Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 21985 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 21985 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 11/04/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
NOME COGNOME nato a CASTEL FRENTANO il DATA_NASCITA COGNOME NOME nata a PAGLIETTA il DATA_NASCITA
avverso il decreto del 28/11/2023 della Corte d’appello di L’Aquila visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del AVV_NOTAIO che ha chiesto annullarsi senza rinvio il provvedimento impugnato;
letta la nota depositata dalla difesa dei ricorrenti in data 3 aprile 2024.
RITENUTO IN FATTO
La Corte d’appello di L’Aquila, con il decreto impugnato in questa sede, ha confermato il decreto del Tribunale di Pescara in data 9 marzo 2023 con il quale era stata rigettata l’istanza di revoca della confisca disposta su due immobili intestati in comunione agli odierni ricorrenti.
Ha proposto ricorso la comune difesa dei ricorrenti deducendo violazione di legge, in relazione all’errata valutazione del presupposto per la confisca dei beni
rappresentato dal giudizio sulla pericolosità sociale, alla stregua della sentenza della Corte costituzionale n. 24/2019, nonché la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi sono inammissibili.
La decisione impugnata è stata assunta in conseguenza della sentenza di annullamento di questa Sezione che, nel decidere sul ricorso proposto direttamente avverso il decreto del Tribunale di Pescara, aveva rilevato l’incompetenza funzionale del Tribunale a decidere sull’istanza proposta, trattandosi di ipotesi assimilata alla revocazione della confisca, disponendo che gli atti fossero trasmessi alla Corte d’appello per la decisione sull’originaria istanza.
Se pur la Corte d’appello non ha seguito il percorso procedimentale tracciato dalla Corte di Cassazione, valutando la fondatezza dell’impugnazione proposta dalla parte rispetto agli argomenti addotti dal Tribunale per rigettare l’istanza, in concreto la Corte d’appello ha deciso sul contenuto dell’originaria istanza, affermando che il provvedimento che ha disposto la confisca, e rispetto al quale la parte insiste nel chiederne la revoca per effetto della sentenza della Corte costituzionale n. 24 del 24/1/2019, aveva accertato la pericolosità del soggetto proposto in ragione della qualificazione del proposto come soggetto dedito all’abituale commissione di delitti determinati da motivi di lucro, da cui lo stesso traeva i messi di sussistenza, cioè attribuendo al proposto la qualifica di soggetto pericoloso ai sensi dell’art. 1, lett. B) d. Igs. 159/2011, ad essa corrispondendo la categoria dell’art. 1, comma 1, n. 2, della I. 1423/1956 (“coloro che per condotta e tenore di vita debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che vivano abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività delittuose”), evocata nel provvedimento del Tribunale di Pescara che aveva disposto la confisca, trattandosi di procedimento avviato prima dell’entrata in vigore del d. Igs. 159/2011.
Così motivando, la Corte territoriale ha dato conto dell’insussistenza di alcuna violazione della “base legale” per la disposta confisca, non avendo attinto la pronuncia di illegittimità costituzionale la disposizione dell’art. 1, numero 2, della I. 1423/1956, così come la norma dell’art. 1, comma 1, lett. b) d. Igs. 159/2011 (Sez. Unite, n. 3513 del 16/12/2021, dep. 2022, Fiorentino, Rv. 282474 – 02); inoltre, dal complesso della motivazione risulta non solo il richiamo alla categoria di cui alla lett. b) della norma citata ma, altresì, l’operato accertamento, sulla base di specifiche circostanze di fatto (pag. 3), della realizzazione da parte del proposto di delitti commessi abitualmente in un significativo arco temporale, da cui ha tratto un profitto che ha costituito in una determinata epoca il suo unico reddito o, quanto
meno, una componente significativa del medesimo (Sez. 2, n. 12001 del 15/01/2020, COGNOME, Rv. 278681 – 01).
Rispetto a tale completa e adeguata motivazione, i ricorsi si caratterizzano per un’illustrazione caotica e scarsamente comprensibile, con inserimento di brani di altre decisioni, delle censure fondate sull’assunto della riconduzione del COGNOME nella sola categoria dei soggetti abitualmente dediti a traffici delittuosi, circostanza, come detto, espressamente esclusa dal provvedimento impugnato.
Alla declaratoria di inammissibilità dei ricorsi, consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali, nonché, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità emergenti dal ricorso (Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186), al versamento della somma, che si ritiene equa, di euro tremila a favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso l’ 11 aprile 2024
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