Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 2662 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 2662 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 19/12/2023
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME in MAROCCO il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 23/08/2023 del TRIB. SORVEGLIANZA di MILANO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Con il provvedimento impugNOME, il Tribunale di sorveglianza di Milano ha rigettato l’istanza di affidamento in casi particolari ex art. 94 TU Stup. avanzata da RAGIONE_SOCIALE, revocando il provvedimento del Magistrato di sorveglianza di Varese in data 12 maggio 2023 che l’aveva applicata in via provvisoria quale prosecuzione degli arresti domiciliari, con esecuzione dal 14 giugno 2023.
Ricorre COGNOME, a mezzo del difensore AVV_NOTAIO, che chiede l’annullamento del provvedimento impugNOME, denunciando il vizio della motivazione, anche per travisamento, con riguardo alla revoca ex tunc perché si è travisata la originaria volontà del condanNOME di aderire al programma.
Il ricorso è inammissibile perché non si confronta con la motivazione che ha evidenziato la revoca della disponibilità alla accoglienza da parte della comunità di recupero a seguito del comportamento, da subito manifestatosi da parte del condanNOME, di non volersi affatto sottoporre al programma, essendo stato colto ad assumere stupefacenti e alcol.
Il travisamento della prova è, poi, insussistente perché riguarderebbe le intime convinzioni del condanNOME le quali, tuttavia, non corrispondono affatto all’agito.
3.1. Le doglianze sulla revoca ex tunc sono inammissibili perché meramente assertive.
Il Collegio condivide l’orientamento di legittimità secondo il quale «in tema di revoca dell’affidamento in prova al servizio sociale, ai fini della determinazione della pena residua da espiare, il Tribunale di sorveglianza deve procedere sulla scorta di una valutazione discrezionale, da condurre, caso per caso, considerando il periodo di prova trascorso dal condanNOME nell’osservanza delle prescrizioni imposte e il concreto carico di queste, nonché la gravità oggettiva e soggettiva del comportamento che ha dato luogo alla revoca» (Sez. 1, n. 490 del 03/11/2015 dep. 2016, Perra, Rv. 265859).
L’orientamento in questione poggia le proprie basi sulla sentenza della Corte costituzionale n. 343 del 1987 e delle precedenti sentenze n. 185/1985 e n. 312/1985; in particolare, il giudice delle leggi ha dichiarato «l’illegittimi costituzionale del decimo comma dell’art. 47 della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e
limitative della libertà), nella parte in cui – in caso di revoca del provvedimento di ammissione all’affidamento in prova per comportamento incompatibile con la prosecuzione della prova – non consente al Tribunale di sorveglianza di determinare la residua pena detentiva da espiare, tenuto conto della durata delle limitazioni patite dal condanNOME e del suo comportamento durante il trascorso periodo di affidamento in prova».
La Corte costituzionale, nel ribadire quanto ha già affermato nelle richiamate decisioni nn. 185 e 312 del 1985 circa il carattere sanzioNOMErio delle prescrizioni inerenti all’affidamento in prova, ha evidenziato che si tratta «di norme di condotta che investono l’intera attività del reo e comportano significative limitazioni all’esercizio di una serie di diritti costituzionalmente garantiti: sicch qualunque sia la nozione di pena che si ritenga di accogliere, non è dubbio che esse rientrino a pieno titolo tra quelle restrizioni della libertà personale la cu imposizione l’art.13 Cost. circonda di particolari cautele».
Posta questa premessa, la Corte costituzionale ha evidenziato che «non può non riconoscersi che il non tenere in alcun conto, in caso di revoca, il già patito assoggettamento a tali restrizioni nel pregresso periodo di affidamento costituisce un risultato contrastante con quel disposto costituzionale».
Di ciò si è fatto carico il Tribunale, mentre il ricorso si limita a contestarne l valutazioni.
3.2. All’inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti a escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost., sentenza n. 186 del 2000), anche la condanna al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende nella misura che si stima equo determinare in euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 19 dicembre 2023.