Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 18267 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 18267 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 13/02/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOMECOGNOME nato a Sellia Marina il 27/7/1983
avverso l’ordinanza del Tribunale di Sorveglianza di Catanzaro del 14/11/2024
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza resa in data 14.11.2024, il Tribunale di Sorveglianza di Catanzaro ha revocato nei confronti di NOME COGNOME e con effetto ex tunc , la misura alternativa dell’affidamento in prova al servizio sociale, in esecuzione a far data dal 27.9.2024.
La decisione è stata assunta in ragione dei fatti accertati in data 18.10.2024, allorquando i Carabinieri di Girafalco sorprendevano il condannato alla guida di un’autovettura in un territorio diverso da quello di residenza -ove aveva l’obbligo di permanere -in compagnia di tale NOME COGNOME e in possesso di numerosi
attrezzi (tra cui, otto pinze, di cui una bloccante; una chiave gira tubi; tre chiavi esagonali; tredici chiavi fisse; un crick; una forchetta con dente piegato, idonea ad essere utilizzata per aprire porte e finestre; uno strumento diagnostico utilizzato per azzerare i codici di errore dei veicoli), in ordine alla cui disponibilità l’uomo non forniva, nell’immediatezza, una valida giustificazione. COGNOME, peraltro, era già gravato da precedenti per furto e veniva deferito all’autorità giudiziaria per il reato di cui all’art. 707 cod. pen.
Il Tribunale, pertanto, ha ritenuto che il condannato abbia in tal modo dimostrato di non poss edere l’affidabilità necessaria per la concessione di una qualsiasi misura alternativa, e a maggior ragione di quella più ampia dell’affidamento in prova, in quanto carente sul piano dell’autodisciplina e della consapevolezza del dovere di rispettare le regole della civile convivenza.
In merito, poi, alla giustificazione fornita da COGNOME sul possesso degli strumenti (ovvero che gli occorrevano per eseguire alcuni lavoretti privati), il Tribunale l’ha ritenuta insufficiente e ha comunque richiamato la pacifica giurisprudenza secondo cui è necessario provare l’uso attuale dell’arnese da scasso, non potendo ritenersi esaustiva una spiegazione che riguardi una destinazione improbabile o, comunque, futura.
Avverso detta ordinanza, ha proposto ricorso il difensore di COGNOME deducendo, con due distinti motivi che possono essere trattati congiuntamente, vizio di motivazione del provvedimento gravato e violazione dell’art. 47 , comma 11, ord. pen.
Il ricorso lamenta che il Tribunale di Sorveglianza abbia disposto la revoca della misura sulla scorta di un automatismo, derivante dalla mera violazione della prescrizione di non allontanarsi dal comune di residenza, senza, tuttavia, effettuare una valutazione sull’incompatibilità del comportamento tenuto con la prosecuzione del beneficio in parola.
In particolare, il decidente avrebbe omesso di considerare che la donna in compagnia del condannato è la sua convivente e non ha alcun precedente per furto, come dimostrato dal certificato del casellario giudiziario prodotto in udienza ma non valutato ai fini della decisione. E ancora, il Tribunale non ha tenuto conto che nel luogo ove COGNOME è stato sorpreso dalla polizia non vi sono abitazioni e che il solo precedente per furto a suo carico è datato nel tempo.
Inoltre, non è stato in alcun modo dimostrato che il materiale rinvenuto nello zaino potesse servire per scopi illeciti, sicché il mero possesso di alcuni strumenti di lavoro non poteva giustificare la revoca della misura.
Con requisitoria scritta del 21.1.2025, il Sostituto Procuratore generale ha
chiesto il rigetto del ricorso, in quanto, contestando il merito della decisione impugnata, sollecita, in realtà, una nuova valutazione degli elementi disponibili, a fronte di un giudizio logico e coerente del provvedimento impugnato.
In data 7.2.2025, infine, il difensore del ricorrente ha fatto pervenire una memoria, con la quale insiste per l’accoglimento del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è manifestamente infondato.
Ai sensi dell’art. art. 47, comma 11, ord. pen., l’affidamento ai servizi sociali è revocato qualora il comportamento del soggetto, contrario alla legge o alle prescrizioni dettate, appaia incompatibile con la prosecuzione della prova. È la stessa conformazione normativa dell’istituto a richiedere, dunque, la costante verifica della effettività del percorso di risocializzazione, in rapporto al quale le condotte illecite o violatrici delle prescrizioni -compiute dal soggetto ammesso -possono comportare la revoca della misura, essenzialmente in rapporto alla rivalutazione della prognosi favorevole originariamente formulata.
Va ricordato, infatti, che l’affidamento in prova al servizio sociale implica la formulazione di una prognosi favorevole in tema di prevenzione del pericolo di commissione di ulteriori reati e di esito positivo del percorso di risocializzazione (tra le molte, Sez. 1, n. 1088 del 14/2/1997, Rv. 207214 – 01).
In rapporto a tale costruzione normativa, è del tutto evidente che anche una singola condotta – ove ne sia apprezzata la gravità – possa far emergere, con valutazione in fatto ed autonoma (non essendo necessario attendere il giudicato, cfr. Sez. 1, n. 25640 del 21/5/2013, Rv 256066 -01; Sez. 1, n. 41796 del 9/9/2021, Rv. 282153 -01), la sopravvenuta carenza dei presupposti per la prosecuzione della prova.
La revoca della misura alternativa dell’affidamento in prova al servizio sociale, in presenza di un comportamento del soggetto contrario alle prescrizioni, è rimessa alla discrezionalità del tribunale di sorveglianza, che ha solo l’obbligo di giustificare l’uso del potere conferitogli, con motivazione logica, adeguata e non viziata (Sez. 1, n. 27711 del 6/6/2013, Rv. 256479 -01), e che può, nel suo insindacabile apprezzamento di fatto, ritenere che la violazione costituisca in concreto un fatto incompatibile con la prosecuzione della prova (Sez. 1, n. 2566 del 7/5/1998, Rv. 210789 – 01)
L’ordinanza impugnata -applicando correttamente i suddetti principi -ha
fondato su argomenti plausibili, riferiti a dati di fatto sufficientemente esposti ed adeguatamente valutati, la decisione di revocare la misura con effetti retroattivi.
Contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente , la revoca dell’affidamento in prova non è stata disposta “automaticamente”, a ragione della mera violazione della prescrizione di non recarsi senza autorizzazione in un Comune diverso da quello di residenza. Invece, il decidente ha evidenziato come la condotta del condannato, ammesso alla più amp ia misura dell’affidamento in prova appena un mese prima, fosse sintomatica dell’inesistenza, ab initio, di un’adesione al processo rieducativo.
Il Tribunale di sorveglianza, inoltre, ha valutato la giustificazione fornita dal condannato in merito all’uti lizzo degli arnesi rinvenuti, ritenendo che non potesse considerarsi esaustiva, in quanto generica e comunque priva delle indicazioni circa l’uso che il soggetto intendeva farne nel momento in cui è stato colto nel loro possesso.
Il provvedimento impugnato, quindi, è esente dai denunziati vizi di motivazione, avendo, con argomentazione logicamente sviluppata e correlata al puntuale esame delle circostanze di fatto -in quanto tale insindacabile in sede di legittimità -, posto l’accento sul dato dirimente della totale assenza di affidabilità del condannato, il quale non ha saputo cogliere la portata rieducativa della misura stessa.
In presenza di un percorso motivazionale logico e aderente alle risultanze processuali, le argomentazioni difensive sviluppate nel ricorso, lungi dal segnalare effettive violazioni di legge e significativi vizi motivazionali, si risolvono nella sollecitazione di una -non consentita nel giudizio di legittimità -rilettura degli elementi posti a fondamento della decisione impugnata, con l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (cfr. Sez. 6, n. 5465 del 4/11/2020, dep. 2011, Rv. 280601 -01).
Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente, ex art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 13.2.2025