Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 12765 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 12765 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 06/03/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da NOME COGNOME nato in Albania il 11/09/1962 avverso l’ordinanza emessa in data 29/10/2024 dalla Corte di appello dell’Aquila visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione del consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso;
lette le conclusioni dell’avvocato NOME COGNOME che ha insistito per l’accoglimento dei motivi di ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza impugnata la Corte di appello dell’Aquila ha dichiarato inammissibile la richiesta di revisione della sentenza n. 937/2022 emessa dal
Tribunale di Fermo in data 25 novembre 2022, divenuta irrevocabile in data 13 dicembre 2022, con la quale NOME COGNOME è stato condannato alla pena di un anno e sei mesi di reclusione per il reato di evasione commesso in data 11 settembre 2018 a Porto Sant’Elpidio.
L’avvocato NOME COGNOME, difensore di Zeneli, ricorre avverso questa ordinanza e ne chiede l’annullamento.
Con unico motivo di ricorso, il difensore deduce la violazione art. 630 cod. proc. pen. in relazione all’art. 385 cod. pen. e il difetto di motivazione, per travisamento della prova, sull’inammissibilità della richiesta.
Il difensore premette che COGNOME è stato condannato per il delitto di evasione, in quanto non era presente nella propria abitazione, a Sant’Elpidio, in INDIRIZZO nel corso del controllo eseguito in data 11 settembre 2018, alle ore 2.00.
Il difensore precisa, tuttavia, di aver chiesto la revisione della sentenza di condanna, in quanto l’imputato in data 11 settembre 2018 non era sottoposto alla misura degli arresti domiciliari, ma all’obbligo di dimore aggravato dal divieto di uscita notturna.
L’obbligo di permanenza notturna presso il domicilio doveva, inoltre, essere eseguito presso il domicilio eletto, all’atto della scarcerazione in data 9 marzo 2018, in INDIRIZZO di Sant’Elpidio e non già in quello impropriamente indicato nella sentenza (INDIRIZZO, ove era stato eseguito il controllo all’origine della contestazione penale.
Il difensore precisa che la Corte di appello ha dichiarato inammissibile l’istanza di revisione, pur avendo ammesso che il reato di evasione non è configurabile a fronte della violazione di una misura coercitiva a contenuto non detentivo.
I giudici di appello, inoltre, avrebbero travisato le prove (i documenti prodotti e la deposizione del teste COGNOME) volte a dimostrare che il condannato ha adempiuto le prescrizioni presso il domicilio eletto e non presso quello ritenuto in sentenza.
Con la requisitoria e le conclusioni scritte depositate in data 13 febbraio 2025, il Procuratore generale, NOME COGNOME ha chiesto di rigettare il ricorso.
Con le conclusioni depositate in data 28 febbraio 2025 l’avvocato NOME COGNOME ha insistito per l’accoglimento dei motivi di ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Con unico motivo di ricorso, il difensore deduce la violazione art. 630 cod. proc. pen. in relazione all’art. 385 cod. pen., in quanto il delitto di evasione non sarebbe configurabile a fronte della violazione di una misura non custodiale, e il difetto di motivazione, per travisamento della prova, sull’inammissibilità dell’istanza.
Entrambe le censure proposte dal ricorrente sono inammissibili.
3.1. La prima censura, relativa alla non configurabilità del delitto di evasione nel caso di specie, è diversa da quelle consentite dalla legge.
COGNOME è stato condannato dal Tribunale di Fermo per il delitto di evasione per essersi allontanato dal proprio domicilio nella notte dell’Il settembre 2018, mentre era sottoposto alla misura coercitiva dell’obbligo di dimora nel Comune di Sant’Elpidio, con divieto di uscita notturna dalla propria abitazione.
La giurisprudenza di legittimità ha statuito che non è configurabile il delitto di evasione in caso di violazione della misura cautelare dell’obbligo di dimora, ancorché sia consistita nell’inosservanza del divieto di uscita in orario notturno, in quanto il reato di cui all’art. 385 cod. proc. pen. presuppone necessariamente la sottoposizione ad una misura custodiale (Sez. 6, n. 35800 del 10/11/2020, COGNOME, Rv. 280193 – 01; Sez. 6, n. 44767 del 05/11/2003, COGNOME, Rv. 226933 – 01).
La Corte di appello dell’Aquila, nell’ordinanza impugnata, ha, tuttavia, correttamente rilevato che il reato di evasione, già nell’imputazione, è stato contestato come conseguente alla violazione dell’obbligo di dimora e che, dunque, l’errore giuridico che affligge la sentenza di condanna avrebbe dovuto essere denunciato ricorrendo agli ordinari mezzi di impugnazione.
La censura relativa all’impossibilità di configurare il reato di evasione a fronte della violazione delle prescrizioni di una misura coercitiva non custodiale, introduce, infatti, una questione di diritto che esula dal sindacato sulla richiesta di revisione, come tassativamente delineato dall’art. 630 cod. proc. pen.
Secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, infatti, l’istituto della revisione è un mezzo straordinario di impugnazione che consente, eccezionalmente e nei casi tassativamente previsti, di rimuovere gli effetti del giudicato dando priorità all’esigenza di giustizia sostanziale, sicché non può avere come presupposto una diversa valutazione del dedotto o un’inedita disamina del deducibile (ex plurimis: Sez. 2, n. 762 del 19/10/2005, dep. 2006, Licata, Rv. 232988 – 01; Sez. 6, n. 18338 del 10/03/2003, COGNOME, Rv. 227242 – 01).
3.2. Anche la seconda censura, relativa all’errata individuazione del luogo di esecuzione della misura coercitiva, è inammissibile.
La documentazione prodotta dal difensore, al fine di dimostrare che COGNOME all’epoca dei fatti stava regolarmente eseguendo il divieto di permanenza domiciliare notturna presso l’immobile di INDIRIZZO e non già in quello impropriamente indicato nella sentenza di INDIRIZZO ove era stato eseguito il controllo, non può essere ritenuta nuova ai sensi dell’art. 630, comma 1, lett. c), cod. proc. pen.
Il verbale di elezione di domicilio sottoscritto da COGNOME in data 9 marzo 2018, all’atto della scarcerazione, infatti, era presente agli atti del presente processo.
Le Sezioni unite di questa Corte hanno statuito che, in tema di revisione, per prove nuove rilevanti a norma dell’art. 630, lett. c), cod. proc. pen. ai fini dell’ammissibilità della relativa istanza devono intendersi non solo le prove sopravvenute alla sentenza definitiva di condanna e quelle scoperte successivamente ad essa, ma anche quelle non acquisite nel precedente giudizio ovvero acquisite, ma non valutate neanche implicitamente, purché non si tratti di prove dichiarate inammissibili o ritenute superflue dal giudice, e indipendentemente dalla circostanza che l’omessa conoscenza da parte di quest’ultimo sia imputabile a comportamento processuale negligente o addirittura doloso del condannato, rilevante solo ai fini del diritto alla riparazione dell’errore giudiziario (Sez. U, n. 624 del 26/09/2001, Pisano, Rv. 220443 – 01).
È, dunque, inammissibile, per manifesta infondatezza, la richiesta di revisione fondata non sull’acquisizione di nuovi elementi di fatto, ma su una diversa valutazione di prove già conosciute ed esaminate nel giudizio, ovvero su prove che, sia pur formalmente nuove, sono inidonee ictu ocull a determinare un effetto demolitorio del giudicato (Sez. 5, n. 44925 del 26/06/2017, COGNOME, Rv. 271071 – 01).
Nessun rilievo, del resto, possono assumere sul punto le dichiarazioni di NOME COGNOME, raccolte dal difensore in sede di indagini difensive, in quanto l’art. 631 cod. proc. pen., sancisce che «Gli elementi in base ai quali si chiede la revisione devono, a pena d’inammissibilità della domanda, essere tali da dimostrare, se accertati, che il condannato deve essere prosciolto a norma degli articoli 529, 530 o 531».
Tali dichiarazioni sono infatti strutturalmente inidonee a determinare il proscioglimento del condannato, in quanto, il domicilio in INDIRIZZO di Sant’Elpidio è stato indicato da COGNOME nel verbale di identificazione redatto all’atto della scarcerazione in data 9 marzo 2018, quale luogo per ricevere le notifiche e non già quale luogo di esecuzione dell’obbligo di permanenza domiciliare; per quanto risulta dagli atti, tale luogo, inoltre, era stato individuato in INDIRIZZO di Sant’Elpidio.
Alla stregua di tali rilievi, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Il ricorrente deve, pertanto, essere condannato, ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento.
A tali statuizioni non consegue la condanna del ricorrente, stante la particolare rilevanza delle questioni dedotte dal ricorrente.
Le Sezioni unite di questa Corte, infatti, hanno statuito che alla dichiarazione d’inammissibilità del ricorso per cassazione non segue la condanna al pagamento di una somma in favore della cassa per le ammende qualora la questione con esso prospettata sia di particolare rilevanza (Sez. U, n. 43055 del 30/09/2010, COGNOME, Rv. 248380 – 01).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 6 marzo 2025.