Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 38846 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 38846 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 18/09/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 16/05/2024 del TRIB. SORVEGLIANZA di MILANO udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del PG NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso
RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale di sorveglianza di Milano, con l’ordinanza indicata nel preambolo, ha revocato la misura dell’affidamento in prova al servizio sociale concessa a NOME COGNOME, con provvedimento del 27 marzo 2023, e successivamente sospesa ai sensi dell’art. 51-ter Ord. pen. dal Magistrato di sorveglianza, con provvedimento del 14 maggio 2024.
A ragione della decisione osserva che il condannato ha tenuto, durante l’applicazione della misura, una pluralità di comportamenti sintomatici, nel loro complesso, di attuale pericolosità sociale e di mancata adesione al percorso dell’affidamento. NOME COGNOME, infatti: aveva reiteratamente violato l
prescrizione che gli imponeva di rimanere all’interno della sua abitazione in orario notturno; dopo non essersi presentato ad un appuntamento previamente concordato, aveva interrotto i contatti con l’UEPE per un lungo periodo; era stato denunciato per il reato di tentata rapina e per resistenza a pubblico ufficiale dopo essersi dato a precipitosa fuga per sottrarsi all’intimazione di fermarsi impartitagl da una pattuglia impegnata in un controllo su strada.
NOME COGNOME ricorre per cassazione, per il tramite del difensore di fiducia articolando un unico motivo con cui denuncia vizio di motivazione con riferimento al contenuto della memoria difensiva depositata il 10 maggio 2024.
Lamenta che il Tribunale non ha preso in considerazione le argomentazioni difensive esposte nella memoria, del cui tempestivo deposito non si fa alcun cenno nel provvedimento imougnato, nonostante il loro potenziale carattere decisivo. Conseguentemente, l’apparato giustificativo della decisione non può che risultare viziato sul piano logico ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen. n termini indicati alla richiamata giurisprudenza di legittimità.
La memoria, allegata al ricorso ai fini della sua autosufficienza, prende in esame tutte le condotte del condannato ritenute rilevati ai fini della revoca del beneficio, evidenziando per ciascuna di esse o l’assenza di evidenze sufficienti a dimostrarne il reale accadimento o, comunque, l’irrilevanza ai fini del percorso rieducativo.
Con riferimento alla piattaforma indiziaria da cui è stata desunta la partecipazione alla tentata rapina, è stato evidenziata l’imprecisione delle dichiarazioni accusatorie rese dalla persona offesa, oltre che l’assenza di riscontri nell’attività investigativa, tale non potendo valorizzarsi neanche la presenza nel luogo in compagnia con gli altri accusati. Si tratta infatti di persone ai quali NOME COGNOME è legato da comprovati rapporti di parentela.
Quanto alle assenze dell’abitazione, laddove effettivamente sussistenti, sono state tutte giustificate con la dettagliata indicazione di ragioni legate a gravi even familiari e non possono pertanto essere considerate come espressione di un atteggiamento sprezzante.
In relazione ai rapporti con gli operatori dell’UEPE, un solo incontro era “saltato” per mera dimenticanza, ma il condannato si era subito attivato con l’invio di email per fissare un nuovo appuntamento.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato e non merita accoglimento, per le ragioni di seguito esposte.
1. Il Tribunale di sorveglianza, come sottolineato dal Procuratore generale di questa Corte nelle sue conclusioni scritte, pur non menzionando esplicitamente la memoria, non ha trascurato i rilievi che, secondo la prospettazione difensiva, ridimensionavano fortemente il significato di trasgressione alle prescrizioni attribuito agli episodi posti a fondamento della decisione di revoca della misura; anzi li ha presi esaustivamente in esame, superandoli, , nella sostanza, con argomentazioni logiche ed apprezzamenti di merito non sindacabili in sede di legittimità.
Pur prendendo atto che il quadro probatorio a sostegno del coinvolgimento di NOME nella tentata rapina era ancora fluido, lo ha comunque ritenuto sufficiente per desumerne condotte allarmanti del tutto incompatibili con la prosecuzione della misura sulla scorta non di congetture, ma valorizzando l’attendibilità delle dichiarazioni accusatorie della persona offesa e del riconoscimento fotografico con argomentazioni in fatto adeguate e sul piano giuridico ineccepibili.
Al riguardo va ricordato che è ormai consolidato l’orientamento giurisprudenziale in forza del quale nel procedimento di sorveglianza possono essere valutati anche fatti costituenti ipotesi di reato, senza la necessità d attendere la definizione del relativo procedimento penale, a condizione che il giudice ne valuti la pertinenza rispetto al trattamento rieducativo, in quanto espressione di un atteggiamento incompatibile con l’adesione allo stesso da parte del detenuto (Sez. 1, n. 29863 del 24/03/2023, COGNOME, Rv. 284997 – 01; Sez. 1, n. 33848 del 30/04/2019, COGNOME, Rv. 276498 – 01).
Parimenti, ha considerato non significative le giustificazioni sia sulle ripetut assenze dall’abitazione in orario notturno, perché riferite soltanto ad alcuni episodi, sia sull’interruzione prolungata dei rapporti con l’UEPE, perché anche a seguire la ricostruzione proposta dal condannato, la condotta, nel suo complesso considerata, rimaneva sempre sintomatica di trascuratezza e di adesione non convinta al programma di risocializzazione.
In ogni caso, l’ordinanza impugnata ha correttamente considerato elemento decisivo, di per sé solo sufficiente a fondare la revoca, l’ultima trasgressione i ordine di tempo, nemmeno contestata in sede di ricorso, ovvero la condotta di resistenza posta in essere con una fuga in motociclo talmente spericolata da mettere a serio repentaglio l’incolumità degli utenti della strada attraverso sorpassi azzardati in pegno centro cittadino, passaggi agli incroci nonostante il segnale rosso, guida contromano e attraversamento di aree pedonali. Si tratta con tutta evidenza di un comportamento che, come si legge nel provvedimento impugnato, per essere radicalmente sprezzante nei confronti elle più elementari
regole del vivere civile e, senz’altro, dimostrativo della mancata adesione al percorso di affidamento.
In definitiva, non è riscontrabile un omesso esame delle ragioni difensive espresse nella memoria tale da integrare un difetto di motivazione censurabile in sede di legittimità.
Le precedenti considerazioni impongono, in conclusione, il rigetto del ricorso, da cui discende la condanna di NOME COGNOME al pagamento delle spese processuali ai sensi dell’art. 616, comma 1, primo periodo, cod. proc. pen.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso, in Roma 18 settembre 2024.