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Revoca affidamento in prova: l’irreperibilità basta?

La Corte di Cassazione conferma la revoca dell’affidamento in prova per un condannato resosi volontariamente irreperibile dopo la concessione della misura, ma prima della firma del verbale di accettazione. La Corte ha stabilito che sottrarsi all’avvio della misura viola il dovere di collaborazione e dimostra un’inaffidabilità tale da giustificare la revoca dell’affidamento in prova, a prescindere dalla formale sottoscrizione delle prescrizioni.

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Pubblicato il 20 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Revoca Affidamento in Prova: Quando l’Irreperibilità Costa la Libertà

L’affidamento in prova al servizio sociale rappresenta un’importante opportunità di reinserimento per un condannato. Ma cosa succede se, una volta ottenuto il beneficio, ci si sottrae volontariamente agli obblighi, rendendosi irreperibili? Una recente sentenza della Corte di Cassazione affronta proprio il tema della revoca affidamento in prova per un condannato che ha impedito l’avvio stesso della misura, chiudendo ogni canale di comunicazione con le autorità.

I Fatti del Caso

Al centro della vicenda vi è un uomo, condannato, che aveva ottenuto l’ammissione all’affidamento in prova, indicando come domicilio un’abitazione in Puglia. Subito dopo la concessione della misura, però, l’uomo si era reso di fatto irreperibile. Contattato telefonicamente dalla Questura per la notifica del provvedimento, aveva comunicato di trovarsi a Dubai per lavoro, dopo essere passato dalla Svizzera, e di non avere intenzione di rientrare in Italia.

Questo comportamento ha reso impossibile notificare il provvedimento e, soprattutto, far partire il programma rieducativo. Di conseguenza, il Tribunale di Sorveglianza ha revocato il beneficio. La difesa del condannato ha proposto ricorso in Cassazione, sostenendo che non potesse esserci violazione delle prescrizioni, dato che il verbale contenente gli obblighi specifici non era mai stato sottoscritto.

La Decisione della Corte e la revoca dell’affidamento in prova

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, confermando in pieno la decisione del Tribunale di Sorveglianza. Secondo i giudici supremi, il comportamento del condannato ha manifestato un totale disinteresse verso il percorso rieducativo e un’inaffidabilità di fondo incompatibile con la fiducia che la misura alternativa presuppone.

L’argomentazione difensiva, basata sulla mancata firma del verbale, è stata ritenuta infondata. La Corte ha chiarito che il primo e fondamentale obbligo per chi ottiene l’affidamento in prova è quello di consentire l’avvio della misura stessa, un dovere che precede la firma formale di qualsiasi documento.

Le Motivazioni della Sentenza

La sentenza si fonda su un principio cardine: il dovere di diligente collaborazione. La Corte ha sottolineato come questo obbligo nasca nel momento stesso in cui la misura alternativa viene concessa. Esso include, prima di ogni altra cosa, il dovere di rendersi reperibile per tutte le incombenze funzionali all’esecuzione della misura.

I giudici hanno spiegato che sottrarsi volontariamente e consapevolmente alla notifica del provvedimento e all’inizio del programma non è una semplice dimenticanza, ma un comportamento attivo che strumentalizza il beneficio ottenuto al solo fine di sottrarsi all’esecuzione della pena. Questo comportamento, di per sé, costituisce una violazione grave, sufficiente a giustificare la revoca affidamento in prova.

In altre parole, non si può pretendere di violare le prescrizioni solo dopo averle firmate. Impedire che si arrivi a quella firma, attraverso una condotta ostruzionistica come l’irreperibilità, è una violazione ancora più radicale, perché mina alle fondamenta il patto fiduciario tra il condannato e lo Stato.

Le Conclusioni

Le implicazioni pratiche di questa decisione sono molto chiare. Chi ottiene una misura alternativa alla detenzione assume un impegno immediato alla collaborazione. Non esistono “zone franche” o periodi di attesa in cui è possibile sottrarsi ai propri doveri. L’irreperibilità volontaria, finalizzata a impedire l’inizio del percorso rieducativo, è interpretata come una manifestazione di inaffidabilità e un’esplicita rinuncia al beneficio concesso. La sentenza ribadisce che la fiducia accordata dal sistema giudiziario deve essere ricambiata con un comportamento leale e responsabile fin dal primo istante, pena la perdita immediata della misura alternativa.

È possibile revocare l’affidamento in prova se il condannato non ha ancora firmato il verbale con le prescrizioni?
Sì. La Corte di Cassazione ha stabilito che la revoca è legittima se il condannato, con il suo comportamento (ad esempio rendendosi irreperibile), impedisce l’inizio stesso della misura. Questo comportamento viola il dovere di collaborazione, che è un presupposto fondamentale.

Cosa si intende per “dovere di diligente collaborazione” per chi ottiene una misura alternativa?
Si intende un obbligo generale del condannato di tenere un comportamento leale e collaborativo, che include innanzitutto il rendersi reperibile per tutte le comunicazioni e gli adempimenti necessari all’avvio e allo svolgimento della misura.

Il fatto di trasferirsi all’estero per lavoro dopo aver ottenuto l’affidamento in prova è sufficiente per la revoca?
Secondo la sentenza, non è il trasferimento in sé, ma il sottrarsi volontariamente e consapevolmente agli obblighi di notifica e all’avvio del programma rieducativo che determina la revoca. Il comportamento del condannato ha reso impossibile l’esecuzione della misura, dimostrando un’inaffidabilità incompatibile con il beneficio concesso.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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