Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 43410 Anno 2024
In nome del Popolo RAGIONE_SOCIALE
Penale Sent. Sez. 1 Num. 43410 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 15/11/2024
PRIMA SEZIONE PENALE
– Presidente –
NOME COGNOME
CC – 15/11/2024
R.NUMERO_DOCUMENTO.N. NUMERO_DOCUMENTO
NOME
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME a POLISTENA il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 04/07/2023 della Corte d’appello di Reggio Calabria
Visti gli atti, il provvedimento impugNOME e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, nella persona del AVV_NOTAIO procuratore generale NOME AVV_NOTAIO, che ha concluso, con requisitoria scritta, chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza emessa in data 04 luglio 2024 la Corte di appello di Reggio Calabria, quale giudice dell’esecuzione, ha revocato l’indulto concesso a NOME COGNOME con due sentenze emesse in data 04 luglio 2006 e 14 luglio 2006, stante la sopravvenuta condanna ad anni otto e mesi otto di reclusione inflitta con la sentenza emessa dalla Corte di appello di Reggio Calabria in data 03 ottobre 2019, divenuta definitiva in data 13 gennaio 2022, per un delitto associativo commesso dal 1995 in poi.
La Corte di appello ha ritenuto sufficiente, per la revoca dell’indulto, che il reato permanente ricadesse almeno in parte nel periodo indicato dalla legge, ed ha rilevato che la data di sussistenza di tale reato Ł stata accertata dal giudice della cognizione, con una valutazione che non può essere modificata dal giudice dell’esecuzione.
Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso NOME AVV_NOTAIO, per mezzo del suo difensore AVV_NOTAIO, articolando un unico motivo, con il quale deduce la violazione di legge processuale, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen.
L’ordinanza individua in modo erroneo la data di consumazione del reato associativo giudicato con la sentenza emessa in data 03 ottobre 2019, divenuta definitiva in data 13 gennaio 2022, perchØ nonostante la contestazione contenga la data iniziale dell’anno 1995, l’unica condotta ascrivibile al ricorrente Ł una intercettazione del 15/03/2014, in cui egli viene citato quale affiliato alla cosca, mentre un collaboratore di giustizia, che afferma di averlo conosciuto dal 1997, Ł stato ascoltato il 10/08/2013. La Corte di appello ha affermato di non poter modificare la data di commissione del reato accertata dal giudice della cognizione, ma tale principio si applica quando tale data sia individuata in modo preciso, mentre se essa non Ł stata individuata in modo puntuale, come nei casi di contestazione aperta, il giudice dell’esecuzione ha l’obbligo di accertare la esatta collocazione temporale dell’illecito. Inoltre, in caso di dubbio, deve essere scelta la soluzione piø favorevole al reo, in questo caso l’individuazione della data di commissione del reato negli anni 2013/2014, quindi ben oltre il termine quinquennale stabilito dalla legge n. 241/2006.
Il Procuratore generale, con requisitoria scritta, ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso, per la sua manifesta infondatezza.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso Ł infondato, e deve essere rigettato.
Il ricorrente richiama, a sostegno delle sue argomentazioni, il consolidato principio di questa Corte, secondo cui «In tema di reato permanente contestato nella forma cosiddetta “aperta”, qualora in sede esecutiva debba farsi dipendere un qualsiasi effetto giuridico dalla data di cessazione della condotta e questa non sia stata precisata nella sentenza di condanna, spetta al giudice dell’esecuzione l’accertamento mediante l’analisi accurata degli elementi a sua disposizione» (Sez. 1, n. 21928 del 17/03/2022, Rv. 283121; Sez. 1, n. 45295 del 24/10/2013, Rv. 257725). Tale principio deve essere applicato, in particolare, quando debba essere valutata la revoca di un indulto, in quanto «Ai fini della revoca dell’indulto ex art. 3, legge 31 luglio 2006, n. 241, disposta in relazione alla commissione, nel quinquennio successivo alla entrata in vigore della citata legge, di un reato permanente contestato in forma “aperta”, il giudice dell’esecuzione, qualora la sentenza di condanna non specifichi la data di cessazione della condotta criminosa, Ł tenuto ad effettuare tale accertamento attraverso l’analisi degli elementi emersi nel giudizio di merito» (Sez. 1, n. 10567 del 05/02/2019, Rv. 274877).
L’ordinanza impugnata, però, risulta avere correttamente applicato tale principio, avendo valutato accuratamente l’epoca di commissione del reato associativo, contestato come commesso dal 1995 in poi, in base all’accertamento compiuto dal giudice della cognizione e agli elementi esaminati da quest’ultimo. Essa precisa, infatti, che nel corpo della sentenza in questione il periodo di partecipazione del ricorrente al clan criminoso Ł ritenuto dimostrato dal 1995 in poi, perchØ la
sentenza «tratteggia il COGNOME come soggetto da tempo inserito nella consorteria». Dal contenuto della sentenza di questa Corte Sez. 2, n. 14697 del 13/01/2022, che ha confermato la condanna del ricorrente per il reato in questione, l’accertamento dell’epoca di permanenza della sua condotta criminosa risulta essere stato effettuato correttamente dal giudice della cognizione, che lo ha individuato in un arco temporale compreso tra il 1995, o comunque un’epoca prossima ai primi anni 2000, e il 2014, avendo la corte di cassazione respinto il motivo di ricorso relativo all’epoca di commissione del delitto (pagg. 129-130 di tale sentenza): peraltro, in tale procedimento, il COGNOME non contestava l’epoca di inizio della consumazione del delitto associativo, che egli stesso individuava nei primi anni 2000, ma sosteneva che la stessa era cessata prima del 2010.
Le affermazioni contenute nel ricorso non sono idonee a dimostrare l’erroneità di tale accertamento, dal momento che lo stesso ricorrente ammette che il collaboratore di giustizia ascoltato in quel procedimento lo indicava come affiliato al clan criminoso quanto meno dal 1997, epoca in cui egli lo aveva conosciuto, e che in una conversazione del 2014 egli veniva ancora indicato come associato a detto clan, con un ruolo preminente.
L’ordinanza impugnata, pertanto, si Ł conformata al principio secondo cui «In sede esecutiva non Ł consentito modificare la data del commesso reato, accertata nel giudizio di cognizione con sentenza passata in giudicato, anche quando il tempus commissi delicti non sia precisamente indicato nell’imputazione. (Fattispecie di rigetto della richiesta di indicazione della data finale di permanenza del reato associativo mafioso, contestato in forma aperta, in senso difforme da quanto accertato dal giudice della cognizione che non aveva indicato una data di cessazione della condotta anteriore alla sentenza di primo grado)» (Sez. 1, n. 25219 del 20/05/2021, Rv. 281443). La sua affermazione, che il giudice della cognizione ha valutato tutte le circostanze di merito dimostrative dell’epoca di consumazione del delitto ed ha, pertanto, accertato tale epoca con efficacia di giudicato, risulta corretta alla luce della pronuncia, sul punto, del giudice di legittimità, come riportato nel paragrafo precedente. Dalla definitività di tale accertamento discende, quindi, l’impossibilità per il giudice dell’esecuzione di valutare diversamente tali circostanze, e modificare la data di commissione del reato.
Sulla base delle considerazioni che precedono il ricorso deve pertanto essere respinto, e il ricorrente deve essere condanNOME al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così Ł deciso, 15/11/2024
Il Consigliere estensore NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME