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Revoca della sentenza: no per reddito di cittadinanza

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di un condannato per indebita percezione del reddito di cittadinanza che chiedeva la revoca della sentenza. La Corte ha stabilito che la soppressione del reddito di cittadinanza e l’introduzione dell’assegno di inclusione non configurano un’abolizione del reato (abolitio criminis), ma una successione di leggi penali, poiché la nuova normativa punisce una condotta sostanzialmente identica. Pertanto, la condanna rimane valida.

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Pubblicato il 26 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Revoca della Sentenza per Reddito di Cittadinanza: La Cassazione dice No

Con la sentenza n. 39155 del 2024, la Corte di Cassazione ha affrontato una questione di grande attualità: la possibilità di ottenere la revoca della sentenza di condanna per l’indebita percezione del reddito di cittadinanza, a seguito delle recenti riforme legislative. La Corte ha stabilito un principio chiaro, negando che si sia verificata un’abolizione del reato e confermando la validità delle condanne passate.

I Fatti del Caso

Il caso trae origine dal ricorso di un cittadino condannato con una sentenza di patteggiamento per il reato previsto dall’art. 7 del d.l. n. 4/2019, per aver indebitamente percepito il reddito di cittadinanza. A seguito della riforma che ha abrogato tale beneficio a partire dal 1° gennaio 2024, sostituendolo con l’assegno di inclusione, il condannato ha presentato un’istanza al Tribunale, in funzione di giudice dell’esecuzione, chiedendo la revoca della sentenza ai sensi dell’art. 673 c.p.p. La richiesta si basava sulla tesi che l’abrogazione della norma istitutiva del reddito di cittadinanza avesse comportato una abolitio criminis, ovvero l’eliminazione del reato stesso.

Il Tribunale di Bologna ha respinto l’istanza, sostenendo che non si trattasse di abolizione del reato, ma di una successione di leggi penali nel tempo. Contro questa decisione, l’interessato ha proposto ricorso per cassazione.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, confermando la decisione del Tribunale. La Corte ha chiarito che, nonostante l’abrogazione formale della normativa sul reddito di cittadinanza, il legislatore ha mantenuto in vita la rilevanza penale delle condotte di indebita percezione di benefici economici di natura assistenziale.

La questione della revoca della sentenza e la continuità normativa

Il punto centrale della sentenza ruota attorno alla distinzione tra abolitio criminis e successione di leggi penali. La revoca della sentenza di condanna è possibile solo nel primo caso. Per stabilire quale delle due ipotesi ricorra, la giurisprudenza, in particolare a partire dalla nota sentenza delle Sezioni Unite ‘Rizzoli’ del 2009, richiede un confronto strutturale tra la vecchia e la nuova fattispecie di reato.

Nel caso specifico, la Corte ha osservato che la Legge di Bilancio 2023 (L. n. 197/2022) ha sì abrogato gli articoli da 1 a 13 del d.l. 4/2019 con effetto dal 1° gennaio 2024, ma, prima che tale data arrivasse, il legislatore è intervenuto nuovamente con il d.l. n. 48/2023.

Questo decreto ha introdotto l’assegno di inclusione e, all’art. 8, ha previsto una nuova figura di reato per chi ottiene indebitamente tale beneficio. Questa nuova norma è sostanzialmente identica a quella precedente relativa al reddito di cittadinanza. Inoltre, l’art. 13, comma 3, dello stesso decreto ha stabilito una disposizione transitoria, prevedendo che per i fatti commessi fino al 31 dicembre 2023 continuassero ad applicarsi le sanzioni del vecchio art. 7.

Le Motivazioni della Sentenza

La Corte di Cassazione ha motivato la sua decisione sottolineando la chiara volontà del legislatore di non creare un vuoto normativo e di assicurare la continuità della tutela penale. L’introduzione di una disposizione transitoria e di una nuova fattispecie incriminatrice quasi sovrapponibile alla precedente dimostra l’intento di operare non un’abolizione, ma una successione tra norme.

Il disvalore penale della condotta – ottenere con false dichiarazioni un sussidio statale – è rimasto immutato. È cambiata la denominazione del beneficio, ma non la sostanza del reato. Di conseguenza, il fatto per cui il ricorrente è stato condannato continua ad essere previsto dalla legge come reato. In presenza di un fenomeno successorio e non abrogativo, non sussistono i presupposti per la revoca della sentenza di condanna ai sensi dell’art. 673 del codice di procedura penale.

Le Conclusioni

In conclusione, la sentenza ribadisce un principio fondamentale in materia di successione di leggi penali: non è sufficiente un’abrogazione formale della norma per determinare l’abolizione del reato. È necessario verificare se il legislatore abbia inteso cancellare il disvalore penale del fatto o se, al contrario, lo abbia semplicemente ricollocato in una nuova disposizione. In questo caso, la continuità tra la vecchia e la nuova disciplina è palese e, pertanto, le sentenze di condanna per l’indebita percezione del reddito di cittadinanza restano valide ed efficaci. Non è quindi possibile ottenere la revoca della sentenza.

Perché la Cassazione ha negato la revoca della sentenza per l’indebita percezione del reddito di cittadinanza?
La revoca è stata negata perché la soppressione della normativa sul reddito di cittadinanza non ha comportato l’abolizione del reato (abolitio criminis), ma una mera successione di leggi penali. La nuova legge sull’assegno di inclusione punisce una condotta sostanzialmente identica, garantendo la continuità della tutela penale.

Che differenza c’è tra ‘abolitio criminis’ e ‘successione di leggi penali’ in questo caso?
Si ha ‘abolitio criminis’ quando un comportamento cessa completamente di essere reato, il che comporta la revoca delle condanne. Si ha ‘successione di leggi’ quando una nuova norma modifica quella precedente ma il fatto rimane illecito. In questo caso, la condotta di ottenere indebitamente un sussidio con false dichiarazioni è rimasta reato, cambiando solo il nome del beneficio.

Le nuove leggi sull’assegno di inclusione hanno cancellato i reati commessi con il reddito di cittadinanza?
No. Il legislatore ha inserito una norma transitoria (art. 13, comma 3, d.l. 48/2023) che ha espressamente previsto che i reati relativi al reddito di cittadinanza commessi fino al 31 dicembre 2023 continuano ad essere puniti secondo la vecchia legge, proprio per evitare vuoti di tutela.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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