Revoca Affidamento in Prova: Nuovi Reati Senza Condanna Bastano?
La concessione di una misura alternativa alla detenzione, come l’affidamento in prova, rappresenta un’importante opportunità di reinserimento. Tuttavia, cosa accade se durante questo percorso il soggetto commette nuovi reati? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha affrontato il tema della revoca affidamento in prova, chiarendo che per perdere il beneficio non è sempre necessaria una condanna definitiva. Vediamo insieme i dettagli del caso.
I Fatti del Caso
Un individuo, ammesso alla misura dell’affidamento in prova al servizio sociale, si vedeva revocare tale beneficio dal Tribunale di Sorveglianza. La decisione del Tribunale si basava su due nuove notizie di reato a suo carico: una per evasione e un’altra per truffa. Nello specifico, l’uomo era stato denunciato per aver utilizzato una carta prepagata di cui aveva precedentemente dichiarato lo smarrimento.
Il difensore del condannato ha presentato ricorso in Cassazione, sostenendo che la revoca fosse illegittima poiché basata su semplici denunce e non su condanne passate in giudicato, lamentando una violazione di legge e un vizio di motivazione.
La decisione della Cassazione sulla revoca affidamento in prova
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando in toto la decisione del Tribunale di Sorveglianza. I giudici di legittimità hanno stabilito che le censure sollevate dal ricorrente erano in realtà delle mere doglianze sui fatti, non ammissibili in sede di Cassazione, il cui compito è valutare la corretta applicazione della legge e non riesaminare le prove.
Le Motivazioni della Corte
Il punto centrale della decisione risiede nella valutazione del comportamento complessivo del soggetto. Il Tribunale di Sorveglianza aveva correttamente evidenziato che l’individuo si era già reso responsabile di un episodio di evasione in passato. La nuova denuncia per truffa, sommata al precedente, delineava un quadro preoccupante.
Secondo la Corte, questi comportamenti sono “sintomatici di una pervicacia nel delinquere e di una mancanza di resipiscenza”. In altre parole, le nuove condotte, anche se non ancora accertate con sentenza definitiva, dimostrano che il soggetto non ha interrotto il suo percorso criminale e non ha mostrato alcun segno di pentimento. Tale atteggiamento è incompatibile con la finalità della misura alternativa, che si fonda sulla fiducia e sulla volontà del condannato di riabilitarsi. La revoca dell’affidamento in prova, pertanto, non è una punizione per i nuovi reati, ma una conseguenza della violazione del patto fiduciario con lo Stato.
Conclusioni e Implicazioni Pratiche
Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale in materia di esecuzione della pena: per la revoca affidamento in prova non è indispensabile attendere l’esito finale di un nuovo procedimento penale. Il giudice di sorveglianza ha il potere e il dovere di valutare qualsiasi comportamento del condannato che sia contrario alla legge o alle prescrizioni imposte. Se tale comportamento, analizzato nel suo complesso, dimostra che il percorso di reinserimento è fallito e che il soggetto non ha cambiato la propria condotta di vita, la revoca della misura alternativa è una conseguenza legittima e necessaria per tutelare la sicurezza della collettività.
È necessaria una condanna definitiva per nuovi reati per procedere alla revoca dell’affidamento in prova?
No, secondo la Corte non è necessaria una condanna definitiva. Comportamenti che dimostrano una persistenza nel commettere reati e una mancanza di pentimento, come nuove denunce, possono essere sufficienti a giustificare la revoca.
Quali elementi ha considerato il giudice per decidere la revoca?
Il giudice ha considerato i nuovi episodi (una denuncia per truffa e una precedente evasione) non come fatti isolati, ma come indicatori di un atteggiamento complessivo. Ha valutato questi comportamenti come sintomatici di una ‘pervicacia nel delinquere’ e ‘mancanza di resipiscenza’, incompatibili con il percorso di reinserimento.
Perché il ricorso in Cassazione è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché le argomentazioni del difensore sono state considerate ‘mere doglianze in punto di fatto’. La Corte di Cassazione non può riesaminare i fatti del caso, ma solo verificare la corretta applicazione della legge, che in questo caso era stata rispettata dal Tribunale di Sorveglianza.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 6658 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 6658 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 25/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a NAPOLI il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 26/09/2023 del TRIB. SORVEGLIANZA di NAPOLI
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
Rilevato in fatto e considerato in diritto
Ritenuto che le censure dedotte nel ricorso di NOME COGNOME – nel quale il difensore si duole della violazione di legge e del vizio di motivazione in relazione ai presupposti per la ratifica del provvedimento di sospensione dell’affidamento in prova al servizio sociale e la revoca di detto beneficio, individuati in due mere notizie di reato, per truffa e evasione, in assenza di una condanna definitiva – non sono consentite in sede di legittimità, perché costituite da mere doglianze in punto di fatto.
Considerato che dette censure sono, altresì, riproduttive di profili di censura già adeguatamente vagliati e disattesi, con corretti argomenti giuridici dal Tribunale di sorveglianza di Napoli, nel revocare il beneficio dell’affidamento in prova al servizio sociale. Invero, detto Tribunale evidenzia che: – NOME, già resosi responsabile in data 19 agosto 2022 di evasione, il 29 maggio 2023 è stato denunciato per truffa, per avere utilizzato una carta prepagata money a lui intestata e della quale aveva denunciato lo smarrimento; – trattasi di comportamenti tali da determinare la revoca della misura alternativa, in quanto sintomatici di una pervicacia nel delinquere e di una mancanza di resipiscenza.
Rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, non ricorrendo ipotesi di esonero, al versamento di una somma alla Cassa delle ammende, determinabile in tremila euro, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 25 gennaio 2024.