Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 43191 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 43191 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 24/09/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da
NOME, nato a Lucera il DATA_NASCITA
NOME, nata a Lucera il DATA_NASCITA
COGNOME NOME, nata a Lucera il DATA_NASCITA
NOME, nata a Lucera il DATA_NASCITA
avverso il decreto del 13/12/2023 della Corte di appello di Lecce visti gli atti, il provvedimento denunziato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; udite lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO NOME COGNOME AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo che i ricorsi siano
dichiarati inammissibili.
RITENUTO IN FATTO
Con il decreto in epigrafe indicata, la Corte di appello di Lecce dichiarava l’inammissibilità delle istanze proposte dalle terze intestatarie NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, mentre rigettava quella di NOME COGNOME, volte ad ottenere la revocazione della confisca di prevenzione disposta in loro danno.
Gli istanti avevano chiesto l’applicazione dell’art. 28, comma 1, d.lgs. n. 159 del 2011 con riferimento alla sentenza irrevocabile del 2021 che li aveva assolti dal reato di bancarotta fraudolenta con formula piena.
Va premesso che, con decreto del 14 ottobre 2015 del Tribunale di Foggia (irrevocabile il 31 gennaio 2017), era stata disposta la confisca di prevenzione di beni ritenuti nella disponibilità di NOME COGNOME (ritenuto persona socialmente pericolosa ai sensi dell’art. 1, lett. b, d.lgs. n. 159 del 2011), intestati formalmente alla moglie NOME COGNOME e alle loro figlie NOME e NOME.
La Corte di appello riteneva le istanze delle terze intestatarie inammissibili per difetto di legittimazione rispetto al profilo dedotto (la sussistenza della condizione di pericolosità sociale del proposto) e valutava infondata quella di NOME COGNOME, in quanto l’intervenuta assoluzione riguardava soltanto una delle imputazioni a suo carico sulle quali era stato fondato il giudizio di pericolosità e l’istante non aveva dimostrato che quella assoluzione aveva determinato l’impossibilità assoluta di qualificarlo come soggetto socialmente pericoloso.
Avverso il suddetto decreto ha proposto ricorso per cassazione il difensore e procuratore speciale di NOME COGNOME e delle terze interessate sopra indicate, denunciando i motivi di annullamento, di seguito sintetizzati conformemente al disposto dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Violazione di legge in relazione alla legittimazione a proporre istanza di revocazione da parte delle terze interessate.
Nessuna norma preclude la legittimazione del terzo interessato a proporre istanza di revocazione in presenza dei presupposti di cui all’art. 28 d.lgs. n. 159 del 2011 (non essendo tra l’altro consentito il ricorso all’incidente di esecuzione, avendo partecipato al procedimento).
2.2. Erronea applicazione dell’art. 28 d.lgs. n. 159 del 2011 e illogicità della motivazione sul punto.
Il provvedimento di confisca si basava sostanzialmente sul procedimento per bancarotta fraudolenta, come si evince testualmente dal decreto impositivo.
Sono riportati dalla difesa gli arresti giurisprudenziali in tema di rilevanza del giudizio assolutorio nel giudizio di prevenzione.
La sopravvenuta assoluzione veniva quindi a svuotare inequivocabilmente, per la portata subvalente degli altri elementi, la condizione soggettiva di pericolosità sociale del proposto.
La Corte di appello ha considerato invece dirimenti i residuali precedenti penali, nonostante l’errore materiale contenuto in una delle sentenze di condanna quanto all’ammontare (notevolmente inferiore) dei contributi omessi tra il 2007 e
il 2010, che rendeva i relativi addebiti del tutto marginali rispetto al patrimonio confiscato (acquisito anche in epoca precedente a tali reati).
Si tratta infatti di un patrimonio di oltre 3 milioni di euro a fronte di prof per circa 120.000 euro.
La difesa dei ricorrenti ha chiesto la trattazione con discussione orale.
All’udienza camerale del 12 giugno 2024 il Presidente del Collegio ha deciso di differire la deliberazione, ai sensi dell’art. 615 cod. proc. pen., all’udienza de 24 settembre 2024.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorso delle terze interessate sono da rigettare, mentre va dichiarato inammissibile il ricorso di NOME COGNOME.
Va premesso che il procedimento per la trattazione in sede di legittimità dei ricorsi in materia di misure di prevenzione si svolge nella forma ordinaria dell’udienza camerale non partecipata, prevista dall’art. 611 cod. proc. pen., anche in caso di istanza di procedere nelle forme dell’udienza pubblica o del rito camerale partecipato, in quanto il principio di pubblicità dell’udienza, qualora l’interessato ne abbia fatto richiesta, affermato dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 93 del 2010 e dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo con la sentenza del 13 novembre 2007, nella causa RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE c. Italia, si riferisce esclusivamente alla fase di merito (Sez. 6, n. 50437 del 28/09/2017, Rv. 271500).
Quanto ai ricorsi delle terze interessate, va rammentato che l’art. 28, comma 2, d.lgs n. 159 del 2011 stabilisce che “la revocazione può essere richiesta solo al fine di dimostrare il difetto originario dei presupposti per l’applicazione dell misura”.
Pertanto, il terzo interessato deve poter dimostrare con la richiesta di revocazione la mancanza delle condizioni che in sede di procedimento applicativo della confisca legittimavano la misura nei suoi confronti.
La Corte di appello ha ritenuto che l’intervenuta assoluzione non legittimasse le terze interessate (in questa sede ricorrenti) alla presentazione della istanza, in quanto il thema probatorio per costoro rimaneva pur sempre esclusivamente l’effettiva titolarità e la proprietà dei beni sottoposti a vincolo.
3.1. Va osservato che l’orientamento in tema di legittimazione e interesse del terzo interessato dalla confisca a contestare i presupposti per l’applicazione della misura personale nei confronti del proposto non è del tutto pacifico.
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Ad un orientamento decisamente minoritario, espresso da Sez. 5, n. 12374 del 14/12/2017, dep. 2018, Rv. 272608, per il quale «in tema di confisca di prevenzione, il terzo che rivendica l’effettiva titolarità e la proprietà dei be oggetto di vincolo è legittimato ed ha interesse non solo a contestare la fittizietà dell’intestazione, ma anche a far valere l’insussistenza dei presupposti per l’applicazione della misura nei confronti del proposto», si contrappone infatti una esegesi largamente diffusa e condivisa dalla giurisprudenza di legittimità, affermatasi da tempo e ribadita da innumerevoli decisioni anche recenti (da ultimo, Sez. 2, n. 20193 del 19/04/2024, Rv. 286441; Sez. 6, n. 17519 del 27/02/2024, Rv. 286418; Sez. 6, n. 5094 del 09/01/2024, Rv. 286058), secondo cui “in caso di confisca di prevenzione avente ad oggetto beni ritenuti fittiziamente intestati a un terzo, quest’ultimo può rivendicare esclusivamente l’effettiva titolarità e la proprietà dei beni sottoposti a vincolo, assolvendo al relativo onere di allegazione, ma non è legittimato a contestare i presupposti per l’applicazione della misura, quali la condizione di pericolosità, la sproporzione fra il valore del bene confiscato e il reddito dichiarato, nonché la provenienza del bene stesso, che solo il proposto può avere interesse a far valere”.
Tra questi due orientamenti, si è di recente profilato un ulteriore orientamento, intermedio, in forza del quale il terzo intestatario del bene è abilitato a interloquire anche sulla perimetrazione temporale della pericolosità del proposto, quando il bene confiscato fuoriesca da essa, ferma restando la estraneità della difesa del terzo (tranne i casi di surroga legale del contraddittorio, in luogo del portatore di pericolosità defunto, di cui all’art. 18, commi 2 e 3, d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159) ai temi di prova strettamente correlati alla colpevolezza dell’imputato per il reato spia della confisca estesa o alla sussistenza della condizione soggettiva di pericolosità in prevenzione (Sez. 1, n. 13375 del 20/09/2017, dep. 2018; Sez. 1, n. 19094 del 15/12/2020, dep. 2021, Rv. 281362, che, sebbene riferita all’analogo tema della confisca ex art. 240-bis cod. pen., prende espressamente in considerazione anche la confisca di prevenzione).
3.2. Ebbene, va osservato che, anche a voler accedere agli orientamenti minoritari sopra citati, le ricorrenti in ogni caso nel caso in esame si sono limitate nella istanza di revocazione a demolire il solo presupposto della misura ablatoria della pericolosità sociale del proposto, senza rivendicare, neppure in ipotesi, l’effettiva titolarità e la proprietà dei beni oggetto di vincolo ovvero interloqui sulla perimetrazione temporale della pericolosità del proposto.
Nella sentenza Sez. 5, n. 12374 del 14/12/2017, cit., la Suprema Corte ha ritenuto infatti che il terzo, che “rivendica la proprietà dei beni e contesta la lor fittizia intestazione a suo favore”, sia “anche” legittimato e abbia interes
demolire gli altri presupposti della confisca (pericolosità sociale del proposto e provenienza illecita dei beni).
Secondo questa esegesi, i motivi di impugnazione debbono essere valutati ex ante nella loro attitudine distruttiva della pretesa fatta valere, e che quindi, ne rispetto del fondamentale diritto di difesa, possono essere anche articolati su piani concorrenti e/o graduati. In ogni caso resta indefettibile, anche secondo l’orientamento minoritario, che il terzo faccia valere di essere il solo vero ed effettivo proprietario del bene confiscato.
In questa prospettiva, pertanto, la questione sollevata dalle ricorrenti è infondata e va pertanto rigettata la loro impugnazione.
Il ricorso di NOME COGNOME è invece inammissibile perché avanza censure precluse.
Va premesso che il ricorrente con il decreto divenuto irrevocabile era stato ritenuto socialmente pericoloso perché dedito nel periodo interessato alla commissione di reati contro il patrimonio, la sicurezza del lavoro e l’economia.
La Corte di appello con il decreto impugnato ha rilevato che il giudizio di pericolosità non si basava soltanto sul procedimento per bancarotta (oggetto della sopravvenuta assoluzione), ma anche su altri precedenti penali e pendenze, espressamente riportati nel decreto del Tribunale.
Ebbene, le doglianze del ricorrente si appuntano su profili eminentemente motivazionali e pertanto preclusi in questa sede.
Va rammentato che il ricorso in materia di prevenzione può essere proposto solo per violazione di legge, risultando estranei a tale ambito i vizi della motivazione che non si traducano in motivazione mancante o apparente, o la mera deduzione di sottovalutazione di argomenti difensivi che, in realtà, siano stati presi in considerazione dal giudice o comunque risultino assorbiti dalle argomentazioni poste a fondamento del provvedimento impugnato (Sez. U, n. 33451 del 29/05/2014, Repaci, Rv. 260246).
La Corte di appello non è incorsa in alcuna violazione di legge, in quanto ha correttamente espunto dal giudizio di pericolosità i fatti di bancarotta, rilevando, con ragionamento che non può definirsi apparante o mancante, che i medesimi fatti non erano gli unici o comunque non erano quelli determinanti a fondare il giudizio in parola.
Va segnalato che nella istanza di revocazione la difesa si era limitata a sostenere che la vicenda della bancarotta aveva avuto “un peso specifico” sul giudizio di pericolosità in quanto aveva cagionato un danno di rilevante gravità, risultando lo stato passivo del fallimento di oltre 5 milioni di euro.
Ebbene, nel decreto impugnato, la Corte di appello ha posto in evidenza come le condotte relative agli omessi versamenti dei contributi avessero comunque riguardato “importi assolutamente consistenti”.
Importi che anche in questa sede la difesa mira a rivalutare, pur trattandosi di circostanze irrevocabilmente accertate in sede penale e neppure contestate nel procedimento di prevenzione.
Alla stregua di tali rilievi il ricorso di NOME COGNOME va dichiara inammissibile, con la condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento e, considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, deve, altresì, disporsi che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di tremila euro, in favore della Cassa delle ammende.
I ricorsi delle terze interessate devono essere invece rigettati, con la loro condanna al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso di NOME COGNOME, che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000 in favore della Cassa delle ammende.
Rigetta i ricorsi di NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, che condanna al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 24/0-9/2024.