Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 17861 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 17861 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 17/03/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOMECOGNOME nato a Capizzi il 20/02/1965
avverso la ordinanza (decreto) del 08/08/2024 della Corte di appello di Catania visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo che il ricorso sia rigettato.
RITENUTO IN FATTO
Con il decreto in epigrafe indicato, la Corte di appello di Catania, quale giudice del rinvio, a seguito di annullamento della Corte di cassazione, rigettava l’appello proposto da NOME COGNOME avverso il decreto del Tribunale di Catania dell’22 novembre 2016, che aveva a sua volta rigettato le sue istanze di revoca della misura di prevenzione, emessa a suo carico il 14 ottobre 2009.
La vicenda processuale trae origine dalla confisca di prevenzione, disposta con decreto emesso dal Tribunale di Catania il 14 ottobre 2009, divenuto irrevocabile il 20 giugno 2013, nei confronti sia dello COGNOME, sottoposto alla misura dj prevenzione della sorveglianza speciale di P.S. con obbligo di soggiorno, per
ritenuto indiziato di appartenenza GLYPH alla GLYPH famiglia GLYPH “Santapaola-Ercolano” dell’organizzazione mafiosa denominata “Cosa nostra”, sia di terzi interessati.
La Corte di appello di Catania, con decreto del 22 dicembre 2019, aveva accolto l’appello di NOME COGNOME avverso il provvedimento del Tribunale di Catania, che aveva respinto la sua istanza di revoca della confisca, ordinando la restituzione dei beni mobili ed immobili oggetto della misura ablativa.
Il provvedimento era stato impugnato in sede di legittimità dal Procuratore generale e la Corte di cassazione con sentenza della Sesta Sezione del 13 ottobre 2020, n. 3610 del 2021, aveva annullato con rinvio il decreto per nuovo giudizio.
I profili sollevati dal Procuratore generale riguardavano: la violazione di legge ex artt. 7, comma 2, della legge 27 dicembre 1956, n. 1423 e 2-ter della legge 31 maggio 1965, n. 575, per avere la Corte distrettuale erroneamente ritenuto ammissibile l’istanza di revoca sulla base di documenti preesistenti, ma rinvenuti e prospettati dalla difesa solo successivamente alla decisione della Suprema Corte del 20 giugno 2013, che aveva rigettato il ricorso del proposto e dei terzi interessati statuendo la irrevocabilità della confisca; la violazione di legge in relazione al metodo di analisi della sproporzione dei redditi (nella specie, quello della cd. “stratificazione dei redditi”, che valorizzava gli accantonamenti effettuati negli anni precedenti, riportando l’eventuale plusvalenza annuale nel periodo successivo al suo verificarsi).
Queste censure sono state ritenute entrambe fondate dalla Corte di cassazione.
In sede di rinvio, la Corte di appello di Catania, con ordinanza del 21 marzo 2023, aveva nuovamente accolto l’appello dello COGNOME e revocato la confisca.
Avverso tale provvedimento era stato proposto ricorso per cassazione da parte dell’Agenzia Nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata.
La Corte di cassazione, Seconda Sezione, con sentenza n. 47886 del 19 settembre 2023, aveva accolto il ricorso, annullando con rinvio anche questa decisione, sul rilievo che la Corte di appello, nel valutare la novità della prova prodotta dallo COGNOME, non aveva fatto buon governo del principio di diritto affermato dalla sentenza rescindente (ovvero che la tardività nella allegazione della prova prodotta dallo COGNOME in sede di revoca – trattandosi di prova preesistente e non valutata nel procedimento di prevenzione – non doveva essere addebitabile a condotta imputabile all’interessato). Secondo la Corte di cassazione, la motivazione era apparente e non in linea con la sentenza rescindente a proposito dell’esame della valida ragione giustificativa del ritardo nella produzione documentale, in quanto si trattava di documentazione proveniente dallo stesso,-
interessato, della quale egli era a conoscenza in quanto relativa a contributi agricoli percepiti negli anni attraverso il sistema bancario.
Avverso la suddetta ordinanza hanno proposto ricorso per cassazione i difensori di COGNOME, avv. NOME COGNOME e avv. NOME COGNOME denunciando i motivi di annullamento, di seguito sintetizzati conformemente al disposto dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al carattere di novità della prova dedotta.
2.1.1. La difesa ha ripercorso l’esegesi di legittimità sulla nozione di “prova nuova”, rilevante ai fini della revoca della confisca di prevenzione, che ha trovato il suo ultimo approdo nel pronunciamento delle Sezioni Unite n. 43668 del 2022, Lo Duca.
La istanza del ricorrente si era mossa in questo perimetro e la Corte di cassazione con la seconda sentenza rescindente ha fatto applicazione dei principi affermati dalle Sezioni Unite, chiedendo la verifica di una valida ragione giustificativa del ritardo nella produzione documentale, trattandosi di documentazione proveniente dallo stesso interessato.
La risposta a questo tema da parte della Corte di appello integra violazione di legge.
Si è addebitata al ricorrente la mancanza di ordinaria diligenza nella conservazione della documentazione, non considerando che si trattava di contributi agricoli risalenti ad oltre un decennio prima del sequestro del 2008 (che impediva anche di ottenere la relativa documentazione bancaria). In tal modo la Corte di appello ha fornito un’interpretazione in contrasto con l’art. 2220 cod. civ. Inoltre, la Corte territoriale, nell’esaminare l’obbligo di conservazione documentale, ne ha fornito un originale contenuto, non presente nell’ordinamento, imponendo all’interessato, in una sorta di chiaroveggenza, di conservare la documentazione quando si verta in attività illecita o di contatti con soggetti riconducibili alla criminalità.
La Corte di appello ha dato rilievo al congruo tempo a disposizione dell’interessato per reperire la documentazione, non considerando che la documentazione non era resa disponibile in ogni caso presso gli archivi AGEA se non dopo la irrevocabilità della confisca.
Si sostiene infine che la difesa non si è mai lamentata della carenza documentale durante il giudizio di prevenzione: questa circostanza conferma peraltro, l’impossibilità di ottenerla, rendendola pertanto non deducibile nel procedimento.
2.1.2. il provvedimento impugnato è censurabile anche là dove ritiene la necessità di richiamare i periti per rivalutare le loro conclusioni sulla base dei documenti sopravvenuti.
Nel primo giudizio di appello, avverso il rigetto della istanza di revoca, i periti avevano già esaminato quei documenti escludendo la sproporzidne.
La Corte di appello sembra pretendere un’inversione dell’onere della prova, contrariamente ai principi di diritto affermati in materia.
2.2. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al criterio della stratificazione nel calcolo del rapporto di congruità delle fonti-impieghi.
In modo erroneo, la Corte di appello ha ritenuto che il criterio della stratificazione non sia stato utilizzato nel procedimento di prevenzione.
Tale modalità non poteva pertanto essere rivalutata.
Quanto al principio di diritto affermato nella prima sentenza rescindente, esso imponeva di calcolare la capacità reddituale del soggetto al momento del singolo acquisto attraverso il metodo della c.d. stratificazione, secondo un criterio dinamico di capacità reddituale indicato dalle Sezioni Unite Montella, considerando le somme lecite disponibili.
Applicando tale criterio, nessun anno risulta squilibrato, calcolando il surplus lecito maturato fino all’anno precedente.
Risulta, infine, irrilevante quanto affermato dalla Corte di appello in ordine all’impiego di elargizione pubbliche.
3. La difesa ha proposto motivi nuovi.
3.1. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al primo motivo.
Come ha precisato un arresto della Suprema Corte (n. 7009 del 2023), la recente coniazione del concetto di prova nuova esplica i suoi effetti esclusivamente nell’ambito applicativo del nuovo istituto della revocazione introdotto dall’art. 28 d.lgs. n. 159 del 2011. Di conseguenza, ogni qual volta debba essere applicata ratione temporis la disciplina della revoca in funzione di revisione trova piena operatività non solo la normativa di cui all’art. 7 I. 1423 del 1956, ma anche l’interpretazione giurisprudenziale della prova nuova che, in relazione a tale istituto, è stata specificamente elaborata per la sua attuazione e per la valutazione dell’ammissibilità delle istanze di revoca (segnatamente la sentenza delle Sezioni Auddino).
La questione peraltro non appare pacifica: la Quinta Sezione ha ritenuto di rimettere alle Sezioni unite il ricorso relativo al procedimento R.G. n. 31947 del 2024 (ricorrenti gli eredi del signor NOME COGNOME), che è strettamente connesso a quello in esame (NOME COGNOME, proposto nel procedimento,’ in trattazione, è figlio nonché erede del signor NOME COGNOME).
In ogni caso, la novità della prova appare del tutto palese sia qualora si adotti il perimetro ermeneutico tracciato dalle Sezioni Unite Auddino, sia ove si ritenga applicabile l’interpretazione data dalle Sezioni Unite Lo Duca anche alla confisca ex art. 7 della L. 1423/1956.
In subordine, si chiede che – ai sensi dell’art. 618 cod. proc. pen. – il ricorso venga rimesso alle Sezioni Unite o rinviato in attesa della decisione nell’ambito del proc. 31947/2024.
La difesa ha inoltre presentato una memoria di replica alle conclusioni di rigetto del Procuratore generale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato per le ragioni di seguito illustrate.
Come anche la difesa ha convenuto, il procedimento in esame resta regolato dalla normativa previgente al d.lgs. n. 159 del 2011 (cfr. art. 117).
Ne consegue che, stante la formulazione dell’art. 7 I. n. 1423 del 1956, devono ritenersi preclusi in questa sede i vizi della motivazione che non siano riconducibili alla violazione di legge, l’unico devolvibile a questa Corte in materia di misure di prevenzione secondo la suddetta disciplina.
Va invero rammentato che nel procedimento di prevenzione il ricorso per cassazione è ammesso soltanto per violazione di legge, secondo il disposto dell’art. 4 legge 27 dicembre 1956, n. 1423, richiamato dall’art. 3-ter, secondo comma, legge 31 maggio 1965, n. 575; ne consegue che, in tema di sindacato sulla motivazione, è esclusa dal novero dei vizi deducibili in sede di legittimità l’ipotesi dell’illogicità manifesta di cui all’art. 606, lett. e), cod. proc. pen., poten esclusivamente denunciare con il ricorso, poiché qualificabile come violazione dell’obbligo di provvedere con decreto motivato imposto al giudice d’appello dal nono comma del predetto art. 4 legge n.1423 del 56, il caso di motivazione inesistente o meramente apparente (Sez. U, n. 33451 del 29/05/2014, Repaci, Rv. 260246, in motivazione la Suprema Corte ha ribadito che non può essere proposta come vizio di motivazione mancante o apparente la deduzione di sottovalutazione di argomenti difensivi che, in realtà, siano stati presi in considerazione dal giudice o comunque risultino assorbiti dalle argomentazioni poste a fondamento del provvedimento impugnato).
Ciò premesso, vertendosi in ipotesi di ricorso avverso un provvedimento emesso in sede di rinvio, dopo l’annullamento della Corte di cassazione, va ) , (1
primo luogo esclusa la possibilità di ridimensionare o reinterpretare il dictum della Corte di cassazione, alla luce di un’esegesi di segno differente, o addirittura di porlo in discussione con il ricorso alle Sezioni Unite.
Questa Corte ha più volte affermato che il principio di diritto enunciato in sede di annullamento con rinvio, in quanto immodificabile e sottratto ad ulteriori mezzi di impugnazione, acquista autorità di giudicato interno, anche quando contrasti con un principio in precedenza espresso dalle Sezioni Unite sulla medesima questione oggetto di decisione (Sez. 1, n. 464 del 22/09/2020, dep. 2021, Rv. 280213, in motivazione, la Suprema Corte ha aggiunto che siffatta autorità del principio osta altresì a che la Corte di cassazione, chiamata a decidere del ricorso avverso la sentenza rescissoria del giudice di rinvio, investa a sua volta le Sezioni Unite) o quando successivamente, risulti contrario al diverso principio affermato dalle Sezioni Unite in analoga fattispecie (Sez. 6, n. 14433 del 14/01/2020, COGNOME, Rv. 278848).
2.1. Dovendosi t quindi,far riferimento al principio di diritto affermato dalla sentenza rescindente in tema di prova nuova, deve osservarsi quanto segue.
La Corte di appello, nel revocare la confisca, aveva ritenuto prova nuova i documenti preesistenti, ma rinvenuti e prospettati dalla difesa solo successivamente alla irrevocabilità della confisca (documentazione relativa all’erogazione di contributi “AGEA” in favore di NOME COGNOME e NOME COGNOME, all’erogazione di un mutuo agrario e alle anticipazioni di contributi agricoli da parte di un istituto di credito), le cui risultanze avrebbero attestato presenza di disponibilità finanziarie per importi tali da rendere annualmente compatibili, in quanto non documentati, seppure già noti, i flussi finanziari sia in entrata che in uscita, applicando il criterio della cd. “stratificazione”.
La Suprema Corte ha stabilito, con la prima sentenza rescindente, il principio di diritto, secondo cui la nozione di prova nuova nel procedimento di prevenzione, rilevante ai fini della revoca ex tunc della misura ablativa, non può riguardare la prova “preesistente, deducibile e non dedotta” nell’ambito del suddetto procedimento, censurando il provvedimento impugnato che non aveva precisato, sulla base di congrue argomentazioni, se gli elementi di prova prodotti dall’interessato a sostegno della istanza fossero o meno preesistenti, deducibili ma “non dedotti senza una valida ragione giustificativa” nell’ambito del procedimento de quo.
La Suprema Corte, con la seconda sentenza rescindente, ha soltanto precisato ulteriormente come tale principio si ponesse in linea con l’insegnamento delle Sezioni Unite in tema di prova nuova, rilevante ai fini della revocazione della , misura ai sensi dell’art. 28 del d.lgs. 6 settembre 2001, n. 159, ovvero che ess i riconnprende anche la prova “deducibile e non dedotta” nell’ambito del
procedimento di prevenzione a condizione che l’interessato dimostri l’impossibilità di tempestiva deduzione per forza maggiore (Sez. U, n. 43668 del 26/05/2022, Lo Duca).
2.2. Così delimitata la questione da esaminare, va osservato che il ricorso mira a contestare in primo luogo la valutazione della Corte di appello in ordine alla valida ragione giustificativa del ritardo nel produrre la nuova prova.
Peraltro, limitato il controllo di questa Corte alla sola violazione di legge, Collegio ritiene che la decisione impugnata non meriti censura.
La Corte di appello non è infatti incorsa né in violazione di legge, né in vizi della motivazione talmente gravi da configurare la violazione di legge.
Il ragionamento giustificativo della Corte di appello si impernia sul non giustificabile ritardo del ricorrente nel reperire la documentazione di cui aveva certamente notizia (i contributi percepiti negli anni 1987-1997), stante l’ampio spazio temporale a disposizione nel corso del giudizio per reperirla (il sequestro di prevenzione era stato notificato al ricorrente già nel 2009), non potendosi limitare la prova della propria diligenza nella mera mancata/tardiva risposta alla richiesta fatta comunque solo nel 2015 all’Ente erogatore dei contributi.
Nel procedimento di prevenzione, secondo la Corte di appello, la parte aveva infatti goduto di un tempo certamente congruo per svolgere le proprie difese “piene” (con allegazioni e perizie) in ordine alla capienza dei redditi percepiti ne periodo attenzionato anche con riferimento a queste entrate.
Si tratta di valutazione che non può definirsi apparente, in quanto si è debitamente confrontata con la documentazione e gli argomenti indicati dalla difesa.
D’altra parte, non risulta (né il ricorrente lo ha sostenuto) che nel corso del procedimento di prevenzione sia stata allegata dalla difesa la esistenza di questa voce reddituale e la impossibilità oggettiva di documentarla.
Contributi dell’Agea, tra l’altro, che la stessa difesa, nonostante la risalent datazione, aveva avuto modo di allegare e documentare nel procedimento di prevenzione (cfr. pag. 3 del decreto della Corte di appello di Catania del 20 novembre 2012, nel quale si dà atto di introiti legittimi risultanti da apposit “tabella della Agenzia per le Erogazioni in Agricoltura”).
Una volta esclusa la novità della prova, risulta recessivo il secondo argomento relativo all’idoneità della prova nuova a ribaltare la decisione.
Sulla base di quanto premesso, il ricorso deve essere rigettato con ,J , é condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle sp processuali.
Così deciso il 17/0,3-f2
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