Revoca Detenzione Domiciliare per Violazioni: La Cassazione Conferma
La detenzione domiciliare rappresenta un’importante misura alternativa al carcere, ma il suo mantenimento è subordinato al rispetto di precise regole. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce quando la revoca detenzione domiciliare diventa una conseguenza inevitabile. Il caso analizzato riguarda un condannato che, a causa di ripetute assenze ingiustificate dalla propria abitazione, ha perso il beneficio, vedendo confermata la decisione anche in sede di legittimità. Approfondiamo i dettagli di questa pronuncia per capire i limiti e le condizioni di questa misura.
Il Contesto del Caso: La Revoca della Misura Alternativa
Il Tribunale di Sorveglianza di Torino aveva concesso a un soggetto la misura della detenzione domiciliare per espiare una pena cumulata di reclusione e arresto. Successivamente, lo stesso Tribunale ha revocato il beneficio. La ragione? Il condannato si era reso responsabile del reato di evasione, violando le prescrizioni imposte. In particolare, erano state accertate ripetute assenze dall’abitazione, nonostante le diffide e le ampie autorizzazioni di cui già godeva.
Le Doglianze del Ricorrente
Contro l’ordinanza del Tribunale di Sorveglianza, il condannato, tramite il suo difensore, ha proposto ricorso per cassazione, basandolo su due motivi principali:
1. Vizio di motivazione: si contestava il modo in cui il Tribunale aveva valutato i comportamenti contrari alla legge tenuti dal condannato.
2. Violazione dell’art. 27 della Costituzione: si lamentava l’inosservanza del principio costituzionale relativo alla funzione rieducativa della pena.
In sostanza, la difesa mirava a ottenere una riconsiderazione delle circostanze che avevano portato alla decisione di revocare la misura alternativa.
La Decisione della Cassazione sulla revoca detenzione domiciliare
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile. La Suprema Corte ha sottolineato che il ricorso, pur denunciando formalmente violazioni di legge e vizi di motivazione, in realtà non individuava specifici difetti del provvedimento impugnato. Al contrario, tendeva a sollecitare una nuova valutazione nel merito dei fatti, un’attività preclusa al giudice di legittimità.
Le Motivazioni
La Corte ha ritenuto che l’ordinanza del Tribunale di Sorveglianza fosse corretta, logica e priva di vizi giuridici. Il Tribunale aveva adeguatamente valutato gli elementi a sua disposizione, evidenziando come le ripetute assenze del soggetto fossero palesemente violative delle prescrizioni e, soprattutto, inconciliabili con la prosecuzione della misura. La revoca detenzione domiciliare era, quindi, un atto dovuto di fronte a un comportamento che minava la fiducia alla base della concessione del beneficio. La critica mossa dalla difesa è stata giudicata generica e confutativa, incapace di scalfire la coerenza della decisione impugnata.
Le Conclusioni
La declaratoria di inammissibilità ha comportato la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro alla Cassa delle ammende. Questa pronuncia ribadisce un principio fondamentale: le misure alternative alla detenzione, come la detenzione domiciliare, non sono un diritto acquisito, ma un beneficio condizionato al rispetto scrupoloso delle regole. Le violazioni gravi e ripetute, come l’evasione, dimostrano l’inidoneità del soggetto a proseguire il percorso extramurario e giustificano pienamente la revoca del beneficio, senza che ciò costituisca una violazione dei principi costituzionali. La Corte di Cassazione, inoltre, conferma il suo ruolo di giudice della legalità, e non dei fatti, rigettando i ricorsi che cercano impropriamente di ottenere un terzo grado di giudizio nel merito.
Quando può essere revocata la detenzione domiciliare?
Secondo la decisione in esame, la detenzione domiciliare può essere revocata quando il comportamento del condannato è inconciliabile con la prosecuzione della misura. Nel caso specifico, le ripetute assenze da casa, che integrano il reato di evasione, sono state considerate una violazione grave e sufficiente a giustificare la revoca.
È possibile chiedere alla Corte di Cassazione di riesaminare i fatti che hanno portato alla revoca di una misura?
No, non è possibile. La Corte di Cassazione è un giudice di legittimità, non di merito. Il suo compito è verificare la corretta applicazione della legge e la logicità della motivazione, ma non può riesaminare i fatti già valutati dai giudici dei gradi precedenti. Un ricorso che tende a provocare una nuova valutazione dei fatti viene dichiarato inammissibile.
Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità di un ricorso per cassazione?
La dichiarazione di inammissibilità comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, se non si può escludere una sua colpa, anche al pagamento di una sanzione pecuniaria in favore della Cassa delle ammende, come avvenuto nel caso di specie con una sanzione di 3.000 euro.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 20673 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 20673 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 09/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a DURAZZO (ALBANIA) il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 13/02/2024 del TRIB. SORVEGLIANZA di TORINO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Con l’ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale di sorveglianza di Torino ha revocato, essendosi egli reso responsabile del reato di evasione, la misura alternativa della detenzione domiciliare accordata, con provvedimento del medesimo Tribunale di sorveglianza del 31/01/2023, a COGNOME, soggetto in espiazione della pena di anni uno, mesi tre e giorni venti di reclusione e mesi otto di arresto, come da provvedimento di cumulo di pene concorrenti del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Novara del 12/05/2023.
Avverso tale ordinanza COGNOME COGNOME, a mezzo del difensore AVV_NOTAIO, ricorre per cessazione, deducendo due motivi; con il primo si lamenta vizio della motivazione, in punto di valutazione dei comportamenti contrari alla legge serbati dal condannato, mentre con il secondo ci si duole della sussistenza di una inosservanza o erronea applicazione del disposto dell’art. 27 della Costituzione.
Il ricorso è inammissibile, in quanto – pur denunciando formalmente violazione di legge e vizio di motivazione – non individua singoli aspetti del provvedimento impugnato da sottoporre a censura giurisdizionale, bensì tende in realtà a provocare una nuova e non consentita valutazione, nel merito, in ordine ai presupposti richiesti dalla norma, per la revoca della misura alternativa precedentemente concessa.
L’ordinanza impugnata, peraltro, ha correttamente valutato gli elementi risultanti agli atti, adottando una motivazione congrua e scevra da vizi giuridici e sottolineando come le ripetute assenze da casa del soggetto, ad onta delle diffide e delle ampie autorizzazioni di cui godeva, siano violative delle prescrizioni che accompagnano la misura e appaiano inconciliabili con la prosecuzione della stessa. La motivazione del provvedimento impugnato è logica e coerente; a fronte di ciò, la difesa oppone esclusivamente una critica confutativa e aspecifica.
Segue alla declaratoria di inammissibilità la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, non potendosi escludere profili di colpa, anche alla sanzione in favore della cassa delle ammende (Corte cost. n. 186 del 2000) che si ritiene equo quantificare in euro tremila.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, 9 maggio 2024.