Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 11205 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 11205 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 12/02/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a NAPOLI il 31/03/1986
avverso l’ordinanza del 19/11/2024 del TRIB. SORVEGLIANZA di NAPOLI
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del PG, dott.ssa NOME COGNOME la quale ha chiesto dichiararsi
l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 19 novembre 2024 il Tribunale di sorveglianza di Napoli ha revocato, a far data dal 16 ottobre 2024, l’affidamento in prova al servizio sociale ex art. 47 legge 26 luglio 1975, n. 354, disposto nei confronti di NOME COGNOME in relazione all’esecuzione della pena detentiva di dieci mesi e venti giorni di reclusione a lei inflitta per avere commesso il reato di cui all’art. 73 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309.
A tal fine, ha segnalato che la Scatola si è resa protagonista, in costanza di esecuzione della misura alternativa alla detenzione, di reiterate violazioni delle prescrizioni impartitele, ciò che dimostra l’assenza, nella donna, di effettiva volontà di reinserimento sociale.
NOME COGNOME propone, con il ministero dell’avv. NOME COGNOME ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo, con il quale deduce violazione di legge e vizio di motivazione per avere il Tribunale di sorveglianza disposto la revoca della misura alternativa sulla scorta di considerazioni manifestamente illogiche e contraddette dalla documentazione versata in atti.
Rileva, in particolare, che il più recente, tra gli episodi trasgressivi valorizzati dal Tribunale di sorveglianza, consiste nell’essere stata ella notata intrattenersi, sulla pubblica via, con due soggetti pregiudicati che, tuttavia, sono NOME COGNOME, suo compagno di vita e padre di uno dei suoi figli, e NOME COGNOME, a sua volta legato a NOME COGNOME, madre della COGNOME, ciò che autorizza l’illazione secondo cui l’incontro era giustificato da ragioni personali e familiari anziché da cointeressenze di carattere illecito.
Aggiunge che le residue manifestazioni della sua presunta insofferenza al rispetto delle regole connesse alla misura alternativa in corso di esecuzione sono risalenti ad epoca relativamente remota, l’una (l’inottemperanza all’obbligo di presentarsi, con cadenza settimanale, all’autorità di pubblica sicurezza competente per i controlli), e di scarsa rilevanza, l’altra (la reiterata, ingiustificat e non preannunciata assenza dal posto di lavoro).
Il Procuratore generale ha chiesto, con requisitoria scritta, dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato e, pertanto, passibile di rigetto.
2. La giurisprudenza di legittimità è consolidata nell’affermare che la revoca della misura alternativa dell’affidamento in prova al servizio sociale discende, per disposto normativo, non già dalla mera violazione della legge penale o delle prescrizioni dettate dalla disciplina della misura, ma, piuttosto, dal fatto che il giudice, nel suo insindacabile apprezzamento di fatto, ritenga, con motivazione logica, adeguata e non viziata, che la violazione commessa costituisca, in concreto, sopravvenienza incompatibile con la prosecuzione della prova (così, tra le altre, Sez. 1, n. 13376 del 18/02/2019, COGNOME, Rv. 275239; Sez. 1, n. 27711 del 06/06/2013, COGNOME, Rv. 256479; Sez. 1., n. 2566 del 07/05/1998, Lupoli, Rv. 210789).
In tal modo, il giudizio sulla revoca, pur in presenza di un comportamento del soggetto contrario alle prescrizioni, è rimesso alla discrezionalità del Tribunale di sorveglianza, che ha solo l’obbligo di giustificare logicamente e adeguatamente l’uso del potere conferitogli.
Tale principio è coerente con il testo della legge, e, in particolare, con la previsione dell’art. 47, undicesimo comma, legge 26 luglio 1975, n. 354, secondo cui l’affidamento è revocato qualora il comportamento del soggetto, contrario alla legge o alle prescrizioni dettate, appaia incompatibile con la prosecuzione della prova ed è altresì correlato all’affermazione, pure ricorrente nella giurisprudenza di questa Corte, che, nel procedimento di sorveglianza finalizzato alla revoca dell’affidamento, i fatti storici costituenti ipotesi di reato riferibili al condann possono essere valutati senza necessità di attendere la definizione del relativo procedimento penale, ove se ne tragga la coerente e motivata conclusione di una interruzione del percorso di risocializzazione (in questo senso cfr. Sez. 1, n. 33089 del 10/05/2011, Assisi, Rv. 250824, nonché, in genere, per la valutazione della meritevolezza dei benefici penitenziari, Sez. 1, n. 42571 del 19/04/2013, COGNOME, Rv. 256695; Sez. 1, n. 6989 del 09/12/1999, COGNOME, Rv. 215125; Sez. 1, n. 2008 del 31/03/1995, COGNOME, Rv. 201368).
Il contenuto del giudizio affidato al Tribunale di sorveglianza è ulteriormente caratterizzato, sul piano della ricostruzione sistematica dell’istituto, dal rilievo che il tratto distintivo della revoca è costituito dalla natura sanzionatoria e dagli effett impeditivi dell’ulteriore svolgimento dell’esperimento della prova, sul presupposto della sua incompatibilità con la condotta tenuta dal condannato, e dal riflesso che tale tratto caratterizzante ha sul contenuto del giudizio affidato all’autorità giudiziaria.
Il Tribunale di sorveglianza, nella revoca, è, infatti, chiamato a valutare la gravità di singoli, specifici, episodi per verificare se essi siano o meno incompatibili con la prosecuzione della prova, mentre, per stabilirne l’esito, deve procedere a una valutazione globale dell’intero periodo nell’ottica del recupero sociale del
condannato (Sez. 1, n. 30525 del 30/06/2010, COGNOME, Rv. 248376; Sez. 1, n. 1180 del 17/02/2000, COGNOME, Rv. 215706).
Il Tribunale di sorveglianza, ancora, nel procedere alla revoca dell’affidamento, è tenuto a determinare il quantum di pena da considerarsi eventualmente scontato da parte del condannato, procedendo a un’attenta disamina del periodo di prova da lui trascorso onde stabilire, al là di ogni automatismo, se – ed eventualmente fino a qual punto – possa ragionevolmente ritenersi che l’affidato abbia raggiunto un grado, sia pur parziale, di risocializzazione, a tal fine considerando anche il concreto carico delle prescrizioni imposte, nonché la gravità oggettiva e soggettiva del comportamento che ha dato luogo alla revoca (Sez. 1, n. 490 del 03/11/2015, dep. 2016, COGNOME, Rv. 265859; Sez. 1, n. 9314 del 19/02/2014, COGNOME, Rv. 259474; Sez. 1, n. 2667 del 18/10/2011, dep. 2012, COGNOME, Rv. 251844).
Va ricordato, al riguardo, che la Corte costituzionale – nel dichiarare, con la sentenza n. 343 del 1987, l’illegittimità costituzionale dell’art. 47, decimo comma, della legge 26 luglio 1975, n. 354, nella parte in cui, in caso di revoca del provvedimento di ammissione all’affidamento in prova per comportamento incompatibile con la prosecuzione della prova, non stabilisce gli effetti conseguenti – ha affermato che il Tribunale di sorveglianza, una volta disposta la revoca della misura alternativa, deve procedere a determinare la residua pena detentiva ancora da espiare sulla scorta di una valutazione discrezionale, da condurre in considerazione della durata delle limitazioni patite dal condannato e del comportamento tenuto durante l’intero corso dell’esperimento.
Con tale pronuncia, la Consulta ha espresso la chiara consapevolezza dell’esistenza di una «zona grigia», ossia intermedia tra la condotta trasgressiva posta in essere sin dall’inizio della sottoposizione alla misura e quella diligentemente rispettosa, protrattasi sino a quasi la conclusione del periodo di espiazione, cui soltanto all’ultimo segua una violazione determinante la revoca, ed ha pertanto affidato, richiamati i principi di proporzionalità ed individualizzazione della pena, al giudizio del Tribunale di sorveglianza il compito di stabilire, caso per caso, la durata della residua pena detentiva da scontare.
Nella fattispecie in esame, il Tribunale di sorveglianza di Napoli ha disposto la revoca della misura alternativa sulla base di elementi comprovanti, a suo giudizio, la mancata adesione, a partire da un determinato momento, della condannata al progetto rieducativo.
Ha, in particolare, rilevato che NOME COGNOME ammessa all’affidamento in prova al servizio sociale a far data dal 10 aprile 2024:
non si è presentata, in una occasione, all’autorità di pubblica sicurezza deputata ai controlli, così violando la prescrizione formulata al n. 6) dell’ordinanza di ammissione alla misura alternativa;
in altra circostanza, è stata sorpresa, sulla pubblica via, intenta a confabulare con due pregiudicati;
in più occasioni non si è recata al lavoro (ella svolge mansioni di addetta alle pulizie presso una struttura ricettiva) senza previamente avvisare il datore.
Ha, quindi, conclusivamente ritenuto che «siano venute meno le condizioni per la prosecuzione della misura alternativa in ragione del comportamento tenuto dall’affidata che appare scarsamente responsabile, immaturo ed incompatibile con le modalità di esecuzione della pena in regime alternativo per l’evidente pericolo di recidiva e per la sostanziale incapacità di gestire correttamente l’esecuzione penale esterna».
Ha, quindi, stimato che le condotte poste in essere dalla Scatola siano, per natura ed entità, sintomatiche del sostanziale fallimento, in termini di risocializzazione, della misura alternativa alla detenzione e che – tenuto conto della lieve entità della prima violazione – ha fatto decorrere la revoca dalla data di quella successiva.
A fronte di una motivazione coerente e lineare, ossequiosa degli indirizzi ermeneutici sopra citati ed aderente alle emergenze istruttorie, la ricorrente oppone considerazioni che non ne intaccano la complessiva solidità.
La Scatola evidenzia che i soggetti con cui ella è stata notata interloquire il 16 ottobre 2004 sono il suo compagno e quello della madre, ciò che, in effetti, supporta una lettura dell’episodio alternativa a quella che inserisce l’incontro in un contesto di illegalità.
In relazione, però, alle ulteriori trasgressioni, si limita a segnalare, quanto alla prima, la modesta rilevanza, attestata dallo stesso Tribunale di sorveglianza nella motivazione del provvedimento censurato, nonché, con riferimento a quella concernente l’attività lavorativa, l’assenza di precise informazioni in ordine alla frequenza delle assenze ed alle giustificazioni da lei eventualmente offerte.
L’obiezione non pare calzante, atteso che l’omessa presentazione all’autorità di pubblica sicurezza deputata ai controlli – per quanto episodica e, in sé, non particolarmente grave – deve essere valutata in combinazione, quantomeno, con il dato afferente allo scarso impegno lavorativo, emergente con chiarezza dal provvedimento impugnato, ove si precisa che le assenze sono state plurime e non preannunciate, e non contraddetto dalla diretta interessata, la quale si è astenuta dal fornire, al riguardo, spiegazione di sorta.
Anche prescindendo, dunque, dal meeting del 16 ottobre 2024, il contegno, globalmente considerato, di NOME COGNOME si connota per una propensione alla trasgressione delle regole discendenti dall’ammissione alla misura alternativa che, come correttamente enunciato dal Tribunale di sorveglianza, è sintomatica di insufficiente adesione alla proposta rieducativa.
La ricorrente, dunque, non si confronta con il nucleo centrale dell’ordinanza impugnata, che poggia sulla ineccepibile considerazione di comportamenti a lei direttamente imputabili – che sono stati reputati, con considerazione esente da apprezzabili deficit razionali, segno di insuperabile crisi dell’avviato percorso rieducativo e, dunque, di inidoneità al trattamento – ed articola doglianze che non valgono ad incrinare la tenuta, logica e giuridica, del provvedimento, il cui contenuto non travalica i margini dell’apprezzamento riservato alla magistratura di sorveglianza in merito alla ricorrenza delle condizioni, sopra enucleate, per la proficua prosecuzione della misura alternativa.
Dal rigetto del ricorso discende la condanna di NOME COGNOME al pagamento delle spese processuali ai sensi dell’art. 616, comma 1, primo periodo, cod. proc. pen..
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 12/12/2025.