Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 5854 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 5854 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 10/01/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a ROCCASECCA il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 17/07/2023 del MAGISTRATO DI SORVEGLIANZA di FROSINONE
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del PG NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso;
dato avviso al difensore;
RITENUTO IN FATTO
Con il provvedimento impugnato, il Magistrato di sorveglianza di Frosinone ha disposto la revoca ex artt. 656, comma 10, cod. proc. pen. e 51-ter legge 26 luglio 1975, n. 354 (ord. pen.) della misura provvisoria degli arresti domiciliari esecutivi applicata a NOME COGNOME dal Procuratore della Repubblica di Cassino in data 13 gennaio 2023 in relazione alla sentenza della Corte d’appello di Roma del 16 maggio 2022.
Ricorre NOME COGNOME, a mezzo dei difensori AVV_NOTAIO e AVV_NOTAIO, che chiede l’annullamento del provvedimento impugnato, denunciando:
la violazione degli artt. 677 e segg. cod. proc. pen., 24 e 111 Cost. poiché il Magistrato di sorveglianza ha disposto, in totale carenza di potere, la revoca della misura alternativa, provvedimento che può essere assunto unicamente dal Tribunale di sorveglianza;
la violazione degli artt. 125 cod. proc. pen., 47-ter ord. pen. e 111 Cost. perché il Magistrato di sorveglianza non ha effettuato una adeguata valutazione della presunta gravità delle condotte poste in essere dal condannato mentre era sottoposto alla misura degli arresti domicilíari, divenuti esecutivi a seguito del passaggio in giudicato della sentenza di condanna.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile perché il provvedimento non è impugnabile.
Il Magistrato di sorveglianza ha disposto la “revoca” della misura degli arresti domiciliari concessi a COGNOME nel processo di cognizione, divenuti “esecutivi” a seguito del passaggio in giudicato della sentenza di condanna a suo carico.
Il Magistrato di sorveglianza, nell’adottare il provvedimento, ha evidenziato le numerose violazioni realizzate dal condannato durante la fase degli arresti domiciliari esecutivi, fatti per i quali il medesimo è stato varie volte richiamato e, da ultimo, una condotta di minaccia a mano armata giudicata particolarmente grave.
2.1. Successivamente all’adozione del provvedimento impugnato:
il Magistrato di sorveglianza di Frosinone, competente per il luogo di detenzione, ha respinto, con ordinanza in data 31 ottobre 2023, l’istanza di detenzione domiciliare ai sensi della legge 26 novembre 2010, n. 199;
il Tribunale di sorveglianza di Trieste, competente ad esaminare le istanze di misure alternative che erano state avanzate dall’interessato, ha respinto, con ordinanza in data 24 ottobre 2023, le istanze di affidamento, detenzione domiciliare e semilibertà.
Secondo la giurisprudenza di legittimità, il Magistrato di sorveglianza ha adottato, nel caso di specie, un provvedimento cautelare e interinale che non è autonomamente impugnabile, né sottoposto al termine di efficacia dell’art. 51ter ord. pen. (Sez. 1, n. 32728 del 05/11/2020, Zanatta, Rv. 279932).
Si è, in proposito, chiarito che in caso di sospensione cautelativa dei cd. “arresti domiciliari esecutivi” di cui all’art. 656, comma 10, cod. proc. pen., disposta dal Magistrato di sorveglianza nella ricorrenza di una delle situazioni di incompatibilità indicate dal sesto comma dell’art. 47-ter ord. pen., la successiva decisione che il Tribunale di sorveglianza è chiamato ad adottare ai sensi dell’art. 51-ter ord. pen. non si sostanzia nella convalida, o meno, del provvedimento cautelativo, né nella conferma o revoca della misura alternativa della detenzione domiciliare, siccome non ancora disposta, ma in una compiuta verifica dei presupposti legittimanti l’ammissione del condannato alla stessa – in prospettiva della prosecuzione, sostituzione o revoca della restrizione domestica – anche, ma non solo, alla luce dei rilievi del Magistrato di sorveglianza; conseguentemente, le valutazioni che il Tribunale è chiamato, in tal sede, a compiere ben possono estendersi a specifiche condotte (nella specie, di evasione) poste in essere durante il regime cautelativo, ma la relativa ordinanza deve render conto, attraverso adeguata motivazione, del significato concreto di dette condotte, considerate sia di per se stesse che alla stregua delle altre acquisizioni sui comportamenti precedenti e successivi del condannato, in rapporto alla sussistenza attuale delle condizioni richieste per la concessione della misura (Sez. 1, n. 3768 del 26/11/2019 – dep. 2020, Americo, Rv. 278183 – 01; in precedenza: Sez. 1, n. 40256 del 06/06/2012, P.G. in proc. Nuvoletta, Rv. 253402 – 01; Sez. 1, n. 51291 del 08/11/2019, COGNOME, Rv. 277755 – 01)
3.1. Il provvedimento impugnato trae fondamento dalla disposizione dell’art. 656, comma 10, cod. proc. pen., a tenore del quale: «Nella situazione considerata dal comma 5, se il condannato si trova agli arresti domiciliari per il fatto oggetto della condanna da eseguire, e se la residua pena da espiare determinata ai sensi del comma 4-bis non supera i limiti indicati dal comma 5, il pubblico ministero sospende l’esecuzione dell’ordine di carcerazione e trasmette gli atti senza ritardo al tribunale di sorveglianza perché provveda alla eventuale applicazione di una delle misure alternative di cui al comma 5. Fino alla decisione del tribunale di sorveglianza, il condannato permane nello stato detentivo nel quale si trova e il tempo corrispondente è considerato come pena espiata a tutti gli effetti. Agli adempimenti previsti dall’articolo 47-ter della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni, provvede in ogni caso il magistrato di sorveglianza».
3.2. La revoca degli arresti domiciliari da parte del Magistrato di sorveglianza è collegata alla genesi cautelare della misura detentiva, dalla quale deriva il suo costante adattamento alla posizione processuale del condannato.
Quando intervengono sopravvenienze comportamentali che contraddicono il giudizio prognostico favorevole formulato nei confronti del condannato nel processo di cognizione, il giudice competente (Magistrato di sorveglianza del luogo di esecuzione della misura) ha la possibilità di adottare i provvedimenti interinali ritenuti opportuni, fatta salva, naturalmente, la deliberazione definitiva sulla concessione delle misure alternative da parte del Tribunale di sorveglianza competente, che è già stato autonomamente investito ex art. 656, comma 5, cod. proc. pen.
In queste ipotesi, pertanto, il Magistrato di sorveglianza interviene nella sola fase successiva alla trasmissione degli atti al Tribunale di sorveglianza per la decisione sull’eventuale concessione di una delle misure alternative di cui all’art. 656, comma 5, cod. proc. pen., esercitando i poteri cautelari riconosciutigli dal comma 10 della stessa disposizione, esclusivamente nei casi di trasgressioni comportamentali poste in essere da condannati che si trovano «agli arresti domiciliari per il fatto oggetto della condanna da eseguire », che impongono di rivedere il giudizio prognostico precedentemente formulato nei loro confronti.
Nell’ipotesi in esame, l’intervento del Magistrato di sorveglianza è vincolato alla verifica della gravità della trasgressione comportamentale e assume una
connotazione cautelare e interinale che, per un verso, giustifica il peggioramento della condizione detentiva del condannato e, per altro verso, non influisce sulla decisione che dovrà assumere il Tribunale di sorveglianza, né sottrae all’organo giudicante il potere di rivalutare le condizioni di ammissione alle misure alternative ovvero , anche al Magistrato di sorveglianza, in presenza di un grave pregiudizio a norma dell’art. 47-ter, comma 1-quater, ord. pen., di disporre l’applicazione in via provvisoria della detenzione domiciliare.
La natura interinale del provvedimento, unitamente alla assicurata esistenza di una decisione nel merito da parte del Tribunale di sorveglianza, nonché la possibilità di ovviare tempestivamente all’eventuale grave pregiudizio derivante dallo stato detentivo, escludono che il provvedimento di revoca sia autonomamente impugnabile.
All’inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti a escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost., sentenza n. 186 del 2000), anche la condanna al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende nella misura che si stima equo determinare in euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 10 gennaio 2024.