Revoca dell’Indulto: La Cassazione e i Limiti del Giudicato Esecutivo
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 22610/2024, affronta un’importante questione procedurale riguardante la revoca dell’indulto. La decisione chiarisce che un precedente incidente di esecuzione, con un oggetto diverso, non impedisce al giudice di revocare successivamente il beneficio. Questa pronuncia offre spunti fondamentali sulla natura del giudicato in fase esecutiva, distinguendolo nettamente da quello del processo di cognizione.
I Fatti del Caso: un Indulto Messo in Discussione
Il caso nasce da un’ordinanza della Corte di Appello di Napoli che, in qualità di giudice dell’esecuzione, revocava un indulto concesso a un soggetto con una sentenza del 2000. La revoca era motivata dalla commissione di un nuovo, grave reato – un tentato omicidio – avvenuto nel 2008, la cui sentenza di condanna era diventata definitiva nel 2020. La legge prevede, infatti, che il beneficio dell’indulto possa essere revocato se il condannato commette un nuovo delitto entro un determinato periodo di tempo.
Il condannato ha presentato ricorso per cassazione, basandolo su un unico motivo: l’erronea applicazione della legge. Secondo la sua difesa, un precedente incidente di esecuzione, che aveva trattato il tema della continuazione tra reati, avrebbe dovuto affrontare anche la questione dell’indulto. Poiché in quella sede non era stata disposta alcuna revoca, si sarebbe creata una preclusione, simile al giudicato, che avrebbe impedito una successiva decisione sulla stessa materia.
La Specificità dell’Incidente Esecutivo e la Revoca dell’Indulto
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso manifestamente infondato e, quindi, inammissibile. Il fulcro della decisione risiede nella netta distinzione tra il giudicato che si forma nel giudizio di cognizione (il processo che accerta il reato e determina la pena) e le decisioni prese in fase esecutiva.
La Suprema Corte ha ribadito un principio cardine del diritto processuale penale: il giudice dell’esecuzione non ha una competenza generale su tutte le questioni che potrebbero sorgere dopo la condanna. Al contrario, il suo intervento è circoscritto e attivato solo su richiesta di parte, limitatamente all’oggetto specifico della domanda presentata, come stabilito dall’art. 666 del codice di procedura penale.
Le Motivazioni: la Diversità di Oggetto tra i Procedimenti
Le motivazioni della Corte sono state chiare e lineari. Nel giudizio di cognizione, il principio del giudicato copre non solo quanto effettivamente deciso (‘il dedotto’), ma anche tutto ciò che si sarebbe potuto decidere (‘il deducibile’). In fase esecutiva, invece, questo principio non si applica con la stessa ampiezza.
Il precedente procedimento esecutivo menzionato dalla difesa aveva come unico oggetto il riconoscimento del vincolo della continuazione tra reati. Non era stata avanzata alcuna richiesta né era stata aperta alcuna discussione sulla revoca dell’indulto. Di conseguenza, quella decisione non poteva in alcun modo creare una preclusione su una questione mai esaminata.
La Corte ha concluso che la diversità di oggetto tra i due incidenti esecutivi (il primo sulla continuazione, il secondo sulla revoca del beneficio) escludeva categoricamente la possibilità di un effetto preclusivo. La Corte d’Appello aveva quindi agito correttamente nel revocare l’indulto, una volta investita della specifica questione.
Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza
La sentenza rafforza un principio fondamentale per la fase dell’esecuzione penale: la specificità e la settorialità dell’intervento del giudice. Questo significa che le parti devono essere diligenti nel presentare tutte le istanze pertinenti in ogni singolo procedimento. Non si può dare per scontato che il giudice esamini d’ufficio questioni non espressamente sollevate.
Per i condannati, ciò implica che l’esistenza di un precedente incidente di esecuzione non costituisce uno ‘scudo’ contro futuri provvedimenti sfavorevoli, se questi ultimi hanno un oggetto distinto. Per gli operatori del diritto, la decisione ribadisce l’importanza di definire con precisione l’oggetto di ogni istanza al giudice dell’esecuzione, poiché le sue decisioni avranno un effetto vincolante solo su quel determinato tema.
Perché è stato revocato l’indulto in questo caso?
L’indulto è stato revocato perché il beneficiario ha commesso un nuovo reato grave (tentato omicidio) entro il periodo di tempo previsto dalla legge, condizione che determina la decadenza dal beneficio.
Qual era l’argomento principale del ricorrente?
Il ricorrente sosteneva che un precedente procedimento di esecuzione, che aveva trattato un’altra questione (il riconoscimento della continuazione tra reati), avrebbe dovuto esaminare anche la posizione relativa all’indulto. Non avendolo fatto, si sarebbe creata una preclusione che impediva una successiva revoca.
Perché la Corte di Cassazione ha respinto la tesi della preclusione?
La Corte ha spiegato che, nella fase di esecuzione, il giudice si pronuncia solo sulla specifica domanda che gli viene sottoposta. Poiché il precedente procedimento aveva un oggetto diverso (la continuazione) e non la revoca dell’indulto, non poteva generare alcun effetto preclusivo su quest’ultima questione.
Testo del provvedimento
Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 22610 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 22610 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 07/03/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a BENEVENTO il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 27/09/2023 della CORTE APPELLO di NAPOLI
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
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IN FATTO E IN DIRITTO
Con ordinanza resa in data 27 settembre 2023 la Corte di Appello di Napoli quale giudice della esecuzione – ha disposto, nei confronti di COGNOME NOME, la revoca dell’indulto di cui alla sentenza emessa in data 28 marzo 2000. La revoca è ricollegata alla avvenuta commissione del delitto di tentato omicidio in data 11 maggio 2008 (sentenza definitiva in data 14 ottobre 2020).
Avverso detta ordinanza ha proposto – nelle forme di legge – ricorso per cassazione COGNOME NOME. Il ricorso è affidato ad un unico motivo con cui si deduce erronea applicazione di legge.
2.1 Il ricorrente evidenzia che in un precedente incidente di esecuzione introdotto dalla difesa ed avente ad oggetto il riconoscimento della continuazione – nessuna statuizione era stata emessa in riferimento all’indulto, pur essendo divenuta definitiva la decisione di condanna per il fatto commesso nel 2008. Sarebbe sussistente, pertanto, una preclusione assimilabile al giudicato, tale da
impedire la revoca dell’indulto /oggetto di impugnazione.
Il ricorso va dichiarato inammissibile per la manifesta infondatezza dei motivi addotti.
3.1 In particolare, la nozione di giudicato promossa dalla difesa – in ambito esecutivo – è manifestamente erronea.
Ciò perché mentre nel giudizio di cognizione il giudicato – almeno tendenzialmente – copre il dedotto e il deducibile, così non avviene in sede esecutiva. Il giudice dell’esecuzione non ha una competenza ‘generale’ (su ogni questione che potrebbe formare ambito del suo intervento) ma interviene solo su richiesta di parte e in rapporto ad un tema specifico oggetto della domanda (ai sensi dell’art. 666 cod.proc.pen.).
Non può pertanto ritenersi che il precedente procedimento esecutivo – avente ad oggetto il riconoscimento della continuazione – spieghi un effetto preclusivo rispetto alla delibazione di revoca dell’indulto, data la diversità di oggetto d incidenti esecutivi.
Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue di diritto la condanna ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità,
versamento a favore della cassa delle ammende di una sanzione pecuniaria che pare congruo determinare in euro tremila, ai sensi dell’ art. 616 cod. proc. pen..
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in data 7 marzo 2024
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