Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 44289 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 44289 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 06/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato a POLICORO il 18/11/1992
avverso l’ordinanza del 31/07/2024 del TRIB. SORVEGLIANZA di POTENZA
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
lette le conclusioni del PG, NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
Ritenuto in fatto
Con ordinanza del 31 luglio 2024 il Tribunale di sorveglianza di Potenza ha revocato, con decorrenza dal 2 luglio 2024, l’affidamento in prova al servizio sociale che era stato concesso a NOME COGNOME con precedente ordinanza dello stesso Tribunale del 5 aprile 2023.
Il Tribunale di sorveglianza ha revocato l’affidamento, in quanto ha ritenuto non compatibile con l’ulteriore svolgimento della misura il comportamento tenuto dal condannato il 29 giugno 2024 quando l’affidato si era posto alla guida di un autoveicolo nonostante fosse sprovvisto di patente di guida, e nel corso della circolazione aveva aggredito con spintoni e pugni un pedone che aveva dato un calcio all’autoveicolo e che si era rivelato essere una persona affetta da problemi psichiatrici.
L
Il Tribunale ha preso atto dei verbali di remissione ed accettazione di querela per quanto accaduto, ma ha ritenuto che il comportamento denotasse concreta inidoneità del trattamento di risocializzazione ed insufficienza dei progressi compiuti dal condannato nel porsi in relazione proficua con il regime di affidamento, ha anche ritenuto che i comportamenti siano ancor più deplorevoli in quanto nella sostanza analoghi ad alcuni di quelli per i quali il condannato è in espiazione pena, il che significa che il condannato non ha compreso la funzionalità del percorso alternativo cui è stato ammesso.
L’ordinanza aggiunge anche che dopo l’aggressione il condannato si è recato ripetutamente dal cognato della vittima chiedendo il risarcimento dei danni patrimoniali causati dal calcio inferto dalla vittima all’autovettura, il che rende ulteriormente dubbia l’autenticità del successivo atteggiamento di resipiscenza.
L’ordinanza aggiunge ancora che occorreva valutare anche che il condannato si era posto alla guida dell’autoveicolo senza aver mai conseguito la patente di guida, circostanza che conferma ulteriormente lo spregio da parte di questi delle regole di civile convivenza.
In considerazione della durata delle limitazioni patite e dell’assenza di segnalazioni ulteriori, il Tribunale ha ritenuto di far decorrere la revoca dalla data di sospensione provvisoria della misura ad opera del magistrato di sorveglianza
Avverso il predetto provvedimento ha proposto ricorso il condannato, per il tramite del difensore, che, con unico motivo, di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari ai sensi dell’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen., deduce violazione di legge e vizio di motivazione perché l’ordinanza impugnata non ha tenuto conto del reale svolgimento dei fatti così come rappresentati dal condannato, ovvero che egli non conosceva in alcun modo la vittima, non poteva sapere che questa era affetta da problemi psichiatrici, non aveva alcun motivo di astio nei suoi confronti; inoltre, la vittima ha tenuto azioni scomposte, ed, in particolare, ha dato un calcio all’autovettura in cui procedeva il condannato; in ogni caso, le reciproche remissioni di querela hanno fatto comprendere che si è trattato di un episodio sporadico di scarsa offensività e andava valutato che il condannato si è recato presso la Stazione dei Carabinieri per dehunciarlo. Occorreva, inoltre, una valutazione complessiva del comportamento tenuto dal condannato in regime di affidamento, neppure è stata acquisita una relazione da parte dell’U.e.p.e., la revoca del beneficio, infatti, non può essere infatti automatica ma deve avvenire valutando la condotta attribuita all’affidato.
Con requisitoria scritta, il Procuratore Generale, NOME COGNOME ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
Considerato in diritto
1. Il ricorso è inammissibile.
La norma di cui ha fatto applicazione il Tribunale di sorveglianza nel provvedimento impugnato è l’art. 47, comma 11, della legge 26 luglio 1975, n. 354, che dispone che “l’affidamento è revocato qualora il comportamento del soggetto, contrario alla legge o alle prescrizioni dettate, appaia incompatibile con la prosecuzione della prova”.
I requisiti cui è subordinata la revoca sono, pertanto, due: una violazione commessa dal condannato, e l’incompatibilità di tale violazione con la prosecuzione della prova.
La valutazione sul se la violazione sia incompatibile o meno con la prosecuzione dell’affidamento è connotata da profili di discrezionalità (cfr. Sez. 1, Sentenza n. 13376 del 18/02/2019, COGNOME, Rv. 275239 – 01: la revoca della misura alternativa dell’affidamento in prova al servizio sociale non consegue automaticamente al mero riscontro di violazioni della legge penale o delle prescrizioni dettate dalla disciplina della misura stessa, in quanto spetta al giudice valutare, fornendo adeguata motivazione, se tali violazioni costituiscano, in concreto, un fatto incompatibile con la prosecuzione della prova).
Il controllo dell’esercizio della discrezionalità avviene attraverso il giudizio sulla logicità ed adeguatezza della motivazione della ordinanza di revoca (cfr. Sez. 1, Sentenza n. 27711 del 06/06/2013, COGNOME, Rv. 256479 – 01: la revoca della misura alternativa dell’affidamento in prova al servizio sociale, pur in presenza di un comportamento del soggetto contrario alle prescrizioni, è rimessa alla discrezionalità del Tribunale di sorveglianza, che ha l’obbligo di giustificare l’uso del potere conferitogli, con motivazione logica, adeguata e non viziata).
Nel caso in esame, il Tribunale ha evidenziato in motivazione che i comportamenti tenuti dal condannato, sia il giorno del fatto che in quelli successivi, denotassero concreta inidoneità del trattamento di risocializzazione ed insufficienza dei progressi compiuti dal condannato, e la non illogicità del percorso logico della ordinanza emerge dalla circostanza che i comportamenti sono nella sostanza analoghi a quelli in espiazione pena, il che dimostra con evidenza che il percorso di affidamento non sta contribuendo alla rieducazione del reo.
Il ricorso deduce anche che la ricostruzione del fatto accaduto non è stata corretta, perché non tiene conto della versione fornita dallo stesso ricorrente, ma si tratta di censura che non può essere sviluppata in sede di legittimità, e che, peraltro, è stata proposta in violazione del principio di autosufficienza del ricorso (Sez. 2, Sentenza n. 20677 del 11/04/ 2017, COGNOME, rv. 270071; Sez. 4, n.
Sentenza n. 46979 del 10/11/2015, RAGIONE_SOCIALE rv. 265053; Sez. 2, Sentenza n. 26725 del 01/03/2013, Natale, rv. 256723).
Il ricorso deduce che è mancata una valutazione complessiva della incompatibilità della violazione con la prosecuzione dell’affidamento e del comportamento tenuto dall’affidato durante la misura alternativa, ma il giudizio di incompatibilità con la prosecuzione della prova è presente nell’ordinanza impugnata nella parte in cui evidenzia la mancanza di una risposta positiva al trattamento da parte del condannato che, nonostante il periodo di prova in misura alternativa, è ricaduto nella tipologia di comportamenti che lo avevano portato all’attuale espiazione.
Ne consegue che l’ordinanza impugnata resiste alle censure che le sono state rivolte, e che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Ai sensi dell’art. 616, connma 1, cod. proc. pen., alla decisione consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento, nonché al versamento in favore della Cassa delle ammende di una somma determinata, in via equitativa, nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 6 novembre 2024.