato l’imputato alla pena di anni uno e mesi sei di reclusione per il reato di cui all’art. 416-bis cod. pen. ed altro, pen così rideterminata con ordinanza della Corte di appello di Reggio Calabria del 11/06/2015, oggetto di indulto nella misura di mesi dieci di reclusione, concesso con ordinanza del 16/10/2006 della Corte di appello di Reggio Calabria.
1.1. Il provvedimento impugnato trae origine dall’avere il condannato commesso – entro il quinquennio decorrente dalla data di entrata in vigore della legge 31 luglio 2006, n. 241 – delitti non colposi, in relazione ai quali h riportato le condanne sub 5 e 6 del provvedimento di cumulo della Procura generale presso la Corte di appello di Reggio Calabria.
1.2. Con la medesima ordinanza, il Giudice dell’esecuzione ha disatteso le istanze difensive volte ad ottenere:
l’estinzione della pena di mesi quattro di arresto, per intervenuta prescrizione;
la fungibilità della pena già espiata riportata sub 1) del cumulo A) del provvedimento di esecuzione, quanto alla esecuzione della pena di cui alla sentenza sub 2;
il riconoscimento del vincolo della continuazione della pena riportata sub 2) con le sentenze indicate nel provvedimento della Corte di appello di Reggio Calabria del 11/06/2015, già dichiarativo della sussistenza del vincolo della continuazione fra i reati.
Ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME a mezzo dell’avv. NOME COGNOME deducendo due motivi, che vengono di seguito
riassunti entro i limiti strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo, viene denunciata violazione di legge ex art. 606, comma 1, lett. b) cod. proc. pen., per violazione delle norme sostanziali ex artt. 99 e 173 primo comma cod. pen., nonché dell’art. 9 legge n. 1423 del 1956. L’errore commesso dalla Corte di appello si annida, in ipotesi difensiva, nell’aver ritenuto applicabile – in relazione alla pena di mesi quattro di arresto, inflitta con riferimento al reato contravvenzionale ex art. 9 legge n. 1423 del 1956 – il raddoppio dei termini in presenza di recidiva, di cui all’art. 173 cod. pen.
Non potendo operare l’istituto della recidiva, in relazione a una contravvenzione, deve ritenersi che la suddetta pena, riportata per contravvenzione commessa in epoca antecedente all’anno 2002 e mai posta in esecuzione, sì sia ormai estinta per prescrizione.
2.2. Con il secondo motivo, viene denunciata illogicità della motivazione ex art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen. La difesa aveva domandato l’unificazione sotto il vincolo della continuazione, fra la condanna alla pena di anni uno e mesi sei di reclusione (oggetto di indulto nella misura di mesi dieci) e le sentenze indicate nell’ordinanza della Corte di appello di Reggio Calabria del 11/06/2015, già dichiarativa della continuazione. Al momento dell’applicazione dell’indulto, con ordinanza del 16/10/2006, non era stata ancora riconosciuta la continuazione, ritenuta sussistente con il provvedimento del 2015; la revoca dell’indulto ha provocato la reviviscenza della condanna a mesi dieci di reclusione, al tempo non computati ai fini della rideternninazione della pena per reati uniti in continuazione. E allora, tale nuova quantità di pena deve essere nuovamente posta in continuazione, seguendo i criteri adottati nell’ordinanza del 2015, con le pene di cui alle sentenze indicate ai numeri 1, 3 e 5 del provvedimento di cumulo.
In sostanza, se la pena diviene maggiore, a seguito della revoca dell’indulto, maggiore dovrebbe essere anche la riduzione conseguente all’applicazione dell’istituto della continuazione.
3. Il Procuratore generale ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.
Il primo motivo è manifestamente infondato. L’art. 173, comma 1, cod. pen. stabilisce testualmente che “Le pene dell’arresto e dell’ammenda si estinguono nel termine di cinque anni. Tale termine è raddoppiato se si tratta di recidivi, nei casi preveduti dai capoversi dell’art. 99, ovvero di delinquenti abituali professionali o per tendenza”. Non è richiesto che la recidiva, rilevante in vista della produzione di tale effetto di raddoppio, sia contestata e riconosciuta nella
medesima sentenza che ha applicato la pena della cui estinzione si tratta, in quanto è sufficiente che la recidiva venga accertata in un qualsiasi momento, purché immediatamente precedente rispetto al decorso del termine di prescrizione della pena (Sez. 1, n. 58475 del 26/09/2018, Riva, rv. 275318; Sez. 1, n. 13398 del 19/02/2013, COGNOME, rv. 256022). La pena di cui si invoca l’estinzione è stata emessa con sentenza della Corte di appello di Reggio Calabria del 26 gennaio 2004, confermativa della sentenza emessa dal Tribunale di Palmi in data 22 ottobre 2002 e divenuta definitiva il 23 marzo 2004, per il reato di cui all’art. 9 della legge n. 1423 del 1956. A quell’epoca, l’interessato era stato già destinatario di plurime applicazioni di recidiva e, comunque, tale è stato dichiarato negli anni successivi, in epoca antecedente al decorso del termine estintivo.
Anche il secondo motivo appare manifestamente infondato. Il calcolo della continuazione, riconosciuta in un momento successivo alla concessione dell’indulto, ha correttamente considerato la frazione di pena, pari a mesi dieci di reclusione, oggetto di indulto. Una volta revocato il beneficio dell’indulto, non sussiste alcun diritto allo scomputo o alla riduzione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
Integrando sinteticamente quanto già esposto in parte narrativa, può sottolinearsi come, nella concreta fattispecie, la Corte territoriale abbia revocato l’indulto concesso a NOME COGNOME relativamente a due condanne, per essersi egli reso autore di nuovi delitti, entro il quinquennio dall’entrata in vigore della legge istitutiva di tale provvedimento di clemenza.
Il giudice dell’esecuzione, inoltre, ha disatteso le ulteriori istanze difensive, che erano volte alla declaratoria di estinzione per prescrizione della pena di mesi quattro di arresto, nonché alla fungibilità della pena già espiata riportata, sub 1 del primo cumulo inserito nel provvedimento di esecuzione, quanto alla esecuzione della pena di cui alla sentenza sub 2 e, infine, al riconoscimento della continuazione della pena riportata sub 2 con le sentenze indicate nel provvedimento della Corte di appello di Reggio Calabria del 11/06/2015, che aveva, a sua volta, già dichiarato sussistente la continuazione fra vari reati.
Con il primo motivo, si aggredisce il fatto che la Corte distrettuale abbia tenuto conto della recidiva, al fine di dichiarare non ancora prescritta la pena riportata per una contravvenzione; attenendosi alla prospettazione
difensiva, infatti, l’istituto della recidiva, in tal caso, non sarebbe stato prendere in considerazione.
3.1. Giova precisare, in primo luogo, come pacificamente debba essere esclusa l’applicabilità della recidiva – in vista del computo del termine necessario, affinché si consolidi la prescrizione (trattasi di principio incontestato, nella giurisprudenza di legittimità, per cui si possono richiamare Sez. 1, n. 19976 del 29/04/2010, Colella, rv. 247647 e Sez. 1, n. 3842 del 13/01/2009, Tessitore, rv. 242439); trattasi di regola applicabile, però, solo in sede di cognizione e non in executivis.
L’adozione della medesima regola ermeneutica anche in sede di esecuzione, ai fini che ora rilevano – secondo quanto auspicato dalla difesa a mezzo della presente impugnazione – trova infatti l’ostacolo dell’espresso dato testuale fissato dall’art. 173 cod. pen., che disciplina specificamente l’estinzione delle pene dell’arresto e dell’ammenda e menziona, fra l’altro, proprio la condizione del condannato che versi in stato di recidiva.
Come giustamente notato dal Procuratore generale in sede di requisitoria, dunque, la lettura della norma prospettata con l’atto di impugnazione comporterebbe un effetto abrogante tale disposizione codicistica.
3.2. Occorre considerare, invece, come il termine di prescrizione della pena, pari a cinque anni, decorra a partire dalla data del passaggio in giudicato della sentenza di condanna e quindi – nella concreta fattispecie – dal 23/3/2004; prima che decorresse il relativo termine, ossia il 16/10/2006, la pena è stata dichiarata estinta con l’applicazione dell’indulto.
Trova così ingresso l’art. 172 comma 5 cod. pen., applicabile in forza del richiamo operato dall’art. 173, comma 2, cod. pen.: il termine di prescrizione decorre quando la condizione, cui è subordinata l’esecuzione della pena, si sia verificata. E la condizione in questione è, appunto, la revoca dell’indulto oggetto della presente impugnazione, atteso che – fino al momento della revoca dell’indulto – la pena non sarebbe stata eseguibile.
La condizione ostativa all’estinzione, in sostanza, è rappresentata dall’intervento, durante il periodo indicato, di una dichiarazione di recidiva qualificata, quale espressione di imperterrita propensione alla commissione dell’illecito, tale da rendere il soggetto non meritevole di fruire dell’estinzione dell pena (si vedano Sez. 1, n. 13398 del 19/02/2013, COGNOME, rv. 256022, a mente della quale: «L’estinzione della pena per decorso del tempo non opera nei confronti dei condannati recidivi di cui ai capoversi dell’art. 99 cod. pen., a condizione che la recidiva venga accertata in un qualsiasi momento immediatamente precedente al decorso del termine di prescrizione della pena» e
Sez. 1, n. 58475 del 26/09/2018, Riva, rv. 275318; cfr anche Sez. 1, n. 4095 del 10/12/2019.dep. 2020, COGNOME, rv. 278165).
3.3. Secondo quanto sopra già chiarito, in conclusione, la pena della quale viene auspicata l’estinzione per prescrizione è stata applicata, nei confronti del ricorrente, con sentenza passata in giudicato il 23/03/2004 e per un reato contravvenzionale; prima del decorso del termine utile per determinare l’estinzione della pena, è pacifico che COGNOME sia stato dichiarato recidivo.
La doglianza, pertanto, non può che essere disattesa.
4. Anche il secondo motivo deve essere disatteso.
Sostiene la difesa che la pena di dieci mesi di reclusione, in relazione alla quale COGNOME aveva fruito di indulto, fosse parte di una più ampia condanna, comprensiva di plurime ipotesi di reato, tra loro avvinte in continuazione. La reviviscenza di tale pena di mesi dieci, all’indomani della revoca dell’indulto, ne dovrebbe allora determinare l’introduzione nel cumulo conseguente alla continuazione e, consequenzialmente, non un mero computo “per aggiunta”, rispetto al resto della condanna, bensì la rimodulazione in melius, in misura proporzionalmente corrispondente a quanto accaduto in relazione agli altri reati. La pena complessiva non potrebbe essere ottenuta, quindi, semplicemente aggiungendo il periodo di dieci mesi di reclusione, alla ulteriore pena in continuazione.
La censura è, palesemente, frutto della commistione di due piani tra loro nettamente distinti. Il provvedimento che riconosce la sussistenza della continuazione, in realtà, si limita a rideterminare la pena complessiva e non tiene conto della concessione dell’indulto; tale istituto inerisce, infatti, al profilo d esecuzione della pena, piuttosto che all’aspetto della determinazione e quantificazione della stessa. La rideterminazione della pena operata nel 2015, pertanto, è estranea alla concessione dell’indulto concesso in precedenza e, parimenti, non ha interferenza con la revoca dell’indulto operata in seguito.
Corretta è, pertanto, l’affermazione contenuta nel provvedimento impugnato, laddove la Corte territoriale sottolinea come l’ordinanza sopra detta non abbia tenuto conto della precedente concessione di indulto.
5. Alla luce delle considerazioni che precedono, si impone il rigetto del ricorso; segue ex lege la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, 15 ottobre 2024.