Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 35476 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 35476 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 02/07/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME a POLAVENO il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 16/04/2024 del TRIB. SORVEGLIANZA di BRESCIA udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del PG NOME COGNOME che ha chiesto rigettarsi il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza indicata nel preambolo il Tribunale di sorveglianza di Brescia ha revocato l’affidamento in prova ai servizi sociali concesso a NOME COGNOME, disponendo non imputarsi a pena espiata il periodo in cui la misura de qua aveva avuto esecuzione.
Ricorre per cassazione COGNOME, a mezzo del difensore di fiducia, articolando due motivi.
2.1. Con il primo deduce violazione di legge in relazione all’art. 47, comma 11, Ord. pen. nonché vizio di motivazione.
Il Tribunale ha attribuito rilevanza decisiva all’arresto, per violazione della norma incriminatrice di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990, eseguito in costanza di applicazione della misura alternativa, oltre che ai plurimi precedenti penali e all’intervenuto accertamento in sede cautelare del pericolo di recidivanza. Così operando ha, però, disatteso il pacifico principio giurisprudenziale in forza del quale ai fini della revoca dell’affidamento in prova non è sufficiente la violazione delle prescrizioni imposte, ma è comunque necessaria la mancata adesione al percorso di risocializzazione, desunta da un giudizio più ampio, che tenga conto dell’intera condotta dell’affidato. In quest’ottica il Tribunale avrebbe dovuto prendere in esame e adeguatamente valutare anche le circostanze fattuali sintomatiche dell’adesione al programma di risocializzazione, ed in particolare:
la durata della misura alternativa, protrattasi positivamente per quasi due anni, con un proficuo rapporto con gli operatori sociali;
lo svolgimento dell’attività lavorativa di autista con la concessione di tutte autorizzazioni necessarie agli spostamenti, anche fuori regione;
-l’osservanza delle prescrizioni risarcitorie con lo svolgimento di volontariato;
la ripetuta concessione della libertà anticipata;
le positive valutazioni dei funzionari del servizio sociale.
E’ stata enfatizzata la relazione dei servizi sociali nella parte in cui evidenzia alcune divergenze con il datore di lavoro, trascurando che trattasi di contrasti limitati alla durata della prestazione lavorativa.
Il Tribunale non ha analizzato esaustivamente i fatti che hanno portato all’arresto del condanNOME ed in particolare la protesta di innocenza e la scelta meramente processuale di COGNOME di definire il procedimento con l’applicazione della pena; d’altra parte, proprio in ragione della positiva personalità la pena inflitta era stata sostituita ai sensi dell’art. 20-bis cod. pen., come modificato alla legge Cartabia, con i lavori di pubblica utilità.
2.2. Con il secondo motivo deduce vizio di motivazione in relazione alla decorrenza ex tunc della revoca.
Lamenta che l’ordinanza impugnata ha, da una parte, valutato come minimo il carico afflittivo della misura, prescindendo dal dato pacifico che le prescrizioni con contenuto di più ampio respiro erano comunque imposte dalle esigenze lavorative e, dall’altra, ha considerato grave la violazione commessa, trascurando che l’affidato aveva tenuto durante l’intero periodo una condotta ineccepibile e che il procedimento penale si era concluso con l’applicazione di una sanzione sostitutiva.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Ritiene il Collegio che il ricorso sia passibile di rigetto.
Il primo motivo di ricorso è privo di fondamento.
1.1. Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, la revoca della misura alternativa dell’affidamento in prova al servizio sociale, come correttamente ricordato dal ricorrente, non è rapportatoAall’ordinamento alla pura e semplice violazione della legge penale o delle prescrizioni dettate dalla disciplina della misura stessa, ma all’ipotesi che il giudice, nel suo insindacabile apprezzamento di fatto, ritenga che la violazione commessa costituisca in concreto un fatto incompatibile con la prosecuzione della prova (tra le altre, Sez. 1, 13376 del 18/2/2019, COGNOME, Rv. 275239; Sez. 1, n. 27713 del 6/6/2013, COGNOME, Rv. 256367; Sez. 1, n. 27711 del 6/6/2013, COGNOME, Rv. 256479).
In tal modo, il giudizio sulla revoca, pur in presenza di un comportamento del soggetto contrario alle prescrizioni, è rimesso alla discrezionalità del Tribunale di sorveglianza, che ha solo l’obbligo di giustificare logicamente e adeguatamente l’uso del potere conferitogli. Tale principio è coerente con il testo della legge, e, in particolare, con la previsione dell’art. 47 Ord. Pen., comma 11, secondo cui l’affidamento è revocato qualora il comportamento del soggetto, contrario alla legge o alle prescrizioni dettate, appaia incompatibile con la prosecuzione della prova, ed è anche correlato con l’affermazione, pure ricorrente nella giurisprudenza di questa Corte, che, nel procedimento di sorveglianza finalizzato alla revoca dell’affidamento, possono essere valutati fatti storici costituenti ipotesi di reato riferibili al condanNOME senza necessità di attendere la .definizione del relativo procedimento penale, ove se ne tragga la coerente e motivata conclusione di una interruzione del percorso di risocializzazione (tra le altre, Sez. 1, n. 33089 del 10/5/2011, Assisi, Rv. 250824, e, in genere, per la valutazione della meritevolezza dei benefici penitenziari, tra le altre, Sez. 1, n. 42571 del 19/4/2013, COGNOME, Rv. 256695; Sez. 1, n. 6989 del 9/12/1999, COGNOME A., Rv. 215125; Sez. 1, n. 2008 del 31/3/1995, COGNOME, Rv. 201368).
1.2. Poiché il tratto distintivo della revoca è costituito dalla natura sanzioNOMEria e dagli effetti impeditivi dell’ulteriore svolgimento dell’esperimento della prova alla luce della condotta tenuta dal condanNOME nel corso della misura, nel giudizio sulla sussistenza dei presupposti il Tribunale è chiamato a valutare la gravità di singoli, specifici, episodi per verificare se essi siano incompatibili con la prosecuzione della prova, laddove per stabilirne l’esito deve procedere a una valutazione globale dell’intero periodo per decidere se sia o no avvenuto il recupero
sociale del condanNOME (tra le altre, Sez. 1, n. 30525 del 30/6/2010, Giaccio, Rv. 248376 – 01; Sez. 1, n. 1180 del 17/2/2000, Cornerò, Rv. 215706 – 01).
1.3. E’ pacifico anche l’indirizzo ermeneutico secondo cui nel procedimento di sorveglianza possono essere valutati anche fatti costituenti mere ipotesi di reato, senza la necessità di attendere la definizione del relativo procedimento penale, rilevando la sola valutazione della condotta del condanNOME, al fine di stabilire se lo stesso, a prescindere dall’accertamento giudiziale sulla sua responsabilità penale, sia meritevole dei benefici penitenziari richiesti (Sez. 1, n. 42571 del 19 3 aprile 2013, COGNOME, n.m.; Sez. 1, n. 33089 del 10/05/2011, Assisi, Rv. 250824; Sez. 1, n. 37345 del 27/09/2007, COGNOME, Rv. 237509).
1.4. Ciò posto, rileva il Collegio che, nel caso specifico, il Tribunale di sorveglianza ha argomentatamente disposto la revoca della misura alternativa, apprezzando, in modo logico, la natura e la gravità della condotta delittuosa posta in essere in violazione delle prescrizioni (detenzione a fini di spaccio di 11 involucri contenenti sostanza stupefacente di tipo cocaina del peso complessivo di grammi 6,18) e la sua incompatibilità con la prosecuzione della misura, alla luce non solo dei precedenti penali e della condotta processuale tenuta in sede di convalida della misura cautelare, con la negazione dell’addebito in assenza di supporto probatorio e valide giustificazioni, ma anche dell’andamento complessivo della misura sino alla condotta trasgressiva, non esente da problematiche che avevano reso necessario l’intervento degli operatori sociali per rispetto dell’orario di lavoro e per migliorare le relazioni con i colleghi di lavoro.
A tali argomentazioni la difesa del ricorrente nulla di concreto oppone, limitandosi a sollecitare un diverso apprezzamento dei medesimi elementi fattuali già considerati recessivi e prospettandone una lettura alternativa indicata come più plausibile.
Il secondo motivo, incentrato sulla decorrenza della revoca dell’affidamento in prova al servizio sociale, è parimenti infondato.
2.1. La Corte Costituzionale, con la pronuncia n. 343 del 1987, nel dichiarare l’illegittimità costituzionale del decimo comma dell’art. 47 Ord. pen. nella parte in cui, in caso di revoca del provvedimento di ammissione all’affidamento in prova per comportamento incompatibile con la prosecuzione della prova, non stabilisce gli effetti conseguenti, ha affermato che il Tribunale di Sorveglianza, una volta disposta la revoca della misura alternativa, deve procedere a determinare la residua pena detentiva ancora da espiare sulla scorta di una valutazione discrezionale, da condurre in considerazione della durata delle limitazioni patite dal condanNOME e del comportamento tenuto durante l’intero corso dell’esperimento.
La Consulta, effettuata la ricognizione dei contrapposti orientamenti dottrinali e giurisprudenziali sulle conseguenze della revoca della misura, ha rilevato l’incongruenza delle posizioni sino ad allora affermatesi: quella maggioritaria che, assegnando all’affidamento in prova una funzione essenzialmente rieducativa, riteneva che la revoca per il fallimento dell’esperimento avesse effetto retroattivo e determinasse il ripristino dell’originario rapporto punitivo, non tenendo conto del contenuto sanzioNOMErio delle prescrizioni inerenti la misura, limitative della libertà personali e quindi necessariamente oggetto di valutazione in sede di revoca per stabilire quanto dovesse ancora essere espiato, per cui il non tenerne conto si sarebbe posto in contrasto col disposto dell’art. 13 Cost.; quella minoritaria che, basata sulla equiparazione dell’affidamento in prova all’espiazione della pena, di cui costituirebbe una modalità esecutiva, nel ritenere che il periodo scontato andasse in ogni caso scomputato per intero dalla pena residua, avrebbe introdotto ingiustificate parificazioni di trattamento tra la diversa situazione di coloro hanno violato le leggi o le regole imposte sin dall’inizio e quanti vi erano incorsi ne periodo conclusivo dell’esperimento e avrebbe finito per eliminare la natura sanzioNOMEria e la funzione preventiva della revoca con la conseguente disincentivazione alla regolarità della condotta dell’affidato, in contrasto con la funzione rieducativa della misura.
Il Giudice delle leggi ha, quindi, omesso di prendere posizione in favore di unar.piuttosto che dell’altra delle opinioni, ma ha posto l’accento sulla variabilità delle situazioni individuali di trasgressione delle norme di legge o delle prescrizioni inerenti la misura, per cui, nell’assenza di una definizione normativa di “comportamento incompatibile con la prosecuzione della prova”, secondo la dizione letterale dell’art. 47 Ord. pen., causa di revoca, il relativo provvedimento richiede un diversificato apprezzamento del comportamento e della violazione in relazione all’incisività delle regole imposte ed infrante.
La consapevolezza dell’esistenza di una “zona grigia”, ossia intermedia tra la condotta trasgressiva sin dall’inizio della sottoposizione alla misura e quella diligentemente rispettosa sino a quasi la conclusione del periodo di espiazione, cui soltanto all’ultimo segua una violazione comportante la revoca, nonché il richiamo kr.N2 ai principi di proporzionalità ed individualizzazione della pena har giustificato la soluzione prescelta di affidare al giudizio del Tribunale di Sorveglianza il compito di stabilire, caso per caso, la durata della residua pena detentiva da scontare in ragione “sia del periodo di prova trascorso dal condanNOME nell’osservanza delle prescrizioni imposte e del concreto carico di queste, sia della gravità oggettiva e soggettiva del comportamento che ha dato luogo alla revoca” (Corte Costituzionale, sentenza n. 343 del 29/10/1987).
2.2. La giurisprudenza di legittimità, in sintonia con le coordinate fissate dalla Corte costituzionale, ha fissato il principio per cui, ai fini della determinazione del residuo periodo di pena da espiare, il Tribunale di sorveglianza deve espressamente motivare, prendendo in esame non solo la gravità oggettiva e soggettiva del comportamento che ha dato ad essa luogo, ma anche la condotta complessivamente tenuta dal condanNOME durante il periodo di prova trascorso e 3 la concreta incidenza delle prescrizioni imposte a suo carico (Sez. 1, n. 19398 del 14/12/2016, dep. 2017, COGNOME; Sez. 1, n. 490 del 03/11/2015, dep. 2016, COGNOME, Rv. 265859-01; Sez. 1, n. 9314 del 19/02/2014, COGNOME, Rv. 25947401). Conseguentemente la revoca, con effetto retroattivo (o parzialmente tale), nell’esercizio di un ampio potere discrezionale, potrà essere disposta quando il comportamento del condanNOME riveli, da data antecedente la decisione, l’inesistente adesione al processo rieducativo (v. Sez. 1, n. 34565 del 12/04/2007, NOME).
2.3. Il provvedimento impugNOME ha fatto corretta applicazione dei principi enunciati, seguendo un iter motivazionale che non presta il fianco alle proposte censure.
Il Tribunale ha, infatti, correttamente valorizzato, nel giudizio fallimentare in toto formulato sulla prova accordata al condanNOME, la gravità della violazione delle prescrizioni, di cui egli si era reso responsabile, peraltro compiendone un’analitica descrizione utile a stigmatizzarne l’incompatibilità con la prosecuzione della misura, nonché l’incontestato ridotto carattere afflittivo del regime di affidamento caratterizzato dalla concessione di autorizzazioni e permessi che, sebbene legate all’attività lavorativa, avevano oggettivamente ampliato la libertà di movimento.
Il ricorso deve pertanto essere rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso, in Roma 2 luglio 2024.