Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 14078 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 14078 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 05/03/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
CARRATTA PANTALEO NOME NOME NOME ARADEO il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 03/11/2023 della CORTE APPELLO di POTENZA
visti gli atti, il provvedimento impugNOME e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Lette le conclusioni scritte per l’udienza senza discussione orale (art. 23 co. 8 d.l. 137/20 conv. dalla I. n. 176/2020, come prorogato ex art. 16 d.i. 228/21 conv. con modif. dalla 1.15/22 e successivamente ex art. 94, co. 2, del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, come sostituito prima dall’art. 5-duodecies della I. 30.12.2022, n. 199, di conversione in legge d.l. n. 162/2022) e poi dall’art. 17 del D.L. 22 giugno 2023, conv. con modif. dalla I. 10.8.2023 n. 112, del P.G., in persona del Sost. Proc. Gen. NOME COGNOME COGNOME ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorsoe del difensore del ricorrente AVV_NOTAIO COGNOME che ha insistito per l’accoglimento dello stesso.
RITENUTO IN IFATTO
1. Con atto depositato presso la Corte di Appello di Potenza in data 19/10/2023 l’AVV_NOTAIO, difensore e procuratore speciale, ha proposto istanza di revisione nell’interesse di COGNOME NOME, avverso la sentenza n. 2293/17 del 12/10/17 emessa nel procedimento penale n. 10246/2013 RGNR – n.3357/2013 RGT dal Tribunale di Lecce- I Sezione Penale Monocratica, confermata dalla sentenza n. 1156/20 del 6/11/2020 emessa dalla Corte di Appello di Lecce – Sezione Unica Penale (404/2018 RGAPP), divenuta irrevocabile in data 5/11/21 a seguito di declaratoria di inammissibilità dei ricorsi degli imputati pronunciata da questa Corte con la sentenza n. 2508/22, con la quale il COGNOME è stato dichiarato responsabile dei reati a lui ascritti ai capi a) b) della rubrica e, previa riqualificazione di quello di cui al capo b) ai sensi dell’a 19 1. 241/90, condanNOME alla pena di anni 1 e mesi 9 di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali, con dichiarata falsità della S.RAGIONE_SOCIALE.I.A. del 3/2/14, depositata al Comune di Galatone con prot. NUMERO_DOCUMENTO, demolizione delle opere oggetto delle imputazioni e rinnessione in pristino dello stato dei luoghi.
Nel ricorso introduttivo si precisa che la richiesta è formulata ex art. 630, comma 1, lett. c) cod. proc. pen. e che la prova nuova è costituta dalle dichiarazioni rese ex art. 391 bis cod. proc. pen. dal coimputato COGNOME COGNOME, il quale, all’epoca dei fatti in contestazione, rivestiva la carica di responsabile dell’Uffic Urbanistica del Comune di Galatone.
Con la sentenza del Tribunale di Lecce, oggetto della istanza di revisione, COGNOME NOME è stato riconosciuto responsabile:
a) in concorso con COGNOME NOME e COGNOME NOME delle contravvenzioni di cui agli artt. 81 cpv, 110 cod. pen. (ovvero 113 cod. pen.), 44 lett c), 71 co. 1 e 95 Dpr 380/01 e 181 del D.Ivo 42104, in quanto in concorso (COGNOME ex art. 40 cod. pen. – poiché non ottemperava ai suoi compiti di vigilanza e non adottava tempestivamente i provvedimenti di cui agli artt. 27 e 30 comma 7 dpr 308/01 con riguardo alla realizzazione dell’imponente intervento edilizio di seguito riportato) con più azioni ed omissioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, realizzavano, in totale difformità ovvero senza essere muniti di legittimi prescritti permessi di costruire e autorizzazione paesaggistica, nonché violando le prescrizioni di cui al capo IV del d.P.R. 380/01 (preavviso allo sportello unico del Comune), e ancora eseguendo i lavori relativi, ceri conglomerati in cemento armato, senza un progetto esecutivo e senza che la direzione dei lavori fosse affidata ad un tecnico abilitato, i seguenti manufatti all’interno del Residence Torri Saracene: 1) 2 torri (a e b rispettivamente composte di 4 e 3 piani fuori terra e alte 13 e 10 metri), ognuna delle quali composta di un appartamento per piano (per circa 28 mq ciascuno); 2) l’ampliamento del piano seminterrato (mediante la maggiore
altezza dei locali deposito e l’estensione di parte dello stesso) e la sua destinazione a mini appartamenti nonché l’ampliamento del piano 10 (intorno al vano scala interno) e del piano rialzato (con trasformazione dei balconi preesistenti) per complessivi mc 576,36; 3) autorimessa nel sottosuolo per mq 2325,71; 4) strada pedonale al servizio dei singoli appartamenti al piano terra; 5) vano scala interno con lucernaio e lavanderia per un volume di mc 554,69 (posti sul lastrico solare del Residence), 6) ampliamento del locale, posto al primo piano del residence per mc 310,48. commesso in agro di Galatone – località Masseria Tre Pietre e Villaggio Santa Rita (area sottoposta a vincolo dal PUTT/Puglia perché ambito territoriale esteso di valore relativo- nonché ex DM 25/2/74 fino al 19/5/14.
b) in concorso con NOME COGNOME del delitto di cui agli artt. 110 cod. pen. e 19 comma 6 del Dpr 380/01 poiché, nelle loro qualità suddette, hanno falsamente dichiarato nella NUMERO_DOCUMENTO del 312.114 che: l’immobile non è assoggettato a vincolo da D.Igs 421/04, non necessita di ulteriori pareri oltre quelli già acquisiti e compresi nella concessione 135 del 2011, le opere non richiedono la denuncia di lavoro di cui all’art. 93 Dpr. 380/01 trattandosi di opere che non influiscono sulle strutture della costruzione, l’intervento è da realizzare a titolo gra tuito, ed invece l’immobile è vincolato (ex Divo 42104) dal DM 25/02/74, necessita di parere e denuncia perché è previsto un ampliamento a piano interrato in zona sottoposta a vincolo idrogeologico e ancora l’intervento non è a titolo gratuito. Commesso a Galatone al 03/2/14.
Come ricorda il provvedimento impugNOME, nel ricorso sono Integralmente trascritte le dichiarazioni rese, ex art. 391 bis codl. proc. pen., da COGNOME NOME, che in data 01/09/23, con gli avvertimenti di rito, ha dichiarato all’AVV_NOTAIO: «Anche io sono stato condanNOME con sentenza irrevocabile nell’ambito dello stesso procedimento penale in concorso con i sigg. COGNOME NOME e COGNOME NOME. Nell’ambito del predetto procedimento penale, svoltosi innanzi alla dott.ssa AVV_NOTAIO del Tribunale Penale di Lecce, non sono stato mai interrogato, né ho rilasciato spontanee dichiarazioni. All’epoca dei fatti ero il responsabile dell’Ufficio Urbanistico del Comune dì Galatina, oggi invece rivesto la qualità di responsabile dell’Ufficio Lavori Pubblici. Ho iniziato il lavoro alle dipendenze, prima come collaboratore esterno e dopo assunto con contratto a tempo indetermiNOME, sin dal mese di ottobre 2007. Non ho mai conosciuto i COGNOME prima della presentazione delle loro pratiche urbanistiche, né mai ho collaborato con loro, nemmeno indirettamente, prima che io prestassi servizio presso il Comune».
Con ordinanza del 3/11/2023 la Corte di Appello di Potenza ha dichiarato inammissibile l’istanza di revisione e ha condanNOME il ricorrente al pagamento della somma di euro 1.500,00 in favore della Cassa delle ammende.
2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, a mezzo del proprio difensore di fiducia, COGNOME NOME, deducendo, quale unico motivo, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen. violazione di legge e vizio motivazionale in relazione agli artt. 63) cod. proc. pen., 42 cod. pen. nonché mancata applicazione ed erronea valutazione ed applicazione dell’art. 127 cod. pen., dell’art. 634 cod. proc. pen. E, ancora, motivazione illogica e meramente apparente.
Ricorda il difensore ricorrente come con l’istanza di revisione avesse chiesto alla Corte di Appello di Potenza, competente per territorio, la revisione della sentenza sopra ricordata con la quale il proprio assistito era stato condanNOME in concorso con COGNOME NOME e COGNOME NOME, quest’ultimo, all’epoca dei fatti, responsabile dell’Ufficio Urbanistico del Comune di Galatone, che ebbe a rilasciare il permesso a costruire (ritenuto in sentenza illecito) in favore della societ RAGIONE_SOCIALE srl, di cui era amministratore il COGNOME NOME. E a corredo e sostegno della istanza, formulata ai sensi dell’art. 630, comma 1, lett. c) cod. proc. pen. produceva, in allegato, proprio una dichiarazione resa ex art 391 bis cpp dal COGNOME NOME.
Ebbene, ci si duole che con la impugnata ordinanza, la Corte di Appello abbia espresso il prefato giudizio di inammissibilità fondando tale decisione sulla meramente asserita affermazione per la quale: «le dichiarazioni del COGNOME hanno ad oggetto generiche affermazioni relative all’assenza di rapporti con i coimputati in epoca precedente alla presentazione delle pratiche urbanistiche richiamate nei capi di imputazione ed appaiono già astrattamente inidonee a fondare una diversa e nuova valutazione delle prove, anche documentali, giù apprezzale nella sentenza divenuta irrevocabile, in quanto attengono a profili fattuali irrilevanti rispetto a addebiti».
Per il ricorrente tale apodittico convincimento risulterebbe affatto esplicitato e costituito da motivazione meramente apparente quanto distonica rispetto ai criteri di legge, non potendosi certamente ritenere adeguatamente rappresentato il motivo in virtù del quale la prova nuova fornita sarebbe inidonea a rivalutare il compendio probatorio agli atti del procedimento per cui è chiesta revisione.
Sul punto viene evidenziato che il COGNOME – che mai aveva reso dichiarazioni prima- è stato ritualmente ascoltato dal difensore e ha dichiarato: «…anche io sono stato condanNOME con sentenza irrevocabile nell’ambito dello stesso procedimento penale in concorso con i sigg. COGNOME NOME e COGNOME NOME. Nell’ambito del predetto procedimento penale (.. ) non sono stato mai interrogato, né ho rilasciato spontanee dichiarazioni. All’epoca dei fatti ero il responsabile dell’Ufficio Urbanistico del Comune RAGIONE_SOCIALE Galatina, oggi invece rivesto la qualità
di responsabile dell’Ufficio Lavori Pubblici. Ho iniziato il lavoro alle dipendenze, prima come collaboratore esterno e dopo assunto con contratto a tempo indetermiNOME, sin dal mese di ottobre 2007. Non ho mai conosciuto i COGNOME prima della presentazione delle loro pratiche urbanistiche, né mai ho collaborato con loro, nemmeno indirettamente, prima che io prestassi servizio presso il Comune».
Secondo la tesi proposta in ricorso la dichiarazione resa dal COGNOME ex art. 391 bis cpp, pertanto, non solo costituiva, senza dubbio alcuno, prova nuova, ma. soprattutto, un elemento probatorio nuovo di certa pregnanza e rilevanza, tanto da essere idoneo a poter costituire il prodromo per un positivo giudizio di ammissibilità della istanza di revisione, in ragione del fatto che, dalla dichiarazione i questione potevano ricavarsi elementi tali da escludere, potenzialmente. la sussistenza del dolo richiesto dalla norma incriminatrice che si assume violata e che costituisce prova contraria della impostazione accusatoria valorizzata in sentenza secondo cui vi è stato un concorso nel reato commesso dal Carrara da parte del funzionario dei Comune nel momento in cui ha rilasciato un illegittimo permesso a costruire.
L’inesistenza della prova sull’elemento soggettivo del reato, invero, nel caso di specie, non potrebbe, giammai, portare ad un giudizio di responsabilità nei confronti del COGNOME nel momento in cui ha agito sulla scorta di un permesso a costruire rilasciato dalla pubblica amministrazione.
Invero, per il difensore ricorrente non pare possa revocarsi in dubbio, giusta anche l’orientamento costante della giurisprudenza di legittimità in subiecta materia, secondo cui, ai fini della configurabilità del reato non è sufficiente ha sola violazione di legge o di regolamento da parte del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio, essendo necessario che, oltre alla deviazione dal comportamento legittimo, vi sia anche la volontà di agire alfine di procurare a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale, ovvero di arrecare ad altri un danno ingiusto”.
Richiamato l’arresto giurisprudenziale costituito da Sez. 6 n. 21091/2004, il ricorrente sostiene che, s otto tale preminente ed indispensabile profilo vanno ad inquadrarsi le dichiarazioni rese dal COGNOME che appaiono, pertanto, contrariamente a quanto opiNOME dalla Corte territoriale, assolutamente pertinenti al thema probandum.
Il ricorrete denuncia quello che sarebbe un apodittico giudizio di irrilevanza della dichiarazione in parola espresso dalla Corte di Potenza. E’ in ogni caso, ritiene che la Corte territoriale abbia esorbitato i limiti dello scrutinio di ammissibil demandatogli in questa fase, nella parte in cui ha inteso ritenere che la dichiarazione de qua non fosse idonea, letta in combiNOME disposto con le emergenze processuali agli atti, ad una nuova e diversa valutazione del caso.
Il ricorrente richiama Sez. 6 n. 3966/1999 e SEz. 6 1155/1999 e lamenta che proprio la modalità della dichiarazione di inammissibilità, resa inaudita altera parte, privando le parti del contraddittorio invece assicurato nei casi di decisione adottata secondo le forme dell’art. 127 cod. proc. pen. produce un vulnus che mortifica il diritto di difesa e un inaccettabile, quanto sostanziale, anticipazione d giudizio.
Dalla lettura della parte motiva risulta pertanto evidente c:ome la Corte abbia travalicato l’ambito del proprio scrutinio sulla ammissibilità della istanza, in evi dente violazione dei criteri enucleati dall’art. 634 Cpp.
Per il ricorrente l’ordinanza impugnata è censurabile anche nella parte in cui ha ritenuto di aderire ad un orientamento giurisprudenziale volto ad escludere la ammissibilità di una prova dichiarativa a fondamento della istanza di revisione, citando una massima, per confortare il proprio giudizio reiettivo, che appare in maniera eclatante, inconferente al caso di specie.
Il ricorrente sottolinea che la dichiarazione su cui era fondata l’istanza di revisione come pure argomentato non aveva e non ha finalità tesa a superare e obliterare le emergenze processuali, bensì a c:olmare o meno il vuoto relativo alla questione dell’elemento soggettivo del reato, affatto elaborato dal giudice del giudizio di cognizione.
Chiede, pertanto, annullarsi l’ordinanza impugnata.
Le parti hanno reso conclusioni scritte come riportato in epigrafe.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I motivi sopra illustrati appaiono manifestamente infondati e pertanto il proposto ricorso va dichiarato inammissibile.
Ed invero, la Corte potentina, correttamente, ha sancito l’assenza di novità della prova dedotta in ricorso, ritenendo inadeguato il suo risultato dimostrativo ed inesistente il suo potenziale valore di disarticolazione rispetto all’originar affermazione di responsabilità del condanNOME: e, dunque, priva di fondamento la stessa impugnazione straordinaria avanzata.
L’istituto della revisione – va ricordato – non si configura come impugnazione tardiva che permette di dedurre in ogni tempo ciò che nel processo definitamente concluso non è stato rilevato o non è stato dedotto, bensì costituisce un mezzo “straordinario” di impugnazione, che consente, in casi tassativi, di rimuovere gli effetti della cosa giudicata, dando priorità alle esigenze di giustizia sostanziale rispetto a quelle di certezza dei rapporti giuridici. La risoluzione del giudicato, quindi, non può avere come presupposto una diversa valutazione del dedotto o un’inedita disamina del deducibile, bensì l’emergenza di nuovi elementi
estranei e diversi da quelli definiti nel processo (Sez. 6, n. 18338 del 10/3/2003, COGNOME, Rv. 227242: conf. Sez. 4 n. 6881 del 26/1/2021, COGNOME, non mass.).
3. Il provvedimento impugNOME -diversamente da quanto si sostiene in ricorso, si muove correttamente nell’alveo di quanto è consentito al giudice della revisione in sede di esame preliminare circa l’ammissibilità del ricorso.
Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, integra la manifesta infondatezza della richiesta di revisione – che ne determina l’inammissibilità – l’evidente inidoneità delle ragioni che la sostengono e la fondano a consentire una verifica circa l’esito del giudizio, requisito che è tutto intrinseca alla domanda in s e per sé considerata, restando riservata alla fase del merito ogni valutazione sulla effettiva capacità delle allegazioni a travolgere, anche nella prospettiva del ragionevole dubbio, il giudicato (cfr. Sez. 4, n. 18196 del 10/1/2013; Sez. 6, n. 18818 del 8/3/2013, Rv. 255477; Sez. 1, n. 40815 del 14/10/2010, Rv. 248463). Dunque, nella pronuncia spettante alla Corte d’Appello non possono assumere rilevanza regole di giudizio appartenenti alla fase del merito, altrimenti derivandone un’indebita sovrapposizione tra momenti procedimentali che il legislatore ha inteso categoricamente differenziare (cfr. Sez. 6, n. 2437 del 3/12/2309 dep. 2010, Rv. 245770). L’unico limite risiede nel fatto che da tale “sommaria delibazione” non si approdi ad una “approfondita valutazione” che comporterebbe un’anticipazione del giudizio di merito” (Sez. 6, n. 18818 del 8/3/2013, Rv. 255477; Sez. 3, n. 15402 del 20/01/2016, Rv, 266810).
In altri termini, dunque, il giudice adito per la revisione, nel corso della fase rescindente che si conclude con la pronuncia circa l’ammissibilità della domanda, ha il compito di valutare l’idoneità dei nuovi elementi dedotti a dimostrare, ove eventualmente accertati, che il condanNOME, attraverso il completo riesame di tutte le prove, unitamente a quella noviter producta, debba essere prosciolto a norma degli artt. 529, 530 e 531 cod. proc. pen.
Va dunque ribadita l’interpretazione giurisprudenziale secondo cui in tema di revisione, sussiste una chiara distinzione logico-funzionale tra la fase rescindente – avente ad oggetto la preliminare delibazione sulla non manifesta infondatezza della richiesta, con riferimento alla astratta capacità demolitoria del giudicato, rilevabile ictu acuii, da parte del novum dedotto – e quella successiva, c.d. rescissoria, che si instaura mediante la citazione del condanNOME e nella quale il giudice è tenuto a procedere alla celebrazione del giudizio con le forme e le modalità di assunzione della prova nel contraddittorio proprie del dibattimento, in attuazione dei principi costituzionali del giusto processo (in tal senso Sez. 3, n. 15402 del 20/01/2016, COGNOME, Rv. 266810 che, in applicazione del principio, ha annullato la decisione della Corte di appello che, dopo aver disposto la citazione
del condanNOME, aveva dichiarato, con ordinanza, l’inammissibilità della richiesta di revisione sulla base di una valutazione meramente cartolare delle nuove prove dedotte, senza procedere ad alcuna assunzione delle stesse).
La valutazione preliminare circa l’ammi:ssibilità della richiesta proposta sulla base di prove nuove – secondo altro condivisibile arresto giurisprudenziale- implica la necessità di una comparazione tra le prove nuove e quelle già acquisite che deve ancorarsi alla realtà del caso concreto e che non può, quindi, prescindere dal rilievo di evidenti segni di inconferenza o inaffidabilità della prova nuova, che siano, però, riscontrabili ictu ()culi (Sez. 2, n. 49113 del 16/10/2013, Verga, Rv. 257496, fattispecie in cui la Corte ha annullato la decisione della Corte di Appello che aveva proceduto ad apprezzamenti di merito, propri della fase successiva, in ordine alla rilevanza probatoria delle dichiarazioni testimoniali prodotte a sostegno della richiesta di revisione; conf. Sez. 6, n. 20022 del 30/01/2014, COGNOME, Rv. 259779 in un caso in cui la Corte ha annullato la decisione della Corte d’appello che aveva proceduto ad apprezzamenti di merito, propri della fase successiva, in ordine alla rilevanza probatoria delle dichiarazioni testimoniali prodotte a sostegno della richiesta di revisione) E nel caso in cui la richiesta si fondi sull’inconciliabi tra giudicati ai sensi dell’art. 630, comma primo, lett. a), cod. proc. pen., il con trollo giurisdizionale che può condurre alla declaratoria dell’inammissibilità dell’istanza per manifesta infondatezza deve avere ad oggetto la verifica dell’irrevocabilità della sentenza che si vuole abbia introdotto il fatto antagonista e la mera pertinenza di tale decisione ai fatti oggetto del giudizio di condanna, non potendo tale controllo estendersi alla “tenuta” della sentenza oggetto della domanda di revisione rispetto ai contenuti della ulteriore pronuncia, che va obbligatoriamente realizzato in contraddittorio (Sez. 1, n. 50460 del 25/5/2017, Sciumè, Rv. 271821, conf. Sez. 5, n. 36718 del 04/05/2017). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
E’ stato anche condivisibilmente rilevato come, in tema di revisione, la valutazione preliminare circa l’ammissibilità della richiesta proposta sulla base dell’asserita esistenza di una prova nuova deve avere ad oggetto, oltre che l’affidabilità, anche la persuasività e la congruenza della stessa nel contesto già acquisito in sede di cognizione e deve articolarsi in termini realistici sulla comparazione, tra la prova nuova e quelle esaminate, ancorata alla realtà processuale svolta (così Sez. 2, n. 18765 del 13/3/2018, COGNOME, Rv. 273029 in una fattispecie relativa a dichiarazioni scritte di amici e della fidanzata dell’implitato acquisite a d di tempo dai fatti contestati, sfornite di riscontri e non idonee a mettere in quadro istruttorio basato sulla confessione dell’imputato e sulla duplice chia in correità degli altri imputati del delitto di rapina).
In altra pronuncia, ancora più esplicitamente, si è conclivisibilmente sottolineato che, in tema di revisione, la corte d’appello, ai fini del giudizio sulla inam missibilità della richiesta, ai sensi dell’ex art. 634 cod. proc. pen., ha un limita potere-dovere di valutazione, anche nel merito, in ordine all’oggettiva potenzialità degli elementi addotti dal richiedente a dar luogo ad una necessaria pronuncia di proscioglimento, sicché è legittima la verifica prognostica sul grado di affidabilità e di conferenza dei nova, che non si traduca in indebite anticipazioni del giudizio di merito (Sez. 5, n. 36718 del 4/5/2017, NOME, Rv. 271306).
È inammissibile, per manifesta infondatezza, la richiesta di revisione fondata non sull’acquisizione di nuovi elementi di fatto, ma su una diversa valutazione di prove già conosciute ed esaminate nel giudizio, ovvero su prove che, sia pur formalmente nuove, sono inidonee ictu °cui/ a determinare un effetto demolitorio del giudicato (Sez. 5, n. 44925 del 26/06/2017, COGNOME, Rv. 271071).
Ebbene, se questi sono i principi giuridici più volte affermati da questa Corte, nell’alveo dei quali era chiamata a pronunciarsi, la Corte lucana ne ha fatto corretta applicazione, con un provvedimento che appare immune dai denunciati vizi di legittimità.
Questa Corte, peraltro, ha anche chiarito che la declaratoria di inammissibilità della richiesta di revisione per essere le “nuove prove” palesemente inidonee ad inficiare l’accertamento dei fatti posti alla base della sentenza di condanna, si sottrae a censure in sede di legittimità allorché, come nel caso che ci occupa, sia fondata su una motivazione adeguata ed immune da vizi logici (Sez. 3, n. 39516 del 27/06/2017, D., Rv. 272690)
Ebbene, anche la lettura del ricorso odierno evidenzia come, a fronte di una doppia conforme affermazione di responsabilità nel merito, divenuta irrevocabile il ricorrente altro non proponga che una revisione critica del processo a carico del COGNOME.
La Corte potentina, in tal senso, non ha potuto esimersi dal rilevare che le ricordate dichiarazioni del coimputato COGNOME NOME «hanno ad oggetto generiche affermazioni relative all’assenza di rapporti con i coimputati in epoca precedente alla presentazione delle pratiche urbanistiche richiamate nei capi di imputazione ed appaiono già astrattamente inidonee a fondare una diversa e nuova valutazione delle prove, anche documentali, già apprezzate nella sentenza divenuta irrevocabile, in quanto attengono a profili fattuali irrilevanti rispetto agli addebiti» (pa 2-3).
Contrariamente a quanto assunto dal ricorrente, la Corte territoriale, nel dichiarare inammissibile la richiesta di revisione, si è mantenuta entro i confini del sindacato preliminare di ammissibilità del mezzo straordinario di impugnazione di
cui trattasi, laddove si è limitata, a rilevare la manifesta infondatezza dei nuovi elementi di prova addotti, sulla base di una sommaria delibazione della consistenza e della astratta idoneità di essi a superare l’accertamento coperto da giudicato, anche in considerazione del fatto che la “nuova prova” era già stata valutata in primo e secondo grado.
L’ordinanza impugnata opera dunque un buon governo del ricordato insegnamento di questa Corte, secondo cui la valutazione preliminare circa l’ammissibilità della richiesta di revisione proposta sulla base di prove nuove non può prescindere da una comparazione tra le prove che si assumono nuove e quelle già acquisite e deve ancorarsi alla realtà dei caso concreto, in relazione al quale, non risulta nemmeno dedotto specificamente quale sarebbe il nuovo metodo scientifico posto alla base del nuovo accertamento tecnico rispetto a quelle già condotti in precedenza e, quindi, dal rilievo di evidenti segni di inconferenza o inaffidabilità della prova nuova, a condizione che siano riscontrabili ictu oculi (Sez. 2, n. 49113 del 16/10/2013, COGNOME, Rv. 257496; Sez. 6, n. 1155 del 01/04/1999 Cavazza Rv. 216023).
L’ordinanza impugnata fa buon governo anche della richiamata consolidata giurisprudenza di questa Corte, in particolare dell’arresto giurisprudenziale costituito da Sez. 3, n. 14547 del 08/03/2022, C, Rv. 282987 – 01 che ha ribadito che costituisce “principio più volte enunciato nella giurisprudenza di legittimità, secondo cui nel giudizio di revisione non può mai costituire nuova prova la testimonianza la cui ammissione sia richiesta al fine di ottenere una diversa e nuova valutazione delle prove già apprezzate con la sentenza di condanna (così anche Sez. 3, n. 19598 del 10/03/2011, G., Rv. 250524 – 01 nonché Sez. 4, n. 542 del 05/12/1996, dep. 1997, Sorvillo, Rv. 206779-01).
Del resto, in ordine alla possibile rivalutazione in sede di revisione degli apporti dichiarativi, è costante l’enunciato in forza del quale il giudizio di inatte dibilità di un testimone, reso in un procedimento diverso da quello in cui è intervenuta una sentenza irrevocabile di condanna, non costituisce una prova nuova tale da condurre all’ammissibilità una richiesta di revisione, in quanto solo la dimostrazione della falsità delle prove testimoniali su cui è fondato il giudicato di condanna può essere utilizzata come supporto di una richiesta di revisione (così, tra le tante, Sez. 2, n. 2151 del 23/10/ 2021′ dep. 202″1., Esposito, Rv. 28051601, e Sez. 3, n. 49959 del 28/10/2009, Coticoni, Rv. 245861-01).
Sotto altro profilo, poi, risulta ripetutamente ribadita l’affermazione secondo cui non integra prova nuova, richiesta per la revisione, la sola ritrattazione
del testimone d’accusa, essendo necessari specifici elementi di prova che avvalorino la falsità della deposizione (così, tra le tantissime, Sez. 4, n. 29952 del 14/10/2020, G., Rv. 279714-02, e Sez. 3, n. 5122 del 05/12/2013, dep. 2014, F., Rv. 258835-01).
Quello che vale per i testimoni, con tutta evidenza, vale, mutatis mutandis, per le dichiarazioni rese dai coimputati in epoca successiva alla formazione del giudicato.
Sullo specifico punto si è affermato – e va qui ribadito- che in tema di revisione, la dichiarazione liberatoria di un coimputato, o comunque di un soggetto che va esamiNOME ai sensi dell’art. 197-bis cod. proc. pen., deve essere valutata “unitamente agli altri elementi che ne confermano l’attendibilità” in forza dell’art. 192, comma 3, cod. proc. pen., e non costituisce, pertanto, da sola, “prova nuova”, bensì mero elemento probatorio integrativo di quelli confermativi (Sez. 6, n. 36804 del 20/09/2021, COGNOME, Rv. 281992 – 01; conf. Sez. 2, n. 4150 del 20/01/2015, COGNOME, Rv. 263417 – 01; Sez. 1, n. 24743 del 04/04/2007, COGNOME, Rv. 237337 – 01
Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 5 marzo 2024 Il C nsigliere est nsore COGNOME
Il Presidente