Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 30179 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 30179 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 24/06/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
COGNOME NOME nato a PALERMO il 30/06/1970 COGNOME NOME nata a ROVIGO il 15/06/1949 COGNOME nato a PALERMO il 19/06/1971
avverso il decreto del 31/01/2025 della CORTE di APPELLO di PALERMO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
letta la requisitoria del Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo di rinviare il procedimento a nuovo ruolo in attesa della decisione delle Sezioni Unite sulla questione controversa rilevante nei presenti ricorsi e, in subordine, di rigettare i ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
1. Con decreto n. 94 in data 12 marzo 2021, la Corte di appello di Palermo aveva confermato il decreto del 12 gennaio 2017 con cui il Tribunale di Palermo -Sezione di prevenzione aveva dichiarato non luogo a provvedere sulla richiesta di applicazione della misura di prevenzione personale nei confronti di NOME COGNOME per essere egli deceduto il 18 maggio 2014; e aveva ordinato la confisca del capitale sociale e del complesso aziendale di una serie di società e di beni ritenuti riconducibili al proposto, indicato come un imprenditore in affari con i vertici di Cosa Nostra , che gli avevano permesso di godere della protezione per i lucrosi lavori edilizi svolti dalle imprese da lui gestite, generosamente finanziate dai clan sin dal momento della loro costituzione e che, dunque, erano state irrimediabilmente ‘ contaminate ‘ . Quanto, in particolare, alle società organizzate su rami familiari, la riconducibilità effettiva di esse allo stesso COGNOME era stata dimostrata a partire dalle prove contenute nelle sentenze che lo avevano condannato per vari reati.
1.1. Con sentenza del 25 febbraio 2022, la Prima Sezione della Corte di cassazione aveva annullato il decreto di confisca nei confronti di NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME (figlie e moglie del proposto), limitatamente al capitale sociale e ai beni della società RAGIONE_SOCIALE respingendo, nel resto, la loro impugnazione, sicché erano divenute definitive le statuizioni relative alle quote delle altre società ad essi riferibili (quali la CRAGIONE_SOCIALE , la RAGIONE_SOCIALE , la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE. Secondo la pronuncia rescindente, la Corte di appello aveva correttamente desunto la sussistenza dei presupposti per la confisca dal fatto che il proposto era stato, per circa un ventennio, un punto di riferimento nel sistema degli appalti controllato da Cosa Nostra , operando come cerniera tra le imprese, di cui era il gestore di fatto, e l ‘ organizzazione criminale, da cui aveva sistematicamente ricevuto ingenti finanziamenti di provenienza illecita da investire in iniziative imprenditoriali, il cui successo era garantito dalla posizione privilegiata rivestita rispetto agli altri imprenditori, che non potevano contare sugli appoggi del gruppo mafioso. Su tali basi, dunque, la Corte distrettuale aveva correttamente ritenuto che, con riferimento alle imprese riconducibili a COGNOME, fosse impossibile distinguere tra redditi leciti e acquisizioni illecite. Con riferimento alle società di cui erano intestatari i figli e la moglie, gli elementi acquisiti, quanto alla società RAGIONE_SOCIALE non consentivano una valutazione separata delle vicende successive alla formale uscita del proposto dalla sua compagine sociale rispetto al periodo in cui erano state compiute le prime iniziative imprenditoriali grazie all ‘ impiego di fondi di provenienza illecita; quanto alla RAGIONE_SOCIALE , alla RAGIONE_SOCIALE e alla RAGIONE_SOCIALE accanto alle prove acquisite nel procedimento definito con la condanna irrevocabile del proposto e del
figlio NOME per trasferimento fraudolento di valori con la finalità di agevolare Cosa nostra , lo stretto vincolo familiare, suffragato da rapporto di convivenza e dall ‘ assenza di risorse in capo ai familiari, costituiva una situazione di fatto interpretabile nel senso della fittizietà dell ‘ intestazione formale.
Con lo stesso provvedimento, l ‘ ordinanza impugnata era stata, invece, annullata nei confronti di NOME, NOME, NOME ed NOME COGNOME limitatamente alla confisca del compendio aziendale delle società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE
1.2. All ‘ esito del giudizio di rinvio, con decreto n. 50 del 16 marzo 2023 la Corte di appello di Palermo aveva disposto, a parziale riforma del provvedimento impugnato, la revoca della confisca della società RAGIONE_SOCIALE nonché, limitatamente ai soli NOME, NOME, NOME ed NOME COGNOME, del compendio aziendale della RAGIONE_SOCIALE e della RAGIONE_SOCIALE
1.3. Con istanza in data 18 gennaio 2024, la Difesa di NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME terzi interessati nel procedimento di prevenzione a carico di NOME COGNOME presentò istanza di revoca ex tunc della confisca ai sensi dell ‘ art. 7, comma 2, legge n. 1423 del 1956, di «tutti i beni intestati o riconducibili agli istanti e – in particolare e a titolo non esaustivo – del capitale sociale e del complesso aziendale della RAGIONE_SOCIALE , della RAGIONE_SOCIALE e della C.ED.A.M. RAGIONE_SOCIALE » di cui essi erano soci e amministratori nonché dei conti intestati alla RAGIONE_SOCIALE A fondamento dell ‘ istanza era stata dedotta l ‘ emersione di «prove nuove ed elementi nuovi» in relazione alla non disponibilità dei beni in capo a NOME COGNOME costituiti, in particolare, dal decreto n. 50 del 16 marzo 2023 della Corte di appello di Palermo che, all’esito del giudizio di rinvio, aveva revocato la confisca del capitale sociale e dell ‘ intero complesso aziendale della RAGIONE_SOCIALE rilevando la mancanza di elementi concreti dai quali ricavare la riferibilità a NOME COGNOME della società. Secondo la Difesa, in difetto di specifici elementi e stante la natura solo presuntiva delle argomentazioni poste a fondamento della confisca, anche le altre società e gli altri beni in sequestro dovevano ritenersi riferibili esclusivamente ai formali intestatari. Quanto alla RAGIONE_SOCIALE , essa era stata costituita da NOME COGNOME e da NOME COGNOME e detenuta per il 99% da NOME COGNOME e per l ‘ 1% dalla madre, con un capitale iniziale di 15.000 euro, interamente sostenuto dallo stesso COGNOME, il quale ne aveva la disponibilità, come ricavabile dai Modelli Unici allegati al ricorso e dalla perizia redatta nel procedimento di prevenzione e come confermato dalle dichiarazioni rese ex art. 391bis cod. proc. pen. da NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME. Analogamente, quanto alla RAGIONE_SOCIALE , essa era stata costituita da NOME COGNOME e da NOME e NOME COGNOME con un capitale sociale di 15.000 euro, versato, quanto a 7.500 euro, da NOME COGNOME il quale ne aveva la disponibilità come confermato dai Modelli Unici allegati
al ricorso e dalla perizia redatta nel procedimento di prevenzione. Inoltre, NOME COGNOME era stato assolto dal reato di intestazione fittizia con sentenza della Corte di appello di Palermo in data 12 febbraio 2020; e dalle dichiarazioni rese ex art. 391bis cod. proc. pen. da NOME COGNOME e NOME COGNOME era emerso che NOME COGNOME non si era mai occupato della società, gestita da NOME COGNOME e NOME COGNOME. Quanto alla C.RAGIONE_SOCIALE , costituita tra NOME NOME COGNOME e dal fratello NOME, nel febbraio 2002 il proposto aveva donato la sua quota ai figli, NOME e NOME, i quali, nel giugno 2008 erano divenuti soci al 50% della società acquistando le quote dello zio NOME per 20.000 euro, grazie a risorse lecite autonome risultanti dai Modelli Unici allegati al ricorso, come confermato dalla perizia redatta nel procedimento di primo grado. La estraneità del proposto emergeva anche dalle dichiarazioni rese, ex art. 391bis cod. proc. pen., da NOME COGNOME secondo cui il proposto, dopo il suo primo arresto nel 1997 e la cessione delle quote ai figli, aveva smesso di occuparsi delle società di famiglia.
1.4. Con ordinanza in data 22 maggio 2024, il Tribunale di Palermo, Sezione per l ‘ applicazione delle misure di prevenzione, respinse la richiesta di revoca ex art. 7, comma 2, legge n. 1423 del 1956. Secondo il Tribunale, nella specie difettava il presupposto della novità delle prove allegate, avendo le Sezioni unite chiarito che per «prova nuova» debba intendersi sia quella sopravvenuta alla conclusione del procedimento di prevenzione, sia quella preesistente ma incolpevolmente scoperta dopo che la misura è divenuta definitiva, ma non anche quella deducibile e non dedotta nell ‘ ambito del suddetto procedimento, salvo che l ‘ interessato dimostri l ‘ impossibilità di tempestiva deduzione per forza maggiore; e dovendo il novum posto a base dell ‘ istanza di revoca presentarsi come un fattore in grado di determinare una decisiva incrinatura del corredo fattuale sulla cui base si sia pervenuti al precedente epilogo decisorio.
A quest ‘ ultimo proposito, la richiesta di revoca doveva essere respinta anche perché il decreto indicato come novum aveva disposto la revoca della confisca della sola società RAGIONE_SOCIALE , avendo la Suprema Corte ritenuto inammissibili, in sede rescindente, le censure relative alle altre società. Quanto alla C.ED.A.M. gli elementi di natura tecnico-contabile dedotti dagli interessati non consentivano una valutazione separata delle vicende successive all ‘ uscita del proposto dalla sua compagine sociale, atteso che egli era stato socio e amministratore nel periodo in cui erano state compiute le prime iniziative imprenditoriali rivelatesi decisive per i successivi incrementi patrimoniali e finanziari, sicché in quella società dovevano essere stati investiti i fondi di provenienza illecita a cui egli poteva attingere all’epoca grazie al sostegno di Cosa nostra , posto che solo in tal modo essa poteva avere onorato i debiti verso le banche e, contemporaneamente, avere sostenuto le spese per l ‘ edificazione dei terreni pur in assenza della capacità finanziaria
necessaria a sostenerne gli oneri. Quanto alla RAGIONE_SOCIALE , alla RAGIONE_SOCIALE e alla RAGIONE_SOCIALE e ai beni intestati alla moglie, la loro riconducibilità al proposto era stata affermata a partire dalle emergenze probatorie del procedimento penale definito con condanna irrevocabile del proposto e del figlio NOME per il reato di trasferimento fraudolento di valori aggravato dalla finalità di agevolare Cosa nostra , nonché dall ‘ assenza di elementi contrari alla presunzione di «disponibilità» da parte del proposto dei beni del coniuge, dei figli e degli altri conviventi privi di idonee risorse. Dunque, la revoca della confisca disposta con riferimento alla RAGIONE_SOCIALE non aveva coinvolto i fatti posti a fondamento delle statuizioni riguardanti le altre società. Secondo il Tribunale, dunque, la richiesta di revoca non proponeva elementi sopravvenuti alla conclusione del procedimento, ma una inammissibile rivalutazione di fatti già esaminati nel procedimento di prevenzione, nonché talune dichiarazioni raccolte, ex art. 391bis cod. proc. pen., dai difensori e i Modelli Unici relativi ai redditi dichiarati dagli istanti, afferenti a circostanze comunque già esaminate nel giudizio di prevenzione.
1.5. Con decreto in data 31 gennaio 2025, la Corte di appello ha rigettato l ‘ impugnazione proposta, nell ‘ interesse di NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, avverso l ‘ ordinanza del 23 luglio 2024 del Tribunale dl Palermo, Sezione Misure di prevenzione. Dopo avere premesso che il richiamo operato nell ‘ art. 28, comma 1, d.lgs. cit. alle forme previste dall ‘ art. 630 cod. proc. pen. non consente di ritenere fra loro sovrapponibili i due istituti, comunque diversi, con la conseguente impossibilità di un ‘ automatica estensione alla materia della prevenzione patrimoniale dell ‘ interpretazione della nozione di «novità della prova» elaborato in tema di revisione, la Corte territoriale ha ribadito di non poter ravvisare, nel caso in esame, l ‘ esistenza di un fatto nuovo nella decisione, assunta all ‘ esito del giudizio di rinvio, rispetto alle società diverse dalla RAGIONE_SOCIALE Quanto, poi, all ‘ escussione dei soggetti che, a vario titolo, avevano lavorato nelle imprese intestate ai ricorrenti, essi avrebbero potuto essere sentiti già nel giudizio di primo grado, non risultando che l ‘ omissione fosse stata determinata da caso fortuito o da forza maggiore. In ogni caso, tali dichiarazioni sono state ritenute inidonee a escludere la riferibilità delle società a NOME COGNOME e la loro intrinseca illiceità, essendo state le stesse ritenute, alla stregua di sentenze passate in giudicato, come «imprese mafiose», finanziate, fin all ‘ origine, da Cosa nostra con il riciclaggio di denaro sporco e, dunque, inquinate nei successivi reinvestimenti ad opera degli intestatari delle quote. Profili rispetto ai quali la formale titolarità di quote in capo ai ricorrenti, ribadite dai verbali ex art. 391bis cod. proc. pen. allegati dalla difesa, non è stata ritenuta dirimente rispetto alla strutturale illiceità delle società ascrivibili a NOME COGNOME.
2. NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno proposto, con un unico atto, ricorso per cassazione avverso il decreto della Corte di appello per il tramite dei difensori di fiducia, avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME deducendo, con un unico motivo di impugnazione ai sensi dell ‘ art. 606, comma 1, lett. b ), cod. proc. pen., di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen., la inosservanza o erronea applicazione degli artt. 7, legge n. 1423 del 1956 e 2ter , legge n. 575 del 1965, per avere il decreto, alla stregua di una motivazione mancante o meramente apparente, ritenuto insussistente il presupposto della «novità» degli elementi di fatto posti a sostegno dell ‘ istanza di revoca. Il ricorso premette che la revoca ex tunc di cui all ‘ art. 7, legge n. 1423 del 1956 costituirebbe un istituto affine alla revisione penale, sicché potrebbe farsi riferimento a tale istituto al fine di definire il concetto di «nuove prove» come elaborato dalle Sezioni unite nella sentenza n. 624 del 26/09/2001, dep. 2002, COGNOME, comprensivo di elementi non necessariamente sopravvenuti, purché mai valutati nel corso del procedimento di prevenzione, stante il carattere di rimedio straordinario dell ‘ istituto, il quale non potrebbe, pertanto, trasformarsi in un anomalo strumento di impugnazione.
Nel caso di specie, ritenuta pacifica, nei termini anzidetti, la novità degli elementi dedotti dalla difesa, il ricorso ne sottolinea la decisività rispetto all ‘ errore in cui sarebbe incorso il Tribunale nel ritenere la «intrinseca illiceità» dei beni confiscati in ragione della presunzione di indiretta disponibilità in capo al proposto dei beni del coniuge, dei figli e delle persone con lui conviventi nell ‘ ultimo quinquennio ai sensi dell ‘ art. 2bis , comma 3, d.lgs. n. 159 del 2011 (ora art. 19, comma 3, dello stesso decreto). In realtà, nessuna presunzione iuris tantum di disponibilità dei beni intestati ai terzi in capo all ‘ imputato sarebbe invocabile nella specie, atteso che, sebbene l ‘ art. 2bis , comma 3, legge n. 575 del 1965 (ora trasfuso, come detto, nell ‘ art. 19, comma 3, d.lgs. n. 159 del 2011) preveda che «le indagini sono effettuate anche nei confronti del coniuge, dei figli e di coloro che nell ‘ ultimo quinquennio hanno convissuto», la giurisprudenza avrebbe chiarito che tale disposizione non istituisce alcuna presunzione di appartenenza al proposto dei beni intestati al coniuge, ai figli e a coloro i quali abbiano convissuto nell ‘ ultimo quinquennio con il proposto stesso. Invero, lo statuto speciale delineato dall ‘ art. 19, comma 3, d.lgs. n. 159 del 2011, sarebbe relativo al solo regime delle indagini di cui i terzi anzidetti sono destinatari in ragione del legame di parentela, coniugio o convivenza che li collega al proposto. Dunque, l ‘ art. 26, d.lgs. n. 159 del 2011, sarebbe il solo a istituire presunzioni relative per i casi espressamente tipizzati, non suscettibili di applicazione analogica e qui non sussistenti, atteso che, secondo tale disposizione, fino a prova contraria si presumono fittizi «i trasferimenti e le intestazioni, anche a titolo oneroso, effettuati nei due anni antecedenti la proposta della misura di prevenzione nei confronti dell ‘ ascendente, del discendente, del
coniuge o della persona stabilmente convivente, nonché dei parenti entro il sesto grado e degli affini entro il quarto grado» e i «i trasferimenti e le intestazioni, a titolo gratuito o fiduciario, effettuati nei due anni antecedenti la proposta della misura di prevenzione». Pertanto, la Corte di appello non avrebbe dovuto ritenere condizionante la eventuale «origine contaminata» dei beni, in quanto la non disponibilità di essi in capo al proposto al momento del sequestro ne avrebbe imposto, in ogni caso, la restituzione a prescindere dal loro momento genetico.
In data 6 giugno 2025 è pervenuta in Cancelleria la requisitoria scritta del Procuratore generale presso questa Corte, con la quale è stato chiesto il rinvio a nuovo ruolo in attesa della decisione delle Sezioni Unite sulla questione controversa rilevante nel presente ricorso e, in subordine, il rigetto dei ricorsi.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono infondati e, pertanto, deve essere respinti.
L ‘ art. 7, comma 2, legge 27 dicembre 1956, n. 1423, pur essendo stato abrogato dall ‘ art. 120, comma 1, lett. a ), d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, è tuttora applicabile, secondo la previsione transitoria dell ‘ art. 117 d.lgs. n. 159 del 2011, a mente del quale «le disposizioni contenute nel libro I non si applicano ai procedimenti nei quali, alla data di entrata in vigore del presente decreto, sia già stata formulata proposta di applicazione della misura di prevenzione», continuando ad applicarsi, in tali casi, le norme previgenti , tra cui, appunto, l’art. 7, comma 2, della legge n. 1423 del 1956.
2.1. Quest’ultima disposizione stabilisce che il provvedimento di applicazione della misura di prevenzione, «su istanza dell ‘ interessato e sentita l ‘ autorità di pubblica sicurezza che lo propose, può essere revocato o modificato dall ‘ organo dal quale fu emanato, quando sia cessata o mutata la causa che lo ha determinato».
Benché la formulazione di tale enunciato normativo sembri richiamare i casi di revoca con efficacia ex nunc , dovuta alla sopravvenuta cessazione di pericolosità del proposto, la giurisprudenza è pervenuta a un ‘ applicazione estensiva della disposizione, ricomprendendovi anche i casi di insussistenza originaria delle condizioni che legittimavano l ‘ adozione del provvedimento di applicazione della misura di prevenzione. Con riferimento a tali ipotesi, infatti, si era inizialmente ipotizzata l ‘ applicazione analogica delle disposizioni dettate in materia di revisione dagli artt. 629 e ss. cod. proc. pen., che le Sezioni unite della Corte di cassazione ha però escluso con la sentenza n. 18 del 10/12/1997, dep. 1998, COGNOME, affermando il principio, da quel momento non più controverso, della applicabilità
a quei casi dell ‘ istituto della revoca previsto dall ‘ art. 7, comma 2, della legge 27 dicembre 1956, n. 1423 e successive modificazioni, quale rimedio eccezionale per la rimozione ex tunc della misura disposta in assenza delle condizioni per la sua applicazione.
E proprio dal carattere di rimedio eccezionale che la giurisprudenza ha riconosciuto all ‘ istituto in parola, funzionalmente assimilato a quello della revisione del giudicato, è derivata la successiva, ormai pacifica, affermazione secondo cui possa procedersi alla revoca della misura di prevenzione unicamente nel caso in cui emerga una «prova nuova» suscettibile di mutare radicalmente i termini della valutazione a suo tempo operata in sede di applicazione.
Dunque, ciò che assume rilevanza ai fini della revoca ex tunc è la presenza di un duplice ordine di presupposti: innanzitutto la novità dell ‘ acquisizione, essendo logicamente incompatibile con l ‘ istituto, e con la sua funzione, la possibilità di ‘ riesaminare ‘ il medesimo contesto fattuale già oggetto di valutazione in sede di prima applicazione, la quale sarebbe chiaramente in contrasto con le esigenze di stabilità delle decisioni giudiziarie che caratterizzano anche un giudicato ‘ debole ‘ come quello in materia di prevenzione; e in secondo luogo, la sua decisività, ovvero la capacità di suscitare una determinante incrinatura del corredo fattuale sulla cui base era intervenuta la prima decisione.
2.2. Per quanto detto, centrale nell ‘ operatività della revoca ex tunc della confisca per difetto dei suoi presupposti originari, è la nozione di «prova nuova», rispetto alla quale si sono consolidati due distinti orientamenti giurisprudenziali.
Secondo un primo indirizzo, più estensivo e minoritario, in tema di confisca di prevenzione costituiscono prove nuove deducibili a fondamento della domanda di revoca ex tunc ai sensi dell ‘ art. 7, legge 27 dicembre 1956, n. 1423, accanto a quelle noviter repertae , anche gli elementi preesistenti alla definizione del giudizio che, sebbene astrattamente deducibili in tale sede, non siano però stati concretamente dedotti e che, perciò, non siano mai stati valutati (Sez. 1, n. 10343 del 05/11/2020, dep 2021, COGNOME, Rv. 280856 – 01; Sez. 2, n. 19414 del 12/03/2019, COGNOME, Rv. 276063 – 01; Sez. 5, n. 148 del 04/11/2015, dep. 2016, COGNOME, Rv. 265922 – 01) o, addirittura, anche quelli dedotti ma nemmeno implicitamente valutati. Secondo tale indirizzo le circostanze noviter repertae potrebbero dare luogo alla revoca indipendentemente dal fatto che l ‘ omessa conoscenza da parte dell ‘ interessato sia imputabile a comportamento processuale negligente o addirittura doloso del condannato, rilevante solo ai fini del diritto alla riparazione dell ‘ errore giudiziario. Una posizione interpretativa, questa, che sembra avere mutuato gli indirizzi elaborati dalla giurisprudenza in materia di revisione, con riferimento alla quale le Sezioni Unite «Pisano» hanno ritenuto che rientrino tra le «prove nuove rilevanti a norma dell ‘ art. 630, lett. c ), cod. proc. pen.» non solo quelle « sopravvenute alla sentenza definitiva di condanna e
quelle scoperte successivamente ad essa, ma anche quelle non acquisite nel precedente giudizio ovvero acquisite, ma non valutate neanche implicitamente, purché non si tratti di prove dichiarate inammissibili o ritenute superflue dal giudice» e ciò, « indipendentemente dalla circostanza che l ‘ omessa conoscenza da parte di quest ‘ ultimo sia imputabile a comportamento processuale negligente o addirittura doloso del condannato, rilevante solo ai fini del diritto alla riparazione dell ‘ errore giudiziario».
Secondo altro indirizzo, più restrittivo e maggioritario, «la prova nuova, rilevante ai fini della revoca ex tunc della misura, è sia quella preesistente e scoperta dopo che la misura è divenuta definitiva, sia quella sopravvenuta rispetto alla conclusione del procedimento di prevenzione, essendosi formata dopo di essa, ma non anche quella deducibile e non dedotta nell ‘ ambito del suddetto procedimento, salvo che si adduca l ‘ impossibilità di una tempestiva deduzione per la riscontrata sussistenza di ragioni di forza maggiore (Sez. 1, n. 1649 del 28/09/2021, dep. 2022, COGNOME, Rv. 282485 – 01; Sez. 6, n. 27689 del 18/05/2021, COGNOME, Rv. 281692 – 01; Sez. 1, n. 21537 del 11/03/2021, COGNOME, Rv. 281226 – 01; Sez. 6, n. 17854 del 27/05/2020, COGNOME, Rv. 279283 – 02; Sez. 5, n. 28628 del 24/03/2017, COGNOME, Rv. 270238 – 01). Per questo secondo orientamento, la revoca ex tunc applicabile ai sensi dell ‘ art. 7, comma 2, legge n. 1423 del 1956 avrebbe una struttura corrispondente a quella dell ‘ istituto contemplato dall ‘ art. 28, d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, il cui testo circoscrive la revoca della confisca di prevenzione ai casi di «scoperta di prove nuove decisive, sopravvenute alla conclusione del procedimento». Al contempo, come detto, essa si distingue, invece, dalle previsioni in materia di revisione, che all ‘ art. 630, lett. c ), cod. proc. pen. ammette la richiesta «se dopo la condanna sono sopravvenute o si scoprono nuove prove che, sole o unite a quelle già valutate, dimostrano che il condannato deve essere prosciolto …», così assegnando rilevanza, diversamente da quanto avviene nel procedimento di prevenzione, anche a prove non sopravvenute e, quindi, preesistenti.
2.3. Comune ai due orientamenti è, in ogni caso, il requisito di decisività della prova nuova, da valutare alla stregua del principio secondo il quale la valutazione preliminare circa l ‘ ammissibilità della revoca richiesta deve avere ad oggetto, oltre che l ‘ affidabilità, anche la persuasività e la congruenza della stessa nel contesto già acquisito in sede di cognizione e deve articolarsi in termini realistici sulla comparazione tra la prova nuova e quelle esaminate, ancorata alla realtà processuale che si è venuta definendo.
Le considerazioni che precedono non consentono di accedere all ‘ odierno ricorso, non avendo il medesimo esplicitato adeguatamente la sussistenza di entrambe le condizioni previste per la revoca della confisca.
Infatti, anche a prescindere dalla questione preliminare, oggetto del richiamato contrasto giurisprudenziale, cui ha fatto seguito la remissione alle Sezioni unite della questione relativa alla nozione di «prova nuova» compiuta con ordinanza Sez. 5, n. 9996 del 13/02/2025, COGNOME non massimata, il ricorso non offre un ‘ adeguata confutazione dell ‘ argomento speso dal provvedimento impugnato in ordine alla non decisività delle nuove allegazioni difensive.
Infatti, quand ‘ anche si ritenesse che quelle allegate dalla Difesa con la richiesta di revoca possano essere qualificate come «prove nuove», mancherebbe la dimostrazione della loro capacità destrutturante rispetto alle statuizioni ormai definitive del provvedimento di confisca.
Sotto un primo profilo, deve osservarsi che il decreto che ha revocato la misura ablatoria rispetto alla sola società RAGIONE_SOCIALE aveva precisato che il provvedimento non riguardava le altre compagini sociali (costituite dalla RAGIONE_SOCIALE , dalla RAGIONE_SOCIALE e dalla RAGIONE_SOCIALE ). Una puntualizzazione che non è stata specificamente confutata dalla Difesa dei ricorrenti, né nella richiesta di revoca, né con gli odierni ricorsi. Di modo che non è stato chiarito in che modo il sopravvenire del decreto n. 50 della Corte di appello di Palermo in data 16 marzo 2023 possa avere modificato la situazione giuridico-fattuale in termini decisivi rispetto alle statuizioni di cui si intenderebbe provocare la caducazione; e, dunque, per quale ragione la revoca disposta rispetto ad una sola delle società, dovrebbe produrre effetti anche per le altre. In proposito, la decisività delle circostanze allegate non può certo ricondursi all’errore in cui sarebbe incorso il Tribunale nel fondare la «intrinseca illiceità» dei beni confiscati in ragione della presunzione di indiretta disponibilità in capo al proposto dei beni dei familiari, posto che un siffatto argomento appartie ne, all’evidenza, a censure di carattere giuridico che avrebbero dovuto, al limite, essere prospettate nell’ambito del giudizio conclusosi con la confisca.
Sotto altro aspetto, non è stato nemmeno spiegato come le dichiarazioni delle persone informate sui fatti, sentite in sede di indagini difensive ex art. 391bis cod. proc. pen., fossero in grado di dimostrare che, al di là della pacifica intestazione formale delle società ai familiari del proposto, le risorse utilizzate per acquistare le quote e per garantire l ‘ operatività aziendale provenissero proprio dai formali intestatari e non dal proposto grazie ai suoi legami con Cosa Nostra . In altri termini, non è stato spiegato come tali dichiarazioni, nelle quali si dava atto che le società dovevano ritenersi riferibili ai formali intestatari, fossero in grado di inficiare gli ulteriori elementi di fatto, non necessariamente accessibili alle conoscenze dei dichiaranti, che hanno rivelato la provenienza illecita delle risorse necessarie per l ‘ acquisto delle quote societarie e dei relativi cespiti.
Ne consegue, pertanto, l’infondatezza dei ricorsi e, al contempo, la non necessità di attendere la composizione del cennato contrasto giurisprudenziale ad
opera delle Sezioni unite sulla nozione di «prova nuova», non rilevante ai fini della presente decisione.
Alla luce delle considerazioni che precedono, i ricorsi devono essere rigettati, con condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
PER QUESTI MOTIVI
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in data 24 giugno 2025