Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 30408 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 30408 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 04/04/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a NOCERA INFERIORE il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 29/11/2023 del TRIB. SORVEGLIANZA di SALERNO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Visti gli atti e l’ordinanza impugnata; letti i motivi del ricorso;
rilevato che con il provvedimento impugnato è stata disposta, nei confronti di NOME COGNOME, la revoca, con effetto parzialmente ex tunc, della misura alternativa alla detenzione dell’affidamento in prova al servizio sociale, con conseguente prosecuzione dell’espiazione della pena in regime ordinario, per essersi egli, a partire dal 25 gennaio 2023, ovvero in costanza di esecuzione della pena, reso protagonista di comportamenti radicalmente incompatibili con la prosecuzione dell’esecuzione della prova in regime alternativo e tali di dimostrare il fallimento del tentativo riabilitativo;
che, in proposito, la giurisprudenza di legittimità è consolidata nell’affermare – in ossequio al dettato dell’art. 47, undicesimo comma, legge 26 luglio 1975, n. legge 26 luglio 1975, n. 354, – che la revoca della misura alternativa dell’affidamento in prova al servizio sociale discende non già dalla mera violazione della legge penale o delle prescrizioni dettate dalla disciplina della misura, ma, piuttosto, dal fatto che il giudice, nel suo insindacabile apprezzamento di fatto, ritenga, con motivazione logica, adeguata e non viziata, che la violazione commessa costituisca, in concreto, sopravvenienza incompatibile con la prosecuzione della prova (così, tra le altre,, Sez. 1, n. 13376 del 18/02/2019, COGNOME, Rv. 275239; Sez. 1, n. 27711 del 06/06/2013, COGNOME, Rv. 256479; Sez. 1., n. 2566 del 07/05/1998, COGNOME, Rv. 210789);
che, in tal modo, il giudizio sulla revoca, pur in presenza di un comportamento del soggetto contrario alle prescrizioni, è rimesso alla discrezionalità del Tribunale di sorveglianza, che ha solo l’obbligo di giustificare logicamente e adeguatamente l’uso del potere conferitogli;
che il contenuto del giudizio affidato al Tribunale di sorveglianza è ulteriormente caratterizzato, sul piano della ricostruzione sistematica dell’istituto, dal rilievo che il tratto distintivo della revoca è costituito dalla natura sanzionatoria e dagli effetti impeditivi dell’ulteriore svolgimento dell’esperimento della prova, sul presupposto della sua incompatibilità con la condotta tenuta dal condannato, e dal riflesso che tale tratto caratterizzante ha sul contenuto del giudizio affidato all’autorità giudiziaria;
che il Tribunale di sorveglianza, nella revoca, è, infatti, chiamato a valutare la gravità di singoli, specifici, episodi per verificare se essi siano o mano incompatibili con la prosecuzione della prova, mentre, per stabilirne l’esito, deve procedere a una valutazione globale dell’intero periodo nell’ottica del recupero sociale del condannato (Sez. 1, n. 30525 del 30/06/2010, COGNOME, Rv. 248376; Sez. 1, n. 1180 del 17/02/2000, COGNOME, Rv. 215706);
che il Tribunale di sorveglianza, ancora, nel procedere alla revoca dell’affidamento, è tenuto a determinare il periodo di pena da considerarsi eventualmente scontato da parte del condannato, procedendo a un’attenta disamina del periodo di prova da lui trascorso onde stabilire, al là di ogni automatismo, se – ed eventualmente fino a qual punto – possa ragionevolmente ritenersi che l’affidato abbia raggiunto un grado, sia pur parziale, di risocializzazione, a tal fine considerando anche il concreto carico delle prescrizioni imposte, nonché la gravità oggettiva e soggettiva del comportamento che ha dato luogo alla revoca (Sez. 1, n. 490 del 03/11/2015, dep. 2016, COGNOME, Rv. 265859; Sez. 1, n. 9314 del 19/02/2014, COGNOME, Rv. 259474; Sez. 1, n. 2667 del 18/10/2011, dep. 2012, COGNOME, Rv. 251844);
che va ricordato, al riguardo, che la Corte costituzionale – nel dichiarare, con la sentenza n. 343 del 1987, l’illegittimità costituzionale dell’art. 47, decimo comma, della legge 26 luglio 1975, n. 354, nella parte in cui, in caso di revoca del provvedimento di ammissione all’affidamento in prova per comportamento incompatibile con la prosecuzione della prova, non stabilisce gli effetti conseguenti – ha affermato che il Tribunale di sorveglianza, una volta disposta la revoca della misura alternativa, deve procedere a determinare la residua pena detentiva ancora da espiare sulla scorta di una valutazione discrezionale, da condurre in considerazione della durata delle limitazioni patite dal condannato e del comportamento tenuto durante l’intero corso dell’esperimento;
che, nel caso di specie, il Tribunale di sorveglianza ha rilevato che l’irregolare svolgimento, da parte del condannato, dell’attività lavorativa cui egli è stato ammesso sia sintomatico di mancata adesione all’iniziativa risocializzante e di inveterata indifferenza al rispetto di regole e presc:rizioni, del tut incompatibile con la prosecuzione dell’affidamento in prova al servizio sociale, e che dal fallimento dell’intervento rieducativo discenda – per necessità e tenuto conto anche della durata della misura alternativa e del carico di prescrizioni che, in concreto, la hanno connotata – il carattere parzialmente retroattivo della revoca, decorrente dall’inizio della condotta inottemperante;
che, a fronte di uno sviluppo argomentativo completo, coerente ed armonico, il ricorrente proporre obiezioni di marcata sterilità, che non si emancipano da un’ottica ispirata alla mera confutazione, e si duole dell’omessa sostituzione della misura revocata con quella della detenzione domiciliare cui, tuttavia, egli non avrebbe potuto accedere in ragione dell’entità, superiore al biennio, della pena residua da espiare, decorrente dal 25 gennaio 2023 al 16 aprile 2025;
che la decisione impugnata si palesa, pertanto, congruamente argomentata e frutto del fisiologico esercizio della discrezionalità giudiziale, a fronte del qua
il ricorrente oppone obiezioni del tutto inidonee ad individuare sintomi di illog o contraddittorietà;
ritenuto che, pertanto, deve essere dichiarata la inammissibilità del ricorso, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti a escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento della somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 04/04/2024.