Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 10605 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 10605 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 12/12/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a VILLARICCA il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 27/06/2023 del GIP TRIBUNALE di NAPOLI
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del PG, NOME COGNOME, la quale ha chiesto che il ricorso sia dichiarato inammissibile.
Ritenuto in fatto
Con sentenza del GIP presso il Tribunale di Napoli, emessa all’esito di giudizio abbreviato in data 29.4.2015, irrevocabile in data 29.9.2020, veniva disposta nei confronti di NOME COGNOME la confisca, ex art. 12-sexies, d.l. n. 306 del 1992 e 416-bis, comma 7, cod. pen., di un immobile di sua proprietà.
Il COGNOME ha promosso incidente di esecuzione chiedendo la revoca della confisca, sostenendo che l’immobile era stato erroneamente sottoposto a vincolo dal momento che gli era pervenuto per successione ereditaria.
Con ordinanza in data 27.6.2023, il GIP, in funzione di giudice dell’esecuzione, ha dichiarato inammissibile l’istanza, rilevando che il rimedio dell’incidente di esecuzione attivato dal COGNOME e fondato sulla asserita sopravvenienza di prove nuove non era utilmente proponibile, dal momento che la confisca era stata disposta con sentenza e a fondamento della richiesta di revoca si invocava l’erronea considerazione di una situazione di fatto costituente condizione di legittimità della misura e, specificamente, l’assenza di giustificazione circa la provenienza lecita del bene.
In ogni caso, il GIP ha ritenuto inammissibile l’istanza in quanto trattavasi di mera riproposizione di un incidente di esecuzione analogo, sia pure proposto invocando l’errore materiale ex art. 130 cod. proc. pen., già dichiarato inammissibile con provvedimento che non era stato impugnato.
Avverso tale ordinanza, il COGNOME ha proposto opposizione avanti al giudice dell’esecuzione, ai sensi dell’art. 667, comma 4, cod. proc. pen.
Innanzitutto, la difesa ha rilevato che la giurisprudenza di legittimità ha ritenuto ammissibili istanze di revisione fondate su prove acquisite ma non valutate, purché non dichiarate inammissibili o ritenute superflue (Sez. 4, n. 25862 del 2019). Le Sezioni unite Lo Duca (n. 43668 del 26/05/2022), richiamate dall’ordinanza opposta, non avrebbero ritenuto preclusa la revocazione della confisca in ragione di prove preesistenti, dedotte ma non valutate, non avendo preso in considerazione tale ipotesi.
Il ricorrente sostiene, inoltre, che l’istanza rigettata dal GIP non costituiva mera riproposizione di istanza già rigettata, in quanto il precedente incidente di esecuzione aveva un fondamento giuridico diverso, dal momento che con esso si eccepiva l’esistenza di un errore materiale in cui era incorso il giudice di primo grado, sebbene «il sostrato di fatto» fosse sostanzialmente lo stesso.
Con provvedimento in data 26.7.2023, il giudice dell’esecuzione, rilevato che il provvedimento opposto era stato emesso ai sensi dell’art. 666, comma 2, cod. proc. pen., e non dell’art. 667, comma 4, ha riqualificato l’opposizione in ricorso per cassazione, disponendo la trasmissione degli atti a questa Corte.
Il Procuratore generale ha depositato conclusioni scritte con cui ha chiesto che il ricorso sia dichiarato inammissibile.
Considerato in diritto
Il ricorso è inammissibile, perché generico e manifestamente infondato.
Esso involge la questione della possibilità di proporre incidente di esecuzione ai fini della revoca della confisca cd. “allargata”, ex art. 12-sexies, dl. n. 306 del 1992, disposta con sentenza di condanna divenuta irrevocabile.
Tale questione è stata pacificamente risolta dalla giurisprudenza di questa Corte in senso positivo con riguardo alla posizione dei terzi che non abbiano preso parte al giudizio già definito, i quali sono legittimati a richiedere la revoca del confisca in sede esecutiva (Sez. U, n. 27421 del 25/02/2021, RAGIONE_SOCIALE, P.v. 281561, in motivazione; Sez. 1, n. 4096 del 24/10/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 276163).
Per quanto attiene, invece, a colui che ha preso parte al procedimento, la giurisprudenza di legittimità ha adottato soluzioni differenti a seconda che il provvedimento ablatorio sia stato emesso in sede di esecuzione, ovvero di cognizione. Si è infatti ritenuto che, ove la confisca allargata sia emessa dal giudice dell’esecuzione (secondo quanto attualmente previsto dall’art. 183-quater disp. att. cod. proc. pen., e in precedenza ammesso da Sez. U., n. 29022 del 30/05/2001, Derouach, Rv. 219221), deve essere riconosciuto alla persona i cui beni siano stati confiscati il diritto di chiedere al giudice dell’esecuzione la revoc della confisca da lui ordinata, allorché siano prospettati fatti non considerati al tempo dell’emissione della misura, sempre che con l’incidente di esecuzione non si deducano situazioni di fatto costituenti condizioni di legittimità della misura, attinenti all’assenza di giustificazione circa la provenienza dei beni e al loro valore non proporzionato al reddito dichiarato o all’attività economica lecita del soggetto colpito, e che dunque non si pongano in conflitto con l’accertamento coperto da giudicato. Deve invero trattarsi di prove nuove sopravvenute alla conclusione del procedimento, tali dovendosi intendere anche quelle preesistenti, che non siano state valutate nemmeno implicitamente dal giudice (Sez. 1, n. 4196 del 09/01/2009, COGNOME, Rv. 242844; Sez. 1, n. 27367 del 28/01/2021, COGNOME, Rv. 281634). A tale conclusione questa Corte è addivenuta attraverso un’interpretazione costituzionalmente orientata delle disposizioni vigenti, le quali non prevedono espressamente l’esperibilità della revisione avverso provvedimenti in tema di misure di sicurezza patrimoniali emesse in sede esecutiva.
Diversamente, si è affermato che la confisca ex art. 12-sexies, I. n. 356 del 1992 disposta con sentenza definitiva non può essere revocata dal giudice dell’esecuzione, non essendo tale potere contemplato dall’art. 676 cod. proc. pen. e non potendosi applicare la disciplina della revoca prevista per le misure di ,,,
prevenzione. Invero, benché la confisca allargata presenti presupposti applicativi in parte coincidenti con la confisca di prevenzione, dal momento che per entrambe è previsto che i beni si trovino nella disponibilità diretta o indiretta dell’interessa e presentino un valore sproporzionato rispetto al reddito di quest’ultimo, tuttavia, solo per la confisca di prevenzione è prevista la possibilità di sottrarre al proposto i beni che siano frutto di attività illecita ovvero ne costituiscano il reimpiego (Sez 1, n. 13242 del 10/11/2020, dep. 2021, Fortuna, Rv. 280986; Sez. 5, n. 15284 del 18/12/2017, dep. 2018, COGNOME, Rv. 272837). La confisca allargata, la quale costituisce una misura di sicurezza atipica, ha finalità preventiva, e attraverso di essa l’ordinamento mira ad espropriare quelle ricchezze che siano derivate da attività illecite, al fine di prevenirne l’utilizzo quale strumento per ulteriori inizi delittuose (Sez. U, n. 27421 del 25/02/2021, COGNOME, Rv. 281561).
Tali diversità strutturali giustificano discipline differenti delle due misure, no potendosi ritenere consentita in sede esecutiva la revoca della confisca allargata disposta con la sentenza irrevocabile di condanna, ma neppure applicare la disciplina della revoca prevista per le misure di prevenzione patrimoniale (Sez. 6, n. 29200 del 30/06/2021, COGNOME, Rv. 281825; Sez. 1, n. 28525 del 24/09/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 276491. Si veda altresì Sez. 1, n. 4096 del 24/10/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 276163, la quale ha ribadito che la revoca della confisca in sede esecutiva può essere invocata solo dal terzo rimasto estraneo al giudizio di cognizione e non dalla parte che ha potuto e comunque avrebbe potuto sollevare le medesime questioni in detto giudizio, di modo che in quest’ultimo caso la decisione intervenuta in materia di confisca rimane intangibile per effetto della preclusione derivante dalla formazione del giudicato. Conf. Sez. 3, n. 29445 del 19/06/2013, Principalli, Rv. 255872; Sez. 3, n. 7036 del 18/01/2012, COGNOME, Rv. 252022). Si è pertanto affermato che la confisca ex art. 12-sexies, d.l. n. 306 del 1992, disposta con sentenza definitiva di condanna per i reati che la prevedono, non può essere revocata dal giudice dell’esecuzione quando siano emersi nuovi elementi di prova, dovendo promuoversi il rimedio straordinario della revisione del giudicato per elidere l’accertamento giudiziale su cui la misura di sicurezza si fonda (Sez. 6, n. 29200 del 30/06/2021, COGNOME, cit.). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Venendo ad esaminare il caso di specie, ritiene il Collegio che il primo motivo di ricorso sia inammissibile in quanto generico.
Invero, il ricorrente, pur affermando di aver dedotto a fondamento dell’istanza di revoca della confisca l’esistenza di una prova che sarebbe stata acquisita nel procedimento di cognizione ma non valutata dalle sentenze di merito, ha omesso del tutto di indicare le prove acquisite nel giudizio di cognizione sulla cui base era stata disposta la confisca, nonché di specificare quale fosse la prova nuova dedotta
e come essa avrebbe inciso sulla decisione relativa alla apposizione del vincolo ablatorio, limitandosi genericamente ad affermare che avrebbe attestato che il bene confiscato era entrato nel suo patrimonio per successione ereditaria.
In ogni caso tale censura è manifestamente infondata.
Nella specie, la confisca ex art. 12-sexies, d.l. n. 306 del 1992 era stata disposta con la sentenza di condanna del COGNOME, pronunciata dal GIP presso il Tribunale di Napoli, e divenuta irrevocabile in data 29.9.2020.
Avverso la statuizione ablatoria recata da tale pronuncia il ricorrente ha proposto non già il rimedio della revocazione, bensì quello dell’incidente di esecuzione, deducendo che l’esistenza di una prova nuova, dalla quale risulterebbe che l’immobile confiscato era entrato nel suo patrimonio per via successoria e lamentando che tale circostanza, pur acquisita agli atti del processo, non era stata valutata. In tal modo il COGNOME ha utilizzato un rimedio che, secondo la giurisprudenza di legittimità sopra richiamata, non era esperibile, trattandosi di confisca disposta con sentenza definitiva di condanna (Sez. 6, n. 29200 del 30/06/2021, COGNOME, cit.; Sez. 1, n. 28525 del 24/09/2018, dep. 2019, COGNOME, cit.).
Inoltre, come correttamente rilevato dall’ordinanza impugnata, il ricorrente ha posto a fondamento dell’istanza di revoca la situazione di fatto relativa alla provenienza lecita del bene sottoposto a confisca e dunque una situazione costituente condizione di legittimità della misura, la quale tuttavia non avrebbe potuto essere dedotta con l’incidente di esecuzione neppure ove la confisca fosse stata disposta in sede esecutiva (Sez. 1, n. 27367 del 28/01/2021, COGNOME, Rv. 281634, cit.; Sez. 1, n. 4196 del 09/01/2009, COGNOME, cit.).
Manifestamente infondato è anche il secondo motivo di ricorso con cui si contesta la ritenuta inammissibilità dell’incidente di esecuzione, ai sensi dell’art. 666, comma 2, cod. proc. pen.
A fondamento della decisione impugnata, il GIP ha evidenziato che il COGNOME aveva già in precedenza proposto incidente di esecuzione con cui si chiedeva la revoca della confisca, in quanto ritenuta frutto di un errore materiale, valorizzando la provenienza per via successoria del bene confiscato, e che il medesimo era stato dichiarato inammissibile con provvedimento non impugnato.
La valutazione operata dal GIP, la quale assume carattere dirimente ai fini della inammissibilità dell’incidente proposto, va senz’altro esente da censure. È lo stesso ricorrente, infatti, ad affermare che il «sostrato di fatto» dell’incidente esecuzione già proposto era «sostanzialmente il medesimo», in tal modo riconoscendo il carattere meramente reiterativo della richiesta di revoca avanzata
in questa sede rispetto a quella precedente e pertanto la sua inammissibilità, ai sensi dell’art. 666, comma 2, cod. proc. pen.
Alla declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione consegue ex lege, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento, nonché al versamento in favore della Cassa delle ammende di una somma determinata, equamente, in euro 3.000,00, tenuto conto che non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità» (Corte cost. n. 186 del 13/06/2000).
PQM
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 12 dicembre 2023.