Revoca affidamento in prova: la discrezionalità del Giudice di Sorveglianza
L’affidamento in prova al servizio sociale rappresenta uno strumento fondamentale nel nostro ordinamento per favorire il reinserimento sociale del condannato. Tuttavia, la sua concessione è subordinata al rispetto di precise prescrizioni. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce i confini del potere del Tribunale di Sorveglianza nel disporre la revoca affidamento in prova in caso di violazioni. Il caso analizzato riguarda un soggetto che, dopo aver ottenuto la misura, ha interrotto prematuramente il percorso terapeutico in comunità, oltre ad essere ricaduto nell’uso di stupefacenti.
I fatti del caso
Un individuo, ammesso alla misura alternativa dell’affidamento in prova di tipo terapeutico, violava ripetutamente le prescrizioni imposte. Le violazioni consistevano non solo in una ricaduta nel consumo di sostanze stupefacenti, ma, soprattutto, nel prematuro e non autorizzato abbandono della comunità terapeutica presso cui era stato inserito.
Il Tribunale di Sorveglianza, valutata la gravità e la reiterazione dei comportamenti, decideva di revocare la misura. Contro tale decisione, l’interessato proponeva ricorso in Cassazione, sostenendo che l’allontanamento fosse stato causato da improvvisi eventi familiari.
La decisione della Corte e la conferma della revoca affidamento in prova
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando in toto la decisione del Tribunale di Sorveglianza. Gli Ermellini hanno stabilito che le censure mosse dal ricorrente erano mere riproposizioni di argomentazioni di fatto, già adeguatamente esaminate e respinte dal giudice del merito.
La Suprema Corte ha evidenziato come la decisione di revocare la misura non sia stata un automatismo, ma il risultato di una ponderata valutazione complessiva. La condotta del soggetto è stata ritenuta sintomatica dell’inadeguatezza della misura a perseguire gli obiettivi rieducativi e terapeutici prefissati.
Le motivazioni
Il cuore della motivazione risiede nel principio, consolidato in giurisprudenza, secondo cui la revoca affidamento in prova è rimessa alla discrezionalità del Tribunale di Sorveglianza. Questo potere, tuttavia, non è arbitrario, ma deve essere esercitato fornendo una motivazione logica, adeguata e non viziata.
Nel caso specifico, il Tribunale di Sorveglianza ha correttamente ritenuto decisive le gravi e reiterate violazioni. L’abbandono della comunità, in particolare, è stato interpretato non come una reazione a eventi esterni, ma come una manifestazione della volontà di interrompere il percorso di recupero. La condotta complessiva del condannato durante la permanenza in comunità ha dimostrato la sua incapacità di aderire al programma terapeutico, rendendo di fatto la misura alternativa inefficace. La Corte ha quindi validato la valutazione del giudice di merito, che ha escluso le giustificazioni addotte dal condannato, considerandole non credibili alla luce del quadro generale.
Le conclusioni
Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale: la violazione delle prescrizioni non determina automaticamente la revoca affidamento in prova, ma attiva una valutazione discrezionale da parte del giudice. Il Tribunale di Sorveglianza ha il dovere di analizzare se la condotta del soggetto comprometta la finalità rieducativa della misura. L’abbandono ingiustificato di un percorso terapeutico e la ricaduta nell’uso di droghe sono elementi che, valutati nel loro complesso, possono legittimamente fondare una decisione di revoca, in quanto dimostrano che il condannato non è in grado, o non ha la volontà, di proseguire nel percorso di recupero che è il presupposto stesso della misura alternativa.
La violazione delle prescrizioni comporta automaticamente la revoca dell’affidamento in prova?
No, la revoca non è automatica. È una decisione discrezionale del Tribunale di Sorveglianza, che deve valutare se il comportamento del soggetto sia contrario alla legge o alle prescrizioni in modo tale da apparire incompatibile con la prosecuzione della misura.
Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile dalla Corte di Cassazione?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché le censure sollevate erano riproduttive di questioni di fatto già adeguatamente valutate e motivate dal giudice del merito. La Corte di Cassazione non può riesaminare i fatti, ma solo verificare la corretta applicazione della legge.
Quale principio ha ribadito la Corte in materia di revoca dell’affidamento in prova?
La Corte ha ribadito il principio consolidato secondo cui la revoca della misura alternativa è rimessa alla discrezionalità del Tribunale di Sorveglianza, il quale ha l’obbligo di giustificare la sua decisione con una motivazione logica, adeguata e non viziata.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 34620 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 34620 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 01/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a CAGLIARI il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 15/02/2024 del TRIB. SORVEGLIANZA di SASSARI
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Visti gli atti.
Esaminati il ricorso e l’ordinanza impugnata.
Ritenuto che le censure articolate da NOME COGNOME, che possono essere esaminate congiuntamente per la connessione logica delle questioni poste, non superano il vaglio di ammissibilità perché, oltre ad essere versate in fatto, sono riproduttive di profili di censura adeguatamente vagliati dal giudice del merito.
Il Tribunale di sorveglianza, nel revocare l’affidamento in prova, concesso con ordinanza del 28 marzo 2023, con decorrenza dal 9 gennaio 2024, non ha fatto ricorso ad alcun automatismo, ma ha ritenuto decisive le gravi e reiterate violazione delle prescrizioni (non solo la ricaduta nel consumo di sostanze stupefacenti ma soprattutto il prematuro abbandono della comunità terapeutica senza autorizzazione) valutate, nel loro complesso, sintomatiche dell’inadeguatezza della misura concessa a perseguire, attraverso l’inserimento nella struttura comunitaria, gli obiettivi del programma terapeutico e rieducativo. Ha, invece, escluso, alla luce della condotta tenuta dal condannato durante la permanenza in comunità e delle ripetute manifestazioni della volontà di interrompere il percorso terapeutico, che l’abbandono sia stato il frutto di eventi improvvisi avvenuti all’interno del nucleo familiare di NOME.
Si tratta di valutazioni, oltre che ancorante alle evidenze probatorie ampiamente richiamate, pienamente rispettose del consolidato principio giurisprudenziale in forza del quale la revoca della misura alternativa dell’affidamento in prova al servizio sociale, anche di tipo terapeutico, pur in presenza di un comportamento del soggetto contrario alle prescrizioni, è rimessa alla discrezionalità del tribunale di sorveglianza, che ha l’obbligo di giustificare l’uso del potere conferitogli, con motivazione logica, adeguata e non viziata (Sez. 1, n. 27711 del 06/06/2013, COGNOME, Rv. 256479 – 01).
Ritenuto che, pertanto, deve essere dichiarata la inammissibilità del ricorso, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti a escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento della somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
‘2 –
Dichiara inammissibile il ricorso e’condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso, in Roma 1 luglio 2024.