Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 28125 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 28125 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 12/05/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante NOME COGNOME
COGNOME NOME nata a Napoli il 20/08/1963
avverso il decreto del 21/01/2025 della Corte di appello di Napoli;
visti gli atti del procedimento, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto dei ricorsi; lette le memorie e le conclusioni scritte dei difensori dei ricorrenti, avv.ti NOME COGNOME per “MPS” e NOME COGNOME per COGNOME, che hanno insistito per l’accoglimento dei rispettivi ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
Con il decreto in epigrafe indicato, la Corte di appello di Napoli ha confermato quello del Tribunale della stessa città del 5 dicembre 2023, che aveva respinto l’istanza di revoca della confisca di beni immobili di proprietà della “MPS
RAGIONE_SOCIALE disposta a norma dell’art. 24, d.lgs. n. 159 del 2011, con decreto dello stesso Tribunale del 10 dicembre 2018, divenuto definitivo a seguito di sentenza n. 22732 del 5 aprile 2022 emessa dalla Corte di cassazione all’esito dei relativi giudizi d’impugnazione.
1.1. La confisca era stata disposta sul presupposto che detti immobili, acquisiti nel 2013 da NOME COGNOME ed intestati alla “MPS”, di cui la stessa era socia con i propri figli, fossero nell’effettiva disponibilità di NOME COGNOME indiziat appartenere ad un’associazione camorristica: ciò in quanto la provvista finanziaria impiegata per l’acquisto sarebbe derivata, attraverso ulteriori passaggi intermedi, dal corrispettivo della vendita, nel 2005, di un altro immobile, che però sarebbe stato da lei precedentemente acquistato con risorse finanziarie in realtà riferibili a COGNOME, del quale il marito della COGNOME, tale NOME COGNOME sarebbe stato l’abituale prestanome.
1.2. Gli elementi di novità posti a sostegno dell’istanza di revoca consistevano essenzialmente in due sentenze, che, successivamente alla definitività del decreto di confisca, si sono andate ad aggiungere a quella della Corte di appello di Roma del 7 maggio 2021, già irrevocabile, che aveva assolto COGNOME dal delitto di intestazione fittizia di tali immobili, ovvero:
-quella della Corte di appello di Napoli del 4 aprile 2022, divenuta irrevocabile il 20 settembre successivo, con cui anche la COGNOME è stata assolta dal medesimo delitto di intestazione fittizia di quegli immobili, per ritenuta insussistenza del fatto;
quella della medesima Corte d’appello del 28 marzo 2024, giusta la quale COGNOME è stato assolto dall’imputazione di capo e promotore del clan camorristico per il periodo dal 2000 al 2015, e con la quale è stato reputato del tutto inattendibile il collaboratore di giustizia NOME COGNOME dalle cui dichiarazioni decreto di confisca avrebbe dedotto in via esclusiva la reale provenienza dal COGNOME delle somme impiegate dalla COGNOME per l’acquisto del primo degli immobili, da cui era stata tratta la provvista finanziaria successivamente utilizzata per comperare l’immobile confiscato.
1.3. Il decreto impugnato, nel confermare il rigetto dell’istanza di revoca della confisca, ha rilevato:
che il decreto di confisca si era ampiamente confrontato con le ragioni della definitiva assoluzione del COGNOME dal delitto di intestazione fittizia, dispost esclusivamente in ragione dell’accertata disponibilità, da parte della COGNOME, nel 2013, delle risorse finanziarie utilizzate per l’acquisto dell’immobile;
che, tuttavia, il giudice della prevenzione aveva esteso la sua indagine a ritroso nel tempo, giungendo ad accertare che tali disponibilità le erano state procurate in precedenza da COGNOME;
che, pertanto, i due accertamenti e le relative pronunce giudiziarie non si ponevano in contrasto tra loro;
che l’assoluzione della COGNOME dal relativo addebito era derivata dalla semplice presa d’atto dell’assoluzione dell’ipotetico correo COGNOME da quello che era un reato a concorso necessario;
che la sentenza di assoluzione di COGNOME dall’imputazione di partecipazione ad associazione camorristica, per un verso, non si ricollegava alla scoperta di nuove prove decisive rispetto a quella valutate dai giudici della prevenzione; e, per l’altro, non poteva dar luogo ad un contrasto di giudicati, non essendo ancora divenuta definitiva.
Infine, riguardo agli errori di fatto che, secondo le difese, sarebbero stati compiuti dai giudici della prevenzione nella ricostruzione degli aspetti patrimoniali dell’acquisto degli immobili confiscati, la Corte d’appello ha ritenuto le censure inammissibili, in quanto surrettiziamente tese ad ottenere una rivalutazione del merito della decisione.
1.3. Avverso tale decisione hanno proposto ricorso, con separati atti dei rispettivi difensori, sia la “RAGIONE_SOCIALE che la RAGIONE_SOCIALE
La società, con un primo motivo, deduce la violazione degli artt. 7, legge n. 1423 del 1956, e 117, d.lgs. n. 159 del 2011, sostenendo che avrebbe dovuto trovare applicazione l’istituto della revocazione, previsto dall’art. 28, d.lgs. cit anziché quello della revoca in funzione di revisione, di cui al predetto art. 7, con conseguente radicamento della competenza in capo alla Corte di appello di Roma, invece dichiaratasi incompetente.
Il decreto impugnato ha statuito diversamente, rilevando che la proposta di applicazione da cui era derivata l’applicazione della misura di prevenzione era anteriore all’entrata in vigore del d.lgs. n. 159 del 2011, dovendo perciò trovare applicazione, in base alla disposizione transitoria contenuta nell’art. 117 di tale testo normativo, le norme previgenti.
Obietta la difesa, citando Sez. 6, n. 17854 del 27/05/2020, COGNOME, Rv. 279283, che la revocazione, con la relativa regola sulla competenza, dovrebbe trovare applicazione per i provvedimenti di confisca – e non per le proposte anteriori al 13 ottobre del 2011 (data di entrata in vigore del citato d.lgs. n. 159), e dunque non nel caso in esame, in cui la misura è stata disposta con decreto del dicembre 2018.
Quanto, invece, ai presupposti per la revoca – o la revocazione – della confisca, i due ricorsi formulano essenzialmente le medesime censure, che, nei loro tratti essenziali, possono sintetizzarsi nei termini che seguono.
3.1. La sentenza assolutoria della COGNOME dal delitto di intestazione fittizia degli immobili oggetto di confisca non ha rappresentato affatto l’obbligata conseguenza della precedente decisione analoga adottata nei confronti del concorrente necessario COGNOME: quest’ultimo, infatti, è stato assolto con formula dubitativa ed all’esito di un giudizio abbreviato, quindi allo stato degli atti; ricorrente, invece, ha ottenuto un’assoluzione piena, per insussistenza del reato, a sèguito di un giudizio ordinario e sulla base di un compendio probatorio più ampio nonché identico a quello del giudizio di prevenzione.
L’affermazione contenuta nel decreto impugnato, secondo cui il giudice della prevenzione avrebbe esteso a ritroso la propria indagine sulla situazione patrimoniale della Maranta, non è sorretta, infatti, dall’indicazione di specifici elementi di prova ulteriori rispetto a quelli su cui si è fondata la sua sentenza di assoluzione, la quale ha logicamente argomentato l’esclusione della disponibilità effettiva di tali immobili da parte di Moccia anche sulla scorta di plurimi dati di fatto, ovvero: che detti beni costituivano una porzione dell’albergo di proprietà e da tempo gestito dalla famiglia della COGNOME; che, dalla lunga attività d’intercettazione effettuata dagli inquirenti, non era mai risultato un interesse di COGNOME all’acquisto od alla gestione dell’albergo, mentre erano emerse le preoccupazioni della COGNOME per le spese di acquisto e di ristrutturazione di esso e l’assenza, da parte sua, di qualsiasi atteggiamento di sudditanza verso la famiglia del COGNOME, avendo minacciato alla moglie di quest’ultimo di licenziare la loro figlia, sua dipendente, per lo scarso impegno nel lavoro, nonché avendo rifiutato di farsi intestare dal COGNOME un’autovettura.
L’assoluzione della COGNOME, dunque, diversamente da quanto si legge nel decreto impugnato, non si sarebbe limitata a prendere atto della già intervenuta assoluzione di COGNOME ma, coerentemente con quanto previsto dall’art. 238-bis, cod. proc. pen., ha autonomamente valutato tale decisione irrevocabile unitamente all’ulteriore materiale probatorio disponibile.
Pertanto, una volta che sia stata accertata con sentenza irrevocabile l’inesistenza di un’intestazione fittizia dei beni, viene meno il presupposto della confisca nei confronti del titolare degli stessi ed il giudice della prevenzione deducono i ricorrenti, citando a proprio conforto giurisprudenza di legittimità, in particolare Sez. 1, n. 36301 del 03/06/2015, COGNOME, Rv. 264568, e Sez. 6, n. 45280 del 30/10/2024, COGNOME, Rv. 287312 – non potrebbe disporre tale misura o, qualora già in atto, dovrebbe revocarla, senza possibilità di sindacare il percorso argomentativo seguìto dal giudice della cognizione: tanto si desumerebbe dall’art. 652, cod. proc. pen., in base al quale la sentenza di assoluzione per insussistenza del fatto, pronunciata a sèguito di dibattimento, ha efficacia di giudicato.
In particolare, a differenza di quanto ritenuto con il decreto impugnato, non può ulteriormente imporsi al terzo intestatario del bene un onere di allegazione della disponibilità e della legittima provenienza delle risorse finanziarie necessarie per il relativo acquisto, onere che la legge pone esclusivamente a carico del proposto.
3.2. Le difese lamentano, inoltre, l’omessa considerazione della pronuncia assolutoria del Moccia dall’addebito di partecipazione alla organizzazione camorristica con ruolo direttivo, decisione che il decreto impugnato ha ritenuto non significativa, in quanto non ancora irrevocabile né, comunque, fondata su prove nuove rispetto a quelle poste a base della confisca.
Prescindendo dal fatto che, nelle more del presente ricorso per Cassazione (come si fa rilevare nelle memorie di replica alla requisitoria del Procuratore generale), tale decisione è divenuta irrevocabile, i ricorrenti deducono che la stessa costituisse comunque un elemento di novità, come tale non eludibile, rispetto al giudizio di prevenzione, e ciò sotto un duplice profilo: vale a dire, anzitutto, perché, escludendosi con essa la partecipazione del COGNOME al sodalizio mafioso nel periodo interessato dall’acquisto, verrebbe meno il presupposto della sua pericolosità sociale, necessario per l’ablazione; in secondo luogo – ma soprattutto – perché tale sentenza ha stigmatizzato l’assoluta inattendibilità del collaboratore di giustizia COGNOME sulle cui dichiarazioni il giudice della prevenzione aveva ritenuto la natura fittizia della titolarità dell’immobile in discorso da parte della COGNOME, avendo costui riferito che il marito di lei, NOME COGNOME, deceduto nel 2009, fosse l’abituale prestanome della famiglia COGNOME.
3.3. Il ricorso della “MPS”, inoltre, denuncia un errore di fatto – perciò suscettibile di essere fatto valere nel procedimento di revoca della misura di prevenzione – in cui sarebbero incorsi sia la Corte d’appello che il giudice di legittimità nell’ambito del giudizio di prevenzione.
Diversamente da quanto ritenuto da quei giudici, cioè, il Tribunale della prevenzione non avrebbe affermato che i fondi poi utilizzati dalla COGNOME per l’acquisto degli immobili confiscati le fossero pervenuti in origine da COGNOME, ma, piuttosto, che detta provenienza fosse rimasta ignota, avendo escluso – con statuizione da nessuno impugnata e, quindi, coperta dal giudicato c.d. “interno” che gli stessi derivassero da finanziamenti effettuati da suo marito e, per il tramite di quest’ultimo, da COGNOME.
3.4. Da ultimo, ed in via subordinata, il ricorso della COGNOME rileva che, anche a voler concedere che provenisse da Moccia la provvista del primo acquisto immobiliare compiuto da costei, tale finanziamento sarebbe stato pari a 40.000 euro, potendo perciò mantenersi la confisca fino a concorrenza di tale valore e dovendo essa, invece, revocarsi per la parte residua, ampiamente superiore.
Ha depositato requisitoria scritta la Procura generale, chiedendo di rigettare i ricorsi ed osservando, in particolare, che:
-l’art. 117, d.lgs. n. 159 del 2011, è costantemente interpretato dalla giurisprudenza di legittimità nel senso ritenuto dai giudici d’appello (si citano precedenti);
-secondo quanto reso noto con informazione provvisoria, in attesa del deposto delle motivazioni, le Sezioni unite di questa Corte hanno statuito che, in materia di confisca di prevenzione, il terzo interessato possa far valere soltanto la propria titolarità del bene vincolato, non anche le questioni relative ai presupposti soggettivi della misura, che riguardano esclusivamente il proposto;
-l’indisponibilità, da parte della COGNOME, dei fondi occorsi per il primo acquisto immobiliare del 2002 è stata definitivamente accertata dalla Corte di cassazione con la sentenza che ha concluso il giudizio di prevenzione ed il dato non è smentito dalle successive sentenze;
ai fini della revoca, come si può evincere dalla successiva tipizzazione dei casi di revocazione contenuta nell’art. 28, d.lgs. n. 159, cit., non è sufficiente i contrasto di giudicati, essendo necessario che le successive sentenze penali successivamente emesse o divenute note escludano in modo assoluto l’esistenza dei presupposti legittimanti la confisca.
Le difese hanno entrambe depositato memorie scritte altrettanto articolate, concludendo per l’accoglimento dei rispettivi ricorsi, ribadendone i motivi ed altresì osservando, in particolare, che:
in assenza delle motivazioni, non può ritenersi decisiva la pronuncia delle Sezioni unite che ha ridotto, per il terzo, lo spettro delle possibili doglianze, rispetto a quello consentito al proposto;
-è errato l’assunto del Procuratore generale secondo cui la prova della riconducibilità a COGNOME, tramite COGNOME, delle somme impiegate per l’acquisto dell’immobile confiscato deriverebbe da conversazioni intercettate, risiedendo, in realtà, nella sole dichiarazioni di COGNOME;
il definitivo giudizio d’inattendibilità di quest’ultimo comporta che le relative dichiarazioni, poste a fondamento della confisca, costituiscano “atto falso”, come tale idoneo a giustificare la revocazione, a norma dell’art. 28, comma 1, lett. c), d.lgs. n. 159 del 2011.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Evidentemente pregiudiziale è la disamina del motivo in rito, in tema di disciplina applicabile e di riflessi sulla competenza, proposto dalla difesa della “MPS”.
La doglianza è manifestamente destituita di fondamento,
Essa muove, infatti, dalla lettura della sola massima ufficiale del precedente citato, che, invece, se letto nella sua interezza, conferma anch’esso il principio, costantemente affermato dalla giurisprudenza di legittimità e correttamente applicato dal provvedimento impugnato: ovvero che, in tema di confisca di prevenzione, il rimedio della revocazione della decisione definitiva, attribuito dall’art. 28 d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159 alla competenza della Corte d’appello, non è esperibile nei procedimenti la cui proposta di applicazione della misura sia stata formulata prima del 13 ottobre 2011 (data di entrata in vigore del “codice antimafia”), continuando per essi ad applicarsi, in virtù della norma transitoria di cui all’art. 117 del citato decreto, l’art. 7 legge 27 dicembre 1956, n. 1423, il quale attribuisce la competenza per la revoca al medesimo organo giudicante che aveva disposto la confisca (così, tra le più recenti, Sez. 1, n. 9281 del 12/01/2024, in confl. comp. Corte appello Salerno, Rv. 286149).
Sono fondate, invece, nel loro complesso le doglianze attinenti alla verifica dei presupposti per la revoca della confisca.
È utile precisare, in proposito, che, nel caso in disamina, non si tratta dell’emergere di prove nuove successivamente al decreto definitivo di confisca, quanto piuttosto di un’ipotesi di eventuale contrasto di giudicati.
Tanto premesso, deve escludersi qualsiasi automatismo tra assoluzione nel merito del terzo dal delitto di c.d. “intestazione fittizia” (art. 12-quinquies, d.l. n. 306 del 1992, conv. dalla legge n. 356 del 1992) e revoca della confisca, senza alcuna possibilità di sindacato da parte del giudice chiamato a decidere di quest’ultima. Piuttosto, il compito di tale giudice è quello di verificare se gl accertamenti in fatto posti a fondamento dei due provvedimenti definitivi siano logicamente inconciliabili tra loro, non versandosi altrimenti in un’ipotesi di effettivo contrasto di giudicati.
Peraltro, in un’ottica di omogeneizzazione dei due istituti e delle relative discipline, rivelandosi altrimenti iniqua l’applicazione di differenti standards probatori a situazioni sostanzialmente analoghe, deve trovare applicazione, anche nel caso della revoca ex tunc, a norma dell’art. 7, legge n. 1423, cit., il principio fissato dal legislatore del 2011 per la revocazione, secondo cui le sentenze penali irrevocabili, intervenute o conosciute successivamente alla confisca definitiva,
possono travolgere quest’ultima soltanto quando «escludano in modo assoluto»
l’esistenza dei relativi presupposti applicativi (art. 28, lett.
b, d.lgs. n. 159, cit.).
3. Da tanto consegue la necessità che il giudice del merito compia un’approfondita valutazione comparativa tra le ragioni del decreto di confisca e
quelle delle successive sentenze, valutando se queste ultime siano assolutamente inconciliabili sul piano logico con le prime e dandone puntuale giustificazione.
Il provvedimento impugnato, di conseguenza, dev’essere annullato con rinvio.
4. Rimangono assorbite le ulteriori doglianze, in particolare quella sull’errore di fatto in cui sarebbero incorsi i giudici delle impugnazioni nel procedimento di
quantum prevenzione e quella sul
della confisca (punti 3.3 e 3.4 del ritenuto in fatto), perché chiaramente subordinate e consequenziali rispetto al tema oggetto
del giudizio di rinvio.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata, con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Napoli in diversa composizione. Così deciso in Roma, il 12 maggio 2025.