Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 12698 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 1 Num. 12698 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 10/01/2025
PRIMA SEZIONE PENALE
– Presidente –
NOME COGNOME NOME COGNOME
– Relatore –
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME COGNOME nato a REGGIO CALABRIA il 24/02/1961 COGNOME NOME nato a REGGIO CALABRIA il 25/10/1947 COGNOME NOME nato a REGGIO CALABRIA il 25/02/1963 avverso il decreto del 02/07/2024 della Corte d’appello di Reggio Calabria udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
lette le conclusioni del PG, COGNOME che ha chiesto il rigetto dei ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
Con provvedimento emesso in data 02/07/2024, la Corte d’appello di Reggio Calabria, Sezione misure di prevenzione, ha respinto gli appelli avanzati da NOME COGNOME e dai terzi interessati NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME avverso il decreto emesso il 7 giugno 2023 dal Tribunale di Reggio Calabria, con il quale Ł stata dichiarata inammissibile la richiesta di revoca della confisca disposta nel procedimento di prevenzione n. 4/1997 a carico di NOME COGNOME con specifico riferimento agli immobili siti in Reggio Calabria, INDIRIZZO Pietrastorta nn. 417/A, 417/B e 417/C.
La Corte reggina, nel ritenere corretta la qualificazione della richiesta formulata dagli appellanti ai sensi dell’art. 7 legge 1423 del 1956 (trattandosi di procedimento nell’ambito del quale la proposta di applicazione della misura di prevenzione nei confronti di NOME COGNOME era antecedente al 13 ottobre 2011, con conseguente inapplicabilità delle nuove disposizioni in tema di revocazione di cui all’art. 28 d.lgs. 150 del 2011), ha brevemente ripercorso l’articolato iter procedimentale che aveva portato all’applicazione, per quanto qui di interesse, della misura di prevenzione patrimoniale nei confronti di NOME COGNOME, iniziato con la proposta formulata dalla Procura della Repubblica di Reggio Calabria il 02/01/1997, e concluso con il passaggio in giudicato del decreto del 31/01/2007 della Corte di appello di Messina, che confermava la confisca degli immobili già indicati.
Ritenuta la legittimazione a proporre appello da parte dei terzi interessati, NOME, NOME e
NOME COGNOME, fratelli del proposto Santo, che non avevano preso parte al procedimento di prevenzione, la Corte territoriale procedeva alla disamina delle nuove prove, non acquisite durante il procedimento di prevenzione, costituite dalle risultanze delle aerofotogrammetrie ufficiali dell’Istituto Geografico Militare, analizzate e valutate nella relazione tecnica di parte e negli altri scritti depositati dagli appellanti nel giudizio di primo grado innanzi al Tribunale di Reggio Calabria, da cui si arguirebbe come i fabbricati oggetto di confisca fossero già stati realizzati ed ultimati alla data del 27/06/1990; conseguentemente, secondo la prospettazione degli appellanti, essi dovevano ritenersi precedenti al periodo, dal 1990 a 1993, entro il quale era stata perimetrata la pericolosità sociale di NOME COGNOME.
La Corte Ł pervenuta al rigetto, nel merito, degli appelli, evidenziando come i detti rilievi fotogrammetrici potessero attestare solo l’esistenza della sagoma di edifici ripresi dall’alto, e dunque visti in pianta, ma non potessero invece rappresentare che gli edifici rappresentati fossero stati completati, rifiniti e resi abitabili alla data in cui i rilievi fotogrammetrici vennero effettuati, ovvero al 27/06/1990; di conseguenza, il dato nuovo inerente la presenza delle sagome a quella data, era del tutto insufficiente ad escludere che gli edifici in questione fossero stati realizzati mediante l’impiego dei proventi delle attività illecite, per le quali Ł stata ritenuta la pericolosità sociale del proposto negli anni dal 1990 al 1993. Quanto alla deduzione difensiva per la quale, se ad una certa data già esistevano ed erano stati attribuiti i numeri civici successivi al 417/D di INDIRIZZO se ne doveva dedurre che alla medesima data dovessero necessariamente esistere anche gli altri fabbricati di cui si discute, siti ai civici 417/A, 417/B e 417/C, osservava la Corte come si tratterebbe di un dato non nuovo o di cui ricorrenti possono realmente aver avuto conoscenza in modo incolpevole solo in un’epoca successiva al provvedimento ablatorio; in ogni caso, proseguiva la Corte, Ł comunque possibile che i numeri civici dei vari fabbricati possano essere attribuiti anche soltanto a semplici cancelli o lotti già oggetto di lavori iniziali, senza che da tale generica circostanza si possa desumere alcun concreto elemento che attesti che, già prima della affermata pericolosità sociale, NOME COGNOME potesse aver già realizzato e completato gli immobili oggetto di confisca di prevenzione.
Avverso il suindicato provvedimento hanno proposto ricorso NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME.
2.1. NOME COGNOME e NOME COGNOME, con unico atto, per il tramite degli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME deducono un articolato motivo con il quale lamentano la violazione dell’art. 606 comma 1 lett. c) cod. proc. pen., in relazione agli artt. 125 cod. proc. pen. e 7 e 2 ter legge 575 del 1965.
La Corte, pur avendo correttamente qualificato l’originaria istanza ai sensi dell’art. 7 legge 1423 del 1956, e non, come erroneamente aveva ritenuto il Tribunale di primo grado, quale revocazione ex art. 28 d. lgs. 159 del 2011, cionondimeno ha comunque ritenuto di dover introdurre un onere di giustificazione circa la mancata allegazione degli elementi oggi addotti nell’originario procedimento di prevenzione, trattandosi di documenti risalenti all’inizio degli anni ’90 e quindi antecedenti all’avvio del procedimento di prevenzione risalente al 1997.
I ricorrenti, pur sulla premessa che tale argomento fosse stato addotto nel decreto impugnato in termini non concludenti, dal momento che la Corte reggina ha poi in effetti analizzato gli elementi di novità offerti, ne evidenziano in ogni caso l’infondatezza sotto il profilo prettamente giuridico, dal momento che, secondo la giurisprudenza della Suprema Corte nella sua composizione piø autorevole, il concetto di ‘prova nuova’ rilevante in materia di revisione, entro il cui ambito deve essere valutato anche il procedimento di attivazione del meccanismo di revoca ex art. 7 legge 1423 del 1956, attiene non solo alle prove sopravvenute al provvedimento definitivo o a quelle scoperte
successivamente, ma anche a quelle non acquisite nel precedente giudizio ovvero acquisite ma non valutate neanche implicitamente (Sez. U., n. 624 del 26/09/2001, dep. 2002, Pisano, Rv. 220443 01).
Quanto alla ritenuta insufficienza dei nuovi elementi proposti al fine di comprovare la liceità della realizzazione dei beni oggetto di confisca definitiva, osservano i ricorrenti come, a fronte di una perimetrazione della pericolosità di Santo COGNOME dal 1990 al 1993, si fosse, nell’istanza originariamente avanzata, dimostrato in termini inequivoci come i tre fabbricati, di cui Ł stata disposta la confisca, fossero già stati edificati al 27 giugno 1990, data in cui venne effettuata la aereofotogrammetria prodotta.
La Corte non ha contestato nØ la datazione della documentazione fotografica prodotta, nØ la perimetrazione della pericolosità sociale del Crucitti, e, purtuttavia, ha respinto l’istanza sul presupposto, errato, per il quale da detta documentazione emergerebbe solo la sagoma delle tre edificazioni, non idonea a comprovare che le stesse fossero state definitivamente ultimate, soprattutto all’interno. Trattasi di argomento viziato sotto un duplice profilo. Innanzitutto, apodittica risulta l’affermazione della Corte, che ha, sul punto, reso una motivazione apparente, dal momento che la circostanza che gli immobili non fossero stati completati alla data della loro rilevazione fotografica appare del tutto priva di substrato probatorio: in tal senso, secondo la costante giurisprudenza di legittimità, il travisamento della prova, che si realizza quando il provvedimento Ł del tutto avulso dalle evenienze fattuali, integra la violazione di legge della motivazione apparente. Assertive e congetturali appaiono, poi, le considerazioni espresse nell’impugnato decreto in ordine ai tempi di realizzazione dell’interno delle abitazioni, ritenuti assertivamente, ma senza alcun aggancio probatorio, di gran lunga superiori a quelli della realizzazione delle strutture esterne.
Sotto altro profilo, il provvedimento impugnato merita censura nella parte in cui, pur avendo riconosciuto che al 27 giugno 1990, vi sarebbe stata una parte di realizzazione degli immobili lecita e una parte la cui liceità non sarebbe stata dimostrata, perviene in ogni caso alla conclusione di ritenere l’intero bene suscettibile di ablazione. Il decreto impugnato introduce, ancora una volta, il dato assolutamente assertivo secondo cui sarebbe notorio che la rifinitura interna sia di gran lunga piø costosa rispetto alla realizzazione della struttura esterna dell’immobile, senza tuttavia spiegare in forza di quali ragioni sia giunta a tale conclusione. Risulta quindi affermato in termini assolutamente assertivi che, nell’impossibilità di distinguere la componente lecita, rispetto a quella la cui liceità non sarebbe stata dimostrata, da ciò dovrebbe conseguire il mantenimento della confisca sull’intero bene; sul punto la pacifica giurisprudenza di legittimità introduce quale specifico criterio discretivo la valutazione della preponderanza del valore di una componente rispetto all’altra.
2.2. NOME COGNOME per il tramite dell’avv. NOME COGNOME ricorre avverso il decreto indicato, deducendo violazione dell’art. 606 lett. b) ed e) cod. proc. pen., in relazione agli artt. 125 cod. proc. pen. e 7 legge 575 del 1965.
Il decreto impugnato incorre nel vizio di violazione di legge in ragione della apparenza che connota la motivazione offerta dai giudici della prevenzione. In particolare la Corte reggina, nel respingere l’istanza di revoca della confisca avanzata dall’odierno ricorrente, fondata sulla consulenza redatta attraverso l’utilizzazione di rilievi aerofotogrammetrici dell’Istituto Geografico Militare, da cui risultava che gli immobili già esistevano al 27/06/1990, rende una motivazione assolutamente congetturale atteso che le argomentazioni addotte a sostegno del rigetto risiedono in mere, apodittiche, asserzioni, sfornite di qualsivoglia appiglio concreto.
In particolare, la Corte ha omesso di rendere adeguata giustificazione della decisione reiettiva, mancando di evidenziare da quali elementi oggettivi fosse stato tratto il convincimento che:
i fabbricati non fossero stati ultimati già all’epoca del rilievo fotogrammetrico del 27 giugno 1990,
in base a quali ulteriori dati ritenere che essi non fossero stati perfezionati oltre l’anno 1993;
in base a quali circostanze oggettive si potesse ritenere il tipo di opere di avanzamento che dovevano ancora realizzarsi al momento del primo rilievo aerofotogrammetrico del 1990;
in base a quali elementi reputare che le opere di ultimazione avessero richiesto esborsi economici superiori a quelli necessari per la costruzione del fabbricato grezzo.
Ed ancora osservava il ricorrente come, alla totale assenza di dati obiettivi cui ancorare il giudizio della Corte, si dovesse aggiungere anche il dato certo per il quale uno dei quattro fabbricati, di cui ai rilievi aereofotogrammetrici, risultante perfettamente identico agli altri a tre, fosse stato oggetto di revoca della confisca nel procedimento originario, in quanto risalente all’anno 1989.
Il sostituto Procuratore Generale, dott. NOME COGNOME ha fatto pervenire requisitoria scritta con la quale ha chiesto il rigetto dei ricorsi.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi, che possono essere trattati congiuntamente stante la comunanza delle argomentazioni ivi trattate, sono infondati.
¨ pacifico ed incontestato che, nel caso in esame, l’istanza proposta dagli odierni ricorrenti sia stata formulata ai sensi dell’art. 7 legge 575 del 1965, trattandosi di procedimento nell’ambito del quale la proposta di applicazione della misura di prevenzione nei confronti di NOME COGNOME era antecedente al 13 ottobre 2011.
Del pari va dato atto come la Corte d’appello, nel provvedimento impugnato, abbia ritenuto la domanda ammissibile, riconoscendo la novità della prova offerta in valutazione, rappresentata dalle risultanze delle aerofotogrammetrie ufficiali dell’Istituto Geografico Militare realizzate il 27/06/1990: si appalesano pertanto inammissibili, per carenza di interesse, le doglianze mosse nella prima parte del ricorso avanzato da NOME COGNOME e NOME COGNOME (riguardanti l’onere di giustificazione incombente sui ricorrenti circa la mancata allegazione degli elementi oggi addotti nell’originario procedimento di prevenzione), in relazione alle quali gli stessi ricorrenti hanno, correttamente, rilevato la non concludenza.
Venendo quindi alle ulteriori doglianze avanzate in entrambi i ricorsi, va premesso che nel procedimento di prevenzione il ricorso per cassazione Ł ammesso soltanto per violazione di legge, secondo il disposto dell’art. 4, legge 27 dicembre 1956, n. 1423, richiamato dall’art. 3- ter, secondo comma, legge 31 maggio 1965, n. 575 (oggi art. 10, comma 3, e art. 27, comma 2, d. lgs. 6 settembre 2011, n. 159), con la conseguenza che, in tema di sindacato sulla motivazione, Ł esclusa dal novero dei vizi deducibili in sede di legittimità l’ipotesi dell’illogicità manifesta di cui all’art. 606, lett. e), cod. proc. pen., potendosi esclusivamente denunciare con il ricorso, poichØ qualificabile come violazione dell’obbligo di provvedere con decreto motivato imposto al giudice d’appello dal nono comma del predetto art. 4 legge n. 1423 del 1956, il caso di motivazione inesistente o meramente apparente; non può essere, però, proposta come vizio di motivazione mancante o apparente la deduzione di sottovalutazione di argomenti difensivi che, in realtà – come nel caso di specie -, siano stati presi in considerazione dal giudice o comunque risultino assorbiti dalle argomentazioni poste a fondamento del provvedimento impugnato (Sez. U, n. 33451 del 29/05/2014, Rv. 260246).
Ne consegue che, in tema di sindacato sulla motivazione, con il ricorso può essere denunciato
soltanto il caso di motivazione inesistente o meramente apparente, poichØ qualificabile come violazione dell’obbligo di provvedere con decreto motivato imposto al giudice d’appello (Sez. U, n. 111 del 30/11/2017, dep. 2018, COGNOME, non mass. sul punto; Sez. U, n. 33451 del 29/07/2014, Repaci, Rv. 260246; Sez. 2, n. 20968 del 06/07/2020, COGNOME, Rv. 279435; Sez. 6, n. 33705 del 15/06/2016, COGNOME, Rv. 270080).
Ciò premesso, ritiene il Collegio che nel provvedimento impugnato non sia ravvisabile alcuna violazione di legge.
4.1. La giurisprudenza di legittimità ha affermato principi in larga parte comuni circa il carattere di novità della prova che deve sorreggere la richiesta di revoca o revocazione. Le Sezioni Unite della Corte di cassazione, con riferimento al primo istituto, hanno escluso la possibilità di «rimettere in discussione con l’istanza atti o elementi già considerati nel procedimento di prevenzione o in esso deducibili» (Sez. U, n. 57 del 19/12/2006, dep. 2007, Auddino, Rv. 234955), principio di recente ribadito in relazione al nuovo istituto della revocazione: «la prova nuova, rilevante ai fini della revocazione della misura ai sensi dell’art. 28 del d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, Ł sia quella sopravvenuta alla conclusione del procedimento di prevenzione, essendosi formata dopo di esso, sia quella preesistente ma incolpevolmente scoperta dopo che la misura Ł divenuta definitiva; non lo Ł, invece, quella deducibile e non dedotta nell’ambito del suddetto procedimento, salvo che l’interessato dimostri l’impossibilità di tempestiva deduzione per forza maggiore» (Sez. U, n. 43668 del 26/05/2022, COGNOME, Rv. 283707).
Per quel che piø interessa nel caso a scrutinio, la semplice novità del dato probatorio allegato, non era, prima della entrata in vigore del codice antimafia (nØ lo si può ritenere oggi alla luce del disposto di cui all’art. 28 del d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159), elemento autosufficiente nell’ottica del superamento della definitività della misura reale che si intende superare: la certezza delle situazioni giuridiche comunque sottesa anche alle decisioni divenute definitive in materia di prevenzione patrimoniale imponeva allora, e impone ancora oggi, che la prova, oltre ad essere nuova, debba anche essere decisiva, sia cioŁ suscettibile di mutare radicalmente i termini della valutazione a suo tempo operata.
In tal senso Ł stato condivisibilmente affermato che, in tema di misure di prevenzione, la prova nuova che consente la revoca della misura di prevenzione deve presentarsi, nel quadro di un ponderato scrutinio degli elementi a suo tempo acquisiti, come un fattore che determini una decisiva incrinatura del corredo fattuale sulla cui base era intervenuta la decisione, non essendo, quindi, sufficiente evocare un qualsiasi elemento favorevole che finirebbe per trasformare un istituto che ha il carattere di rimedio straordinario in una non consentita forma di impugnazione tardiva (Sez. 2, Sentenza n. 41507 del 24/09/2013, COGNOME, Rv. 257334 – 01)
4.2. La Corte ha fatto buon governo dei suindicati principi.
La prova nuova, rappresentata dalle fotografie aeree realizzate il 27/06/1990, non Ł stata ritenuta idonea a travolgere il precedente giudicato: sul presupposto fattuale, non specificatamente contestato, che i rilievi attestassero solo l’esistenza delle sagome degli edifici ripresi dall’alto, e dunque visti in pianta, con discorso esente da criticità, la Corte ha concluso (pag. 7) come «il dato nuovo, dimostrato dalla presenza di quelle sagome alla data sopraindicata, tuttavia, Ł del tutto insufficiente a escludere che gli edifici in questione siano stati realizzati mediante l’impiego dei proventi delle attività illecite per le quali Ł stata ritenuta la pericolosità sociale del proposto negli anni dal 1990 al 1993».
Errano quindi le difese che, in entrambi i ricorsi e con diverse sfumature, si dolgono in sostanza del fatto che la Corte abbia, con argomenti erroneamente definiti congetturali ed apodittici, ritenuto non provato che le costruzioni visibili dalle immagini prodotte fossero già ultimate alla fine di giugno
1990.
I Giudici della Corte d’appello, in realtà, si sono limitati a prendere atto della non decisività del novum offerto in valutazione: dal momento che le immagini prodotte rappresentavano solo le sagome delle edifici, si Ł logicamente desunta la conclusione che dalle stesse non fosse possibile trarre la prova che gli edifici fossero già stati realizzati e completati in epoca antecedente l’inizio della pericolosità sociale del proposto; la prova fornita Ł stata pertanto ritenuta non decisiva, in quanto inidonea a sovvertire l’accertamento operato della decisione definitiva.
Va peraltro osservato come, stante l’incontestata perimetrazione della pericolosità sociale di NOME COGNOME dal 1990 al 1993, la circostanza che, alla fine del giugno del 1990 (e quindi in piena costanza di pericolosità sociale del COGNOME) fossero esistenti le sagome degli edifici poi oggetto di confisca, appare argomento del tutto irrilevante ai fini del sovvertimento della decisione definitiva in ordine alla misura ablatoria disposta; anzi, come conclusivamente osservato dalla stessa Corte territoriale (pag. 7), «il dato che si assume nuovo si pone in assoluta coerenza con le determinazioni a cui si era giunti con il provvedimento di confisca». Da tale considerazione deriva l’assoluta inconcludenza degli argomenti (peraltro generici e versati in fatto) introdotti nel ricorso proposto da NOME COGNOME e NOME COGNOME che, muovendo dal dato erroneo per il quale la Corte avrebbe riconosciuto una parte lecita delle costruzioni (il che non Ł affatto), si duole della conclusione assunta dai Giudici, di ritenere l’intero bene suscettibile di ablazione.
4.3. Deve infine rilevarsi per pura completezza come l’argomento genericamente introdotto dalla difesa di NOME COGNOME per cui i lavori di ultimazione degli edifici in oggetto avrebbero potuto essere ultimati dopo il 1993, appare non solo del tutto congetturale, ma si pone anche fuori dal perimetro valutativo di questa Corte, dal momento che introduce una questione non rientrante nel ‘novum’ introdotto con la domanda di revoca della confisca.
Sulla base delle considerazioni che precedono, i ricorsi devono pertanto essere respinti, ed i ricorrenti devono essere condannati al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 10/01/2025.
Il Presidente NOME COGNOME