Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 37109 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 37109 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 28/06/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a LECCE il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 07/03/2024 della CORTE APPELLO di LECCE
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del PG in persona del AVV_NOTAIO Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 7 marzo 2024, la Corte di appello di Lecce, in funzione di giudice dell’esecuzione, ha revocato il beneficio dell’indulto ex legge 31 luglio 2006, n. 241 concesso ad NOME COGNOME dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale della stessa città con riferimento alla pena di tre anni di reclusione di cui alla sentenza del 19 luglio 2015 emessa dallo stesso Giudice.
La revoca ha avuto origine dalla condanna, con sentenza della Corte di appello di Lecce del 22 novembre 2017, irrevocabile il 18 giugno 2019, alla pena di tre anni e quattro mesi di reclusione per il delitto di cui all’art. 416bis, comma primo, cod. pen. commesso dal 2009 al 2013.
La pena è stata aggiunta in continuazione a quella inflitta con sentenza del 10 luglio 2006 dalla Corte di appello di Lecce.
Avverso la predetta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME, per mezzo dei propri difensori AVV_NOTAIO e NOME COGNOME, articolando due motivi.
2.1. Con il primo ha eccepito violazione di legge relativamente alla valorizzazione, ai fini della revoca dell’indulto, della sanzione minima prevista per il reato commesso entro il quinquennio dall’entrata in vigore della legge n. 241 del 2006, in luogo della pena concretamente inflitta.
Nello stabilire la rilevanza della sanzione edittale minima prevista per il reato con la massima riduzione consentita in presenza di circostanze attenuanti, il giudice dell’esecuzione avrebbe fatto applicazione di un criterio ormai abbandonato dalla giurisprudenza di questa Corte di legittimità secondo la quale, invece, deve tenersi conto, nel caso di pena inflitta in continuazione, della sanzione individuata a titolo di aumento, dovendosi avere riguardo alla pena «concretamente inflitta».
Nel caso di specie, peraltro, per effetto di sentenza della Corte di appello di Lecce irrevocabile l’11 aprile 2024, la pena complessivamente inflitta a COGNOME a titolo di aumento in continuazione per i delitti associativi di cui alle due sentenze irrevocabili del 10 luglio 2006 e del 22 novembre 2017 era stata ridotta nella misura complessiva di cinque anni e sei mesi di reclusione (in luogo degli undici anni e due mesi di reclusione precedenti).
Da ciò è stato desunto che la «quota di pena» di cui alla sentenza del 22 novembre 2017 doveva ritenersi certamente inferiore a due anni di reclusione.
2.2. Con il secondo motivo ha eccepito la mancanza di motivazione in ordine alla frazione di pena concretamente riferibile alla condotta concretamente
commessa nel quinquennio successivo all’entrata in vigore della legge applicativa dell’indulto.
Nel caso di specie, il delitto che ha giustificato la revoca è stato commesso dal 2009 al dicembre 2013 e il quinquennio è cessato il 1° agosto 2011.
Il giudice dell’esecuzione avrebbe dovuto operare una valutazione frazionata del periodo dal 2009 al 1° agosto 2011 e stabilire la quantità di pena concretamente inflitta per tale periodo.
Tanto più che ha inciso sulla vicenda complessiva il recente riconoscimento della continuazione di cui si è detto al punto precedente con riferimento alla sentenza irrevocabile 1’11 aprile 2024.
Il Procuratore generale ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.
Il primo motivo è infondato e, per certi versi, inammissibile perché generico.
In primo luogo, si osserva che, effettivamente, l’orientamento applicato dal giudice dell’esecuzione ai fini della valutazione della pena concretamente inflitta per il delitto associativo di cui all’art. 416bis cod. pen. rilevante ai fini d revoca dell’indulto è stato superato dall’arresto delle Sezioni Unite di questa Corte secondo cui «in tema di indulto, in caso di reati uniti nel vincolo della continuazione, alcuni dei quali – compreso quello più grave – siano stati commessi entro il termine fissato per la fruizione del beneficio ed altri successivamente, la pena rilevante ai fini della revoca dell’indulto va individuata, con riguardo ai reati-satellite, nell’aumento di pena in concreto inflitto a titolo continuazione per ciascuno di essi, e non nella sanzione edittale minima prevista per la singola fattispecie astratta; a tal fine, ove la sentenza non abbia specificato la pena applicata per ciascun reato, spetta al giudice dell’esecuzione interpretare il giudicato» (Sez. U, Sentenza n. 21501 del 23/04/2009, Astone Rv. NUMERO_DOCUMENTO).
Risulta così abbandonato l’orientamento secondo cui, invece, «in tema di revoca dell’indulto, nel caso in cui il reato commesso entro il termine all’uopo rilevante risulti unito in continuazione con altro più grave commesso precedentemente, per valutare il superamento del limite di pena preclusivo alla concessione del beneficio, il giudice non deve considerare l’aumento di pena applicato in concreto ma deve aver riguardo alla sanzione edittale minima
prevista per il reato, con la massima riduzione consentita in presenza di circostanze attenuanti» (Sez. 1, Sentenza n. 2060 del 11/11/2008, COGNOME, Rv. 242837).
Peraltro, conformemente a quanto rilevato dal Procuratore generale, l’applicazione del criterio corretto non porterebbe ad una soluzione diversa da quella adottata dal giudice dell’esecuzione, essendo stato determinato per il delitto associativo, in concreto, un aumento di pena nella misura di tre anni e quattro mesi di reclusione.
In ogni caso, la pena è superiore a due anni di reclusione e ciò giustifica, in ogni caso, la revoca dell’indulto.
Né rileva, tenuto conto della prospettazione del ricorrente, l’irrevocabilità, in data 11 aprile 2024, della sentenza della Corte di appello di Lecce che avrebbe ulteriormente rideterminato la pena inflitta dalla Corte di appello salentina con la sentenza del 22 novembre 2017 e con quella del 10 luglio 2006.
Secondo la prospettazione del ricorrente, infatti, l’intervenuta riduzione proporzionale della pena complessiva di una percentuale superiore al 50% giustificherebbe la tesi della riduzione «di certo» della misura della pena inflitta con la sentenza del 22 novembre 2017 in misura inferiore ai due anni di reclusione.
Tuttavia, il ricorrente non ha indicato la misura della pena determinata dalla Corte di appello con la più recente sentenza a titolo di continuazione, né il dato informativo è ricavabile dagli stralci delle sentenze effettivamente prodotte in allegazione al ricorso.
La deduzione difensiva riferita alla sentenza la cui irrevocabilità è intervenuta successivamente all’ordinanza impugnata si pone, pertanto, in termini di inammissibilità per genericità.
3. Il secondo motivo è infondato.
Il ricorrente afferma la tesi che la pena per il delitto associativo mafioso commesso dal 2009 al 2013 andrebbe scomposta in due frazioni: la prima dal 2009 al 10 agosto 2011, la seconda dal 10 agosto 2011 al dicembre 2013.
Secondo la prospettazione difensiva, rileverebbe, nel caso di specie, solo la prima frazione (quella relativa al quinquennio successivo all’entrata in vigore della legge istitutiva dell’indulto) e, per tale periodo, non potrebbe essere applicata una pena pari o superiore a due anni, ossia di entità tale da giustificare la revoca dell’indulto.
L’assunto si scontra con l’orientamento consolidato di questa Corte, e qui, ancora una volta, ribadito, secondo cui «in tema di revoca dell’indulto di cui alla legge 31 luglio 2006, n. 241, per la sussistenza di un delitto non colposo
commesso nel quinquennio successivo alla data di entrata in vigore di tale legge, è sufficiente che, in caso di reato permanente, sia caduto nel quinquennio in oggetto un qualsiasi segmento del reato. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto immune da vizi l’ordinanza di revoca del beneficio a seguito dell’intervenuta condanna per il reato di associazione di tipo mafioso accertato nell’anno 2003 fino alla data del 30 novembre 2007)» (Sez. 1, n. 36866 del 03/02/2023, Cava, Rv. 285238; Sez. 1, n. 42384 del 28/05/2016, COGNOME, Rv. 268274; Sez. 1, n. 1746 del 08/03/2000, NOME, Rv. 215824).
Da quanto esposto discende il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 28/06/2024