Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 7518 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 1 Num. 7518 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 31/01/2025
PRIMA SEZIONE PENALE
– Presidente –
COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME
– Relatore –
SENTENZA
sul ricorso proposto da: Procuratore generale presso la Corte d’appello di Roma, nel procedimento a carico di: NOME NOME nato a Roma il 08/12/1980, avverso l’ordinanza del 11/09/2024 della Corte di appello di Roma. Letti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto rigettarsi il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
NOME NOME COGNOME ha riportato condanna irrevocabile alla pena di anni 1 e mesi 4 di reclusione per il delitto di cui all’art. 7 d.l. 28 gennaio 2019, n. 4, convertito con modificazioni nella legge 28 marzo 2019, n. 26, «perchØ, al fine di ottenere il beneficio della corresponsione del reddito di cittadinanza, rendeva false dichiarazioni nell’istanza inoltrata al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, nonchØ al Ministero dell’Economia e delle Finanze», «omettendo di comunicare vincite al gioco per euro 323.567,783 e 136.019,39; in Roma, il 18.03.2019 (data di acquisizione dell’istanza)».
La sentenza di prime cure, in parte qua confermata nei successivi gradi di impugnazione, così disponeva: «Pena sospesa subordinata alle disposizioni che seguono. Visto l’art. 7 comma 3 d.l. 4/2019, dispone l’immediata revoca del beneficio con efficacia retroattiva e con restituzione di quanto indebitamente ricevuto, mandando alla cancelleria per le comunicazioni all’INPS».
Con istanza del 14 giugno 2024 il Procuratore generale di Roma chiedeva al giudice dell’esecuzione «di stabilire il termine entro il quale l’obbligo deve essere adempiuto, rimettendo gli atti a questo Ufficio per gli ulteriori incombenti esecutivi».
Nelle more dell’udienza, il difensore di fiducia del condannato depositava memoria, rappresentando la disponibilità del proprio assistito a «restituire la somma da lui percepita dall’INPS,
nello specifico da aprile 2019 a settembre 2020, per un totale complessivo di € 14.040, somma erogata a titolo di reddito di cittadinanza», chiedendo la rateizzazione del pagamento.
Il giudice dell’esecuzione, con il provvedimento oggi impugnato, dichiarava inammissibili l’istanza del Procuratore generale e la richiesta del difensore, e revocava di ufficio la condizione apposta al beneficio della sospensione condizionale della pena riconosciuto all’Halfon.
Rilevava che l’INPS non si era costituita parte civile nel procedimento in questione; che la somma che l’COGNOME avrebbe dovuto restituire all’INPS non era stata quantificata dai giudici della cognizione; che la determinazione della somma implicava «una valutazione di merito a cognizione piena» e, quindi, uno scrutinio che – anche a non voler ritenere una tale valutazione del tutto preclusa al giudice dell’esecuzione – non era nel caso di specie possibile compiere sulla base degli scarni atti in carteggio; che, in assenza di un provvedimento dell’Inps di determinazione delle modalità di adempimento, «l’imputato non potrebbe mai adempiere alla sua obbligazione, con il che resterebbe sostanzialmente sine die e incerta la concessione del beneficio»; che, dunque, l’omessa determinazione da parte del giudice della cognizione di una somma certa e liquida dovuta dall’COGNOME a titolo di risarcimento o restituzione «non può essere eterointegrata in sede di giudizio di esecuzione, in quanto essa suppone una valutazione discrezionale del merito, estranea all’ambito della giurisdizione del giudice della esecuzione». Dichiarava, pertanto, inammissibili l’istanza del Procuratore generale e la richiesta di rateizzazione della difesa (che «supponevano che il credito dell’Inps fosse non solo certo, ma anche liquido, cioŁ determinato nel suo esatto ammontare e non genericamente stabilito»), e revocava di ufficio, in quanto ineseguibile, la condizione apposta dal giudice della cognizione al beneficio della sospensione condizionale della pena, «geneticamente inefficace, con conseguente definitivizzazione del beneficio richiesto. Pronuncia, questa, rientrante certamente nei poteri del giudice della esecuzione sia perchØ non implica alcuna discrezionalità – in quanto Ł frutto di una mera presa d’atto della impossibilità di realizzazione della condizione apposta e quindi trattasi di pronuncia meramente dichiarativa – e sia perchØ si impone, proprio al fine di dare certezza in sede di esecuzione al beneficio richiesto».
Il Procuratore generale di Roma ha impugnato l’ordinanza in oggetto, deducendo l’inosservanza o l’erronea applicazione della legge penale: chiede annullarsi il provvedimento in quanto abnorme, poichØ «la legge non prevede che il giudice dell’esecuzione, investito della richiesta di fissare un termine per l’adempimento delle condizioni imposte ai sensi dell’art. 165, comma 1, c.p. , possa imprevedibilmente revocare le medesime e conseguentemente dichiarare inammissibile la richiesta del pm»; il giudice dell’esecuzione avrebbe dovuto fissare il termine richiesto, «spettando a quel punto al condannato, nel proprio esclusivo interesse, attivarsi presso l’ente creditore Inps al fine di sanare le proprie pendenze trattandosi della restituzione di somme indebitamente percepite la quantificazione Ł automatica e ben può essere attestata dall’ente pubblico che ha provveduto ad erogare le provvidenze in questione».
3. Il Sostituto Procuratore generale ha chiesto rigettarsi il ricorso, in quanto infondato. Ricorda che Sez. U, n. 32939 del 27/04/2023, Selvaggio, Rv. 284969 – 01 ha statuito che «In tema di sospensione condizionale della pena, il giudice può subordinare tale beneficio al risarcimento del danno solo quando vi sia stata la costituzione di parte civile, in quanto il risarcimento, come l’adempimento dell’obbligo della restituzione di beni conseguiti per effetto del reato, riguarda il solo danno civile», consolidando l’orientamento espresso, fra le altre, da Sez. 2, n. 3958 del 18/12/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 258045 – 01, secondo cui «Il giudice non può subordinare la sospensione condizionale della pena, in difetto della costituzione di parte civile, all’adempimento dell’obbligo delle restituzioni di beni conseguiti per effetto del reato, perchØ queste, come il risarcimento, riguardano
solo il danno civile e non anche il danno criminale, che si identifica con le conseguenze di tipo pubblicistico che ineriscono alla lesione o alla messa in pericolo del bene giuridico tutelato dalla norma penale e che assumono rilievo, a norma dell’art. 165 cod. pen., solo se i loro effetti non sono ancora cessati».
Nel caso di specie, l’Inps non si Ł costituita parte civile, e non Ł dunque titolare di alcuna pretesa risarcitoria collegata al danno civilistico concretizzatosi nei suoi confronti: «ne consegue che, alla stregua del principio di diritto affermato dalle sezioni unite, non era possibile subordinare la sospensione condizionale della pena al pagamento della somma liquidata a titolo di risarcimento del danno in favore della persona offesa»; a ciò si aggiunga che, come statuito da Sez. U, n. 37503 del 23/06/2022, COGNOME, Rv. 283577 – 02, «La subordinazione della concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena all’adempimento dell’obbligo di risarcimento del danno in favore della parte lesa richiede che il giudice abbia determinato con precisione il quantum dello stesso, non essendo sufficiente a tal fine la pronuncia di condanna in forma solo generica», sicchØ deve ritenersi «illegittima, in applicazione dei principi di legalità e tassatività – che escludono la sottoposizione del beneficio ad obblighi diversi da quelli previsti dall’art. 165 cod. pen. – la subordinazione della sospensione condizionale della pena all’obbligo del risarcimento dei danni, nel caso in cui il giudice penale abbia pronunciato condanna generica e demandato al giudice civile la liquidazione del predetto danno, giacchØ la disposizione di cui all’art. 165 cod. pen. attribuisce al giudice di merito l’esercizio di tale facoltà solo ove abbia proceduto direttamente alla quantificazione dell’obbligo risarcitorio del condannato ovvero abbia assegnato una provvisionale», vieppiø in un caso, come quello di specie, nel quale «dal provvedimento impugnato – e dagli atti con esso trasmessi – nulla emerge sulla esatta quantificazione delle somme medesime, che Ł presupposto indispensabile per la legittima subordinazione del beneficio revocato. Al riguardo, deve rilevarsi che la sentenza d’appello ha fatto riferimento all’omessa denuncia delle vincite quale unico elemento (residuo) che consente di configurare il reato, il che implica che occorrerebbe individuare a partire da quale momento si Ł verificata l’omissione rilevante, in quanto a tale momento retroagisce la perdita del beneficio. In base agli atti non emerge con chiarezza la data a quo il beneficio deve intendersi revocato e comunque l’ammontare delle somme da versare da parte del condannato».
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso Ł fondato, e deve pertanto essere accolto.
In virtø del generale principio sancito dall’art. 666, comma 1, cod. proc. pen., il procedimento di esecuzione esige l’impulso di parte, salvo che per l’applicazione dell’amnistia o dell’indulto, per cui il provvedimento del giudice dell’esecuzione adottato d’ufficio, al di fuori di tali ipotesi, Ł viziato da nullità insanabile, ai sensi dell’art. 178, comma 1, lett. b), cod. proc. pen. (Sez. 1, n. 23525 del 18/05/2021, COGNOME, Rv. 281396 – 01).
Il giudice dell’esecuzione può, dunque, procedere alla revoca della condizione apposta ai sensi dell’art. 165 cod. pen. (così come alla revoca del beneficio della sospensione condizionale della pena) solo su istanza di parte, trattandosi di provvedimenti non rientranti nel novero di quelli, tassativamente enucleati, per i quali Ł prevista l’adozione d’ufficio: il principio Ł stato ribadito, da ultimo, da Sez. 5, n. 24131 del 31/05/2022, Douah, Rv. 283430 – 01, in una fattispecie in cui la Corte ha censurato la decisione del giudice dell’esecuzione con la quale era stato revocato il beneficio della sospensione condizionale della pena a seguito di richiesta del pubblico ministero volta alla mera verifica dell’adempimento degli obblighi di cui all’art. 165 cod. pen.
A ciò si aggiunga che, come hanno di recente rilevato in motivazione le Sezioni Unite
Selvaggio (§ 2.2) , «l’eventuale illegittimità della subordinazione del beneficio sospensivo al risarcimento del danno (deve) essere censurata dall’imputato in sede di cognizione e non (può) essere messa in discussione nel giudizio di esecuzione. Sul punto, non si può che richiamare l’orientamento giurisprudenziale, che occorre ulteriormente ribadire, secondo cui l’illegittimità della subordinazione della sospensione condizionale della pena ‘può essere dedotta solo nel giudizio di cognizione, per mezzo della impugnazione della sentenza viziata, ma non anche in sede di esecuzione, ostando in tale ultimo caso l’intangibilità del giudicato’ (Sez. 1, n. 17662 del 22/01/2014, COGNOME, Rv. 259628 – 01). Ne discende che non essendo stata impugnata, sul punto, la sentenza che aveva subordinato la sospensione condizionale della pena al pagamento della somma di 300 euro a titolo di risarcimento del danno patito dalla persona offesa, secondo il richiamato orientamento , il giudice dell’esecuzione non sarebbe potuto intervenire sul giudicato penale che si era formato» (Sez. U, n. 32939 del 27/04/2023, COGNOME, Rv. 284969 – 01).
La stessa sentenza COGNOME ha ricordato che il giudice dell’esecuzione, nell’esercizio delle sue funzioni, dispone del «potere-dovere di interpretare il giudicato e di renderne espliciti il contenuto e i limiti, ricavando dalla sentenza irrevocabile tutti gli elementi, anche non chiaramente espressi, che siano necessari per finalità esecutive e, in particolare, per l’applicazione di cause estintive e per la revoca dei benefici condizionati» (Sez. 1, n. 14984 del 13/03/2019, Versaci, Rv. 275063 – 01), dovendosi altresì ricordare che l’art. 666, comma 5, cod. proc. pen. gli conferisce significativi poteri istruttori, consentendogli di «chiedere alle autorità competenti tutti i documenti e le informazioni di cui abbia bisogno; se occorre assumere prove, procede in udienza nel rispetto del contraddittorio»: ed invero, come Ł stato chiarito da altro e piø risalente intervento del massimo consesso nomofilattico, una volta «dimostrato che la legge processuale demanda al giudice una determinata funzione, allo stesso giudice Ł conferita la titolarità di tutti i poteri necessari all’esercizio di quella medesima attribuzione» (Sez. U, n. 4687 del 20/12/2005, dep. 2006, Catanzaro, Rv. 232610 – 01).
3. L’applicazione al caso di specie di questi generali principi impone di rilevare innanzitutto che, pur se i giudici della cognizione hanno sicuramente disatteso il dictum delle Sezioni Unite Selvaggio (che, dando continuità al principio di recente statuito, tra le altre, da Sez. 2, n. 23290 del 21/4/2021, COGNOME, Rv. 281597, da Sez. 6, n. 8314 del 28/1/2021, Rv. 280711, e da Sez. 2, n. 45854 del 13/9/2019, Cappello, Rv. 277632, hanno chiarito che il giudice può subordinare il beneficio della sospensione condizionale della pena al risarcimento del danno o alle restituzioni solo quando vi sia stata la costituzione di parte civile), non vi Ł stata sul punto impugnazione da parte del condannato, sicchØ la statuizione in oggetto Ł divenuta irrevocabile.
Tanto, come le stesse Sezioni Unite COGNOME hanno rimarcato, precludeva l’intervento officioso al quale ha dato vita il giudice dell’esecuzione romano.
Alle corrette considerazioni svolte nel provvedimento impugnato in merito all’omessa quantificazione dell’importo che il condannato era tenuto a restituire all’INPS per consolidare il beneficio avrebbe, dunque, dovuto far seguito non la revoca della condizione, ma, sempre nel solco costituito dal giudicato esitato dalla fase cognitoria, un’agile attività istruttoria, condotta entro il perimetro delineato dall’art. 666, comma 5, cod. proc. pen., onde verificare se la somma di denaro che lo stesso condannato aveva quantificato, dichiarandosi disponibile a versarla, coincideva con quella di fatto accertata come indebitamente percepita a partire da quando, realizzando le cospicue vincite indicate nel capo d’imputazione, l’COGNOME aveva perso il diritto a percepire il sussidio: un’attività che non «suppone una valutazione discrezionale del merito», come si Ł erroneamente ritenuto nel provvedimento impugnato, trattandosi unicamente di accertare, facendo uso dei poteri che l’ordinamento certamente riconosce al giudice dell’esecuzione, quante mensilità del cd. reddito
di cittadinanza l’COGNOME ha percepito a partire dal momento in cui si era concretizzata l’indicata variazione patrimoniale che, comportando la perdita dei requisiti reddituali di cui all’art. 2, comma 1, lett. b), d.l. 28 gennaio 2019, n. 4, convertito con modificazioni nella legge 28 marzo 2019, n. 26, precludeva l’ulteriore percezione del sussidio, variazione che egli era obbligato a comunicare all’ente erogatore ai sensi dell’art. 3, comma 11, del decreto legge n. 4 del 2019.
Sulla scorta delle considerazioni che precedono, il provvedimento impugnato dev’essere annullato con rinvio al giudice dell’esecuzione della Corte di appello di Roma perchØ provveda a nuovo giudizio, emendando i rilevati vizi motivazionali, nella piena libertà delle proprie valutazioni di merito.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Roma.
Così Ł deciso, 31/01/2025
Il Consigliere estensore
NOME COGNOME
Il Consigliere estensore
Il Presidente NOME COGNOME
NOME COGNOME