Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 43864 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 43864 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 23/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: NOMECOGNOME nato in Marocco il 13/10/1972, avverso l’ordinanza del 09/07/2024 del Tribunale di sorveglianza di Brescia; letti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto annullarsi con rinvio il provvedimento impugnato.
RITENUTO IN FATTO
NOME COGNOME raggiunto da ordine di esecuzione in relazione alle pene inflitte per delitti in materia di sostanze stupefacenti commessi tra il 2016 ed i 2018, veniva ammesso in data 20 giugno 2023 all’affidamento in prova al servizio sociale.
Nell’aprile 2024 i Carabinieri della Stazione di Pontevico traevano in arresto la moglie ed il figlio del COGNOME, per il delitto di cui all’art. 73 d.P.R. 30 ot 1990, n. 309; nell’occasione, uno degli abituali clienti dei due soggetti arrestati, NOME COGNOME, escusso a sommarie informazioni, dichiarava che era solito rifornirsi da NOME COGNOME, figlio dell’odierno ricorrente, ma che dal luglio del 2023, pur contattando la solita utenza cellulare, aveva avviato i contatti con un altro soggetto, che gli aveva poi consegnato sostanza stupefacente previo
appuntamento in luoghi isolati, e che riconosceva, nell’album fotografico sottopostogli dagli operanti, in NOME COGNOME
Con ordinanza del 16 aprile 2024 il magistrato di sorveglianza di Brescia disponeva la sospensione della misura alternativa.
Con ordinanza del 9 luglio 2024 il Tribunale di sorveglianza di Brescia disponeva la revoca dell’affidamento in prova, ritenendo decisivo quanto riferito da NOME COGNOME ritenuto testimone attendibile. La revoca veniva disposta ex tunc, poiché «la condotta gravemente e penalmente illecita tenuta nel corso della misura denota un accesso meramente strumentale al beneficio».
I difensori di fiducia del COGNOME, Avv. NOME COGNOME e Avv. NOME COGNOME hanno presentato ricorso per cassazione deducendo carenza ed illogicità della motivazione.
Si dolgono del giudizio di attendibilità del testimone COGNOME, che non avrebbe potuto essere formulato alla luce delle contraddizioni e delle incongruenze della sua versione dei fatti, che contrasta con dati fattuali dirimenti ed insuperabili: ed invero il COGNOME ha dichiarato di essersi abitualmente rifornito di stupefacente dal figlio dell’odierno ricorrente, di aver avuto stabili contatti telefonici con lo stes di avere ricevuto risposta – dal luglio del 2023 all’aprile del 2024 – da altr soggetto con il quale contrattava l’acquisto della cocaina, e di averla poi effettivamente ricevuta da questo diverso soggetto, in località diversa e distanze dal comune ove entrambi vivevano; si tratterebbe, ad avviso del ricorrente, di dichiarazioni false o comunque inverosimili, in quanto i telefoni in uso a NOME COGNOME risultano essere stati sequestrati nel novembre 2023, nonché in quanto non risulta che nessuno degli altri 30 usuali clienti di NOME COGNOME individuati dagli inquirenti abbia reso deposizioni analoghe, risultando, anzi, che uno di essi, tale NOME COGNOME ha dichiarato agli inquirenti il 2 marzo 2024 che «ho smesso di chiamargli circa due mesi fa, quando ho visto che lui non mi rispondeva più».
I giudici bresciani avrebbero superato queste incongruità con motivazione meramente congetturale, ipotizzando che NOME COGNOME avrebbe potuto effettuare un trasferimento di chiamata verso l’utenza del proprio padre, o duplicare la propria scheda sim così da consentirne l’utilizzo contestuale in due diversi apparecchi, e rilevando che gli incontri avrebbero potuto essere organizzati in luogo diverso dal comune nel quale COGNOME e COGNOME vivevano in ossequio ad «un atteggiamento ispirato a comprensibile prudenza».
Si dolgono, altresì, e a tutto voler concedere, tanto della decisione di revocare la misura alternativa, non essendo stato adeguatamente spiegato perché la riscontrata violazione costituisca un fatto incompatibile con la
prosecuzione della prova, quanto della decisione di revocarla ex tunc, perché risulta documentalmente che fino all’aprile del 2024 il COGNOME ha stabilmente svolto attività lavorativa e attività non retribuita in favre della collettività.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato, e deve, dunque, essere rigettato.
L’art. art. 47, comma 11, ord. pen. prescrive che «L’affidamento è revocato qualora il comportamento del soggetto, contrario alla legge o alle prescrizioni dettate, appaia incompatibile con la prosecuzione della prova»: è la stessa conformazione normativa dell’istituto a richiedere, dunque, la costante verifica della effettività del percorso di risocializzazione, in rapporto al quale condotte illecite o violatrici delle prescrizioni compiute dal soggetto ammesso possono comportare la revoca della misura, essenzialmente in rapporto alla rivalutazione della prognosi favorevole originariamente formulata, poiché la misura alternativa in questione implica la formulazione di una prognosi favorevole in tema di prevenzione dal pericolo di commissione di ulteriori reati e di esito positivo del percorso di risocializzazione.
In rapporto a tale costruzione normativa è del tutto evidente che anche una singola condotta – ove ne sia apprezzata la gravità – possa far emergere, con valutazione in fatto ed autonoma, la sopravvenuta carenza dei presupposti per la prosecuzione della prova, indipendentemente dal parallelo accertamento sulla rilevanza penale di quella medesima condotta: ancora da ultimo si è, invero, ribadito che «Ai fini della revoca di una misura alternativa per condotte di rilievo penale tenute dal condannato nel corso dell’esecuzione della pena, la valutazione del magistrato di sorveglianza in ordine alla loro rilevanza si fonda su un apprezzamento autonomo rispetto a quello svolto dal giudice della cognizione nel procedimento relativo alle medesime condotte, con l’unico limite dell’accertamento dell’insussistenza del fatto o della sua mancata commissione da parte dell’istante» (Sez. 1, n. 18351 del 29/02/2024, Greco, Rv. 286262 01); questo univoco orientamento trova fondamento nella circostanza che la revoca dell’affidamento in prova al servizio sociale non è rapportata dalla legge alla pura e semplice violazione della legge penale o delle prescrizioni dettate dalla disciplina della misura stessa, ma all’ipotesi che il giudice, nel suo insindacabile apprezzamento di merito, ritenga che le predette violazioni costituiscano in concreto un fatto incompatibile con la prosecuzione dell’esperimento (cfr., da ultimo, Sez. 1, n. 13376 del 18/02/2019, COGNOME, Rv. 275239 – 01); il relativo giudizio è, dunque, rimesso alla discrezionalità del Tribunale di sorveglianza, che ha solo l’obbligo di giustificare l’uso del potere conferitogli con motivazione logica ed esauriente. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Nel caso in esame il provvedimento impugnato ha fatto buon governo dei principi sopra indicati.
In punto di fatto, le doglianze del ricorrente non appaiono idonee a scalfire la tenuta motivazionale dell’ordinanza: quanto all’utilizzo da parte di NOME COGNOME dell’utenza in uso al figlio, occorre considerare che il COGNOME ha collocato
l’inizio delle conversazioni con la persona che ha poi riconosciuto in foto nell’odierno ricorrente nel mese di luglio del 2023, e che ciò appare altamente verosimile, visto che lo stesso ricorrente, nella memoria dell’8 maggio 2024 allegata al ricorso, ha documentato che nel luglio 2023 NOME COGNOME lasciò l’Italia per recarsi in Marocco, rientrando poi in Italia solo il 30 settembre 2023; dunque, non è affatto inverosimile che il COGNOME, chiamando la “solita utenza”, a partire dal luglio del 2023 abbia intrattenuto rapporti con l’odierno ricorrente; la circostanza che gli investigatori non abbiano appurato su quale utenza siano intercorse le conversazioni rende irrilevanti le deduzioni difensive circa l’impossibilità che i colloqui siano proseguiti dopo il novembre del 2023: sia perché questo dato comunque non impedisce di ritenere che l’odierno ricorrente abbia venduto droga al Bodini tra luglio e novembre 2023, sia perché, accertato che tra il luglio e il novembre 2023 l’odierno ricorrente ebbe l’uso del telefono del figlio, non può affatto escludersi, come del tutto ragionevolmente sostenuto nel provvedimento impugnato, che lo stesso possa aver disposto il trasferimento delle chiamate su un’utenza in suo uso; a corroborare ulteriormente queste considerazioni, la circostanza che un altro tossicofilo abbia dichiarato, nel marzo del 2024, di aver smesso di chiamare NOME COGNOME per rifornirsi di droga «circa due mesi fa»; né queste dichiarazioni possono essere svalutate alla luce del fatto che non è stato accertato che altri abituali clienti di NOME COGNOME si siano rivolti all’odierno ricorrente per acquistare droga.
Non sono stati, dunque, acquisiti elementi sufficienti per dubitare dell’attendibilità del testimone COGNOME che ha dichiarato di aver acquistato cocaina in circa dieci occasioni dall’odierno ricorrente, procedendo senza incertezze al suo riconoscimento fotografico; né la riferita circostanza che le cessioni di droga siano avvenute in un luogo diverso dal comune nel quale tanto il COGNOME quanto il COGNOME risiedono può rendere di per sé sola inverosimile il narrato, poiché, come si è ragionevolmente argomentato nel provvedimento impugnato, si tratta di circostanza che può logicamente essere interpretata come «un atteggiamento ispirato a comprensibile prudenza».
Sono infondati i motivi che attaccano la ritenuta eccessiva severità della decisione impugnata.
Con la sentenza n. 343 del 1987 la Corte Costituzionale, nel dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art. 47, comma 10, legge 26 luglio 1975, n. 354, nella parte in cui, in caso di revoca del provvedimento di ammissione all’affidamento per comportamento incompatibile con la prosecuzione della prova, non stabiliva gli effetti conseguenti, ha affermato che il Tribunale di sorveglianza, una volta disposta la revoca della misura alternativa, deve
procedere a determinare la residua pena detentiva ancora da espiare sulla scorta di una valutazione discrezionale, da condurre in considerazione della durata delle limitazioni patite dal condannato e del comportamento tenuto durante l’intero corso dell’esperimento.
La Consulta, effettuata la ricognizione dei contrapposti orientamenti dottrinali e giurisprudenziali sulle conseguenze della revoca della misura, ha rilevato l’incongruenza delle posizioni sino ad allora affermatesi, esprimendo dissenso sia per l’orientamento favorevole allo scomputo di tutto il periodo di affidamento in prova, sia per quello opposto che propugnava la non detraibilità di tale periodo di prova, ponendo l’accento sulla variabilità delle situazioni individuali di trasgressione delle norme di legge o delle prescrizioni inerenti alla misura: nell’assenza di una definizione normativa di «comportamento incompatibile con la prosecuzione della prova», ha ritenuto necessario che il relativo provvedimento fosse preceduto da un diversificato apprezzamento del comportamento e della violazione in relazione all’incisività delle regole imposte ed infrante.
Come evidenziato nelle motivazioni di Sez. 1, n. 9314 del 19/02/2014, Attianese, Rv. 259474 – 01, «la consapevolezza dell’esistenza di una “zona grigia”, ossia intermedia tra la condotta trasgressiva sin dall’inizio della sottoposizione alla misura e quella diligentemente rispettosa sino a quasi la conclusione del periodo di espiazione, cui soltanto all’ultimo segua una violazione determinante la revoca, nonché il richiamo ai principi di proporzionalità ed individualizzazione della pena, ha giustificato la soluzione prescelta di affidare al giudizio del Tribunale di Sorveglianza il compito di stabilire, caso per caso, la durata della residua pena detentiva da scontare in ragione “sia del periodo di prova trascorso dal condannato nell’osservanza delle prescrizioni imposte e del concreto carico di queste, sia della gravità oggettiva e soggettiva del comportamento che ha dato luogo alla revoca” (C.C. sent. n. 343 del 29/10/1987)».
Nel caso di specie, il Tribunale di sorveglianza di Brescia ha giustificato l’uso del potere di revoca ad esso conferito con motivazione logica ed esauriente, imperniata sulla gravità delle condotte illecite (peraltro identiche a quelle accertate nelle sentenze di condanna in esecuzione), condotte che peraltro il ricorrente tenne a partire dal luglio 2023, e, dunque, neppure un mese dopo l’ammissione alla misura alternativa, avvenuta il 28 giugno 2023 in esecuzione del provvedimento emesso il 20 giugno 2023.
Dunque, l’ordinanza impugnata, a fronte dell’evidenza della trasgressione, ha correttamente ritenuto tale condotta radicalmente incompatibile con la prosecuzione della misura alternativa, revocando la stessa ex tunc, ritenendo
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che essa fosse rivelatrice di una deliberata volontà del condannato di sottrarsi a programmi di risocializzazione e di revisione del proprio vissuto criminale già a partire dal momento della concessione dell’affidamento in prova.
Questa Corte, sul punto specifico, ha ripetutamente chiarito come – in punto di determinazione della decorrenza della revoca della misura alternativa debbano prendersi in considerazione la gravità oggettiva e soggettiva della condotta dalla quale ha tratto origine tale decisione, il comportamento complessivamente serbato dal condannato durante il periodo di prova trascorso, ed infine la concreta incidenza delle prescrizioni imposte a suo carico: si è, dunque, statuito che è consentito far retroagire ex tunc la revoca allorquando la condotta tenuta dal condannato si riveli tanto negativa, da portare a desumere che sia stata inesistente, fin dal momento iniziale, l’adesione dello stesso al percorso rieducativo (Sez. 1, n. 36470 del 29/04/2021, COGNOME, Rv. 282007 – 01).
L’ordinanza impugnata, con motivazione coerente, priva di illogicità o contraddittorietà, e, dunque, destinata a restare immune da qualsivoglia stigma in sede di legittimità, ha correttamente applicato il menzionato principio di diritto, fondando la contestata decisione sul rilievo che il fatto fosse significativ della natura solo strumentale della decisione di aderire al percorso rieducativo, atteso che i comportamenti censurati, sintomatici della sostanziale vanificazione delle prescrizioni imposte, erano stati posti in essere poche settimane dopo l’inizio dell’affidamento.
4. Il provvedimento impugnato non ha, dunque, violato le norme in tema di misure alternative alla detenzione, ed esibisce una motivazione puntuale, logica, coerente ed esaustiva che si rispecchia fedelmente negli elementi che possono trarsi dagli atti in carteggio: una motivazione che, pertanto, non può essere affatto ritenuta né manifestamente illogica, né contraddittoria, dovendosi, in proposito, rammentare che «Ricorre il vizio di motivazione manifestamente illogica nel caso in cui vi sia una frattura logica evidente tra una premessa, o più premesse, nel caso di sillogismo, e le conseguenze che se ne traggono, e, invece, di motivazione contraddittoria quando non siano conciliabili tra loro le considerazioni logico-giuridiche in ordine ad uno stesso fatto o ad un complesso di fatti o vi sia disarmonia tra la parte motiva e la parte dispositiva dell sentenza, ovvero nella stessa si manifestino dubbi che non consentano di determinare quale delle due o più ipotesi formulate dal giudice – conducenti ad esiti diversi – siano state poste a base del suo convincimento» (Sez. 5, n. 19318 del 20/01/2021, Cappella, Rv. 281105).
Ne deriva l’infondatezza, ai limiti dell’ammissibilità, dei rilievi difensivi al ricorso, inidonei ad intaccare la tenuta motivazionale del provvedimen impugnato.
Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento dell spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spe processuali.
Così deciso il 23/10/2024.