Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 18648 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 18648 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 15/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a PALMI il 13/01/1966
avverso l’ordinanza del 04/12/2024 della CORTE APPELLO di REGGIO CALABRIA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale, NOME COGNOME che ha
concluso per la inammissibilità del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 4 dicembre 2024 i la Corte di appello di Reggio Calabria ha dichiarato inammissibile, ai sensi dell’art. 634 cod. proc. pen., la richiesta di revisione proposta da NOME COGNOME con riguardo alla sentenza di condanna pronunciata nei suoi confronti dalla Corte di appello di Messina in data 7 marzo 2022 ) che, nel confermare la decisione del Tribunale di Messina, lo aveva condannato alla pena di anni 2 e mesi 6 di reclusione.
Il ricorso per cassazione veniva rigettato con sentenza del 16 dicembre 2022. Con tali decisioni NOME COGNOME è stato ritenuto responsabile del reato di cui all’art. 5 d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 (ora trasfuso nell’art. 77 d. Igs. novembre 2024, n. 173).
La Corte reggina, sull’istanza di revisione, ha escluso l’esistenza di prove nuove o comunque non valutate idonee a condurre al proscioglimento, sottolineando come il Recordare si sia innanzitutto lamentato della valutazione compiuta dai giudici peloritani.
Inoltre, quanto alle dichiarazioni di NOME COGNOME e NOME COGNOME r si è trattato per il primo di prove già valutate dai giudici di merito, e per il secondo di dichiarazioni di cui non è dimostrata la novità, né la decisività, in considerazione di significative imprecisioni nel narrato.
Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME a mezzo del proprio difensore, lamentando in sintesi, ai sensi dell’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen., quanto segue.
2.1. Con un unico articolato motivo si deduce la violazione dell’art. 630, comma 1, lett. c), cod. proc. pen.x
Lamenta il ricorrente, quanto al narrato di NOME COGNOME che sebbene sentito a sommarie informazioni il 6 febbraio 2016, non fu mai indicato come teste, e quindi le sue dichiarazioni mai sono state valutate dall’autorità giudiziaria.
e Conseguentemente, a prescindere daVé il – ricorrente fosse o meno a conoscenza delle stesse, si tratta di una prova nuova.
Parimenti erronea deve ritenersi la valutazione circa la non decisività delle dichiarazioni, in quanto NOME COGNOME ha indicato i soggetti che gli impartivano le direttive senza menzionare in alcun modo il Recordare, riferendosi ad un periodo comunque individuabile attraverso il riferimento all’ingresso nella compagine societaria di Giusi Ventimiglia.
Anche le dichiarazioni di NOME COGNOME rese in un diverso procedimento penale, non sono mai state valutate dall’autorità giudiziaria.
Lo COGNOME ha riferito del rapporto intrattenuto con NOME COGNOME che aveva assistito nell’acquisto delle quote della società, e successivamente nel concludere operazioni tese ad ottenere l’apertura di linee di credito; infine aveva personalmente gestito il conto corrente della società.
Ad analoghe conclusioni deve giungersi con riguardo alle dichiarazioni rese da NOME COGNOME in un diverso procedimento penale, e più precisamente nel verbale del 23 ottobre 2012, allorquando ella non riconobbe, tra le foto esibite, il Recorda re.
Più in generale, il ricorrente evidenzia che la novità della prova non dipende dalla conoscenza o meno della sua esistenza da parte dell’imputato, poiché un comportamento negligente o doloso potrà rilevare solo ai fini della riparazione dell’errore giudiziario.
Infine, si osserva che la Corte territoriale, relativamente alle dichiarazioni di COGNOME e Ventimiglia, si è limitata ad escludere un profilo di novità senza però contestarne la persuasività e la decisività.
Il giudizio di cassazione si è svolto con trattazione scritta, e le parti hanno formulato, per iscritto, le conclusioni come in epigrafe indicate.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
1.1. Allo scrutinio dei motivi è opportuno premettere che la revisione è un mezzo di impugnazione straordinario, che consente, nei soli casi tassativamente indicati dalla legge, di rimuovere gli effetti della cosa giudicata, dando priorità alle esigenze di giustizia sostanziale rispetto a quelle di certezza dei rapporti giuridici.
La risoluzione del giudicato, quindi, non può avere come presupposto una diversa valutazione del dedotto o un’inedita disamina del deducibile, bensì l’emergenza di nuovi elementi estranei e diversi da quelli definiti nel processo (cfr., Sez. 4, n. 14078 del 05/03/2024, COGNOME, non mass.; Sez. 4 n. 6881 del 26/1/2021, COGNOME, non mass.; Sez. 6, n. 18338 del 10/3/2003, COGNOME, Rv. 227242 – 01).
1.2. Giova premettere inoltre che, nel caso in esame, la richiesta di revisione è stata formulata ai sensi dell’art. 630, comma 1, lett. c, cod. proc. pen., ovvero prospettando prove nuove o sopravvenute che, sole o unite a quelle già valutate, si ritiene siano tali da condurre al proscioglimento del condannato.
Per prove nuove, ai fini dell’ammissibilità della richiesta di revisione, devono intendersi non solo le prove sopravvenute alla sentenza definitiva di condanna e quelle scoperte successivamente ad essa, ma anche quelle non acquisite nel
precedente giudizio ovvero acquisite, ma non valutate neanche implicitamente, purché non si tratti di prove dichiarate inammissibili o ritenute superflue dal giudice, e indipendentemente dalla circostanza che l’omessa conoscenza da parte di quest’ultimo sia imputabile a comportamento processuale negligente o addirittura doloso del condannato, rilevante solo ai fini del diritto alla riparazione dell’errore giudiziario (Sez. U, n. 624 del 26/09/2001, dep. 2002, COGNOME, Rv. 220443 – 01; più di recente, Sez. 5, n. 12763 del 09/01/2020, Eleuteri, Rv. 279068 – 01; Sez. 3, n. 13037 del 18/12/2013, dep. 2014, Segreto, Rv. 259739 – 01).
Quanto invece alla natura del controllo, nella fase rescindente al giudice della revisione è richiesta una delibazione sommaria degli elementi addotti per capovolgere la precedente statuizione di condanna e tale sindacato ricomprende necessariamente il controllo preliminare sulla presenza di eventuali profili di non persuasività e di incongruenza, rilevabili in astratto, oltre che di non decisività delle allegazioni poste a fondamento dell’impugnazione straordinaria (Sez. 5, n. 1969 del 20/11/2020 dep. 2021, L., Rv. 280405 – 01).
In questa prospettiva, il confronto con il provvedimento di cui si chiede la revisione deve passare attraverso la comparazione tra la prova nuova e quelle esaminate, da ancorare alla realtà processuale svolta (Sez. 2, n. 18765 del 13/03/2018, COGNOME, Rv. 273029 – 01; conf., Sez. 1, n. 34928 del 27/06/2012, Conti, Rv. 253437 – 01).
1.3. Ciò posto, il motivo è in parte aspecifico ed in parte manifestamente infondato.
Quanto alle dichiarazioni rese da Stancampiano e Ventimiglia, l’ordinanza E P impugnata (pp. 3 e 4) sottolinea com f GLYPH o p- órtate -aWatterfzione della Corte di appello di Messina, la quale però disattese la richiesta ex art. 603 cod. proc. pen., ritenendo le prove nuove ininfluenti ai fini della decisione.
Nel successivo giudizio per cassazione, il motivo riguardante l’omesso esercizio dei poteri istruttori è stato rigettato.
Inoltre, nel valutare i restanti motivi, la Corte di cassazione ha specificamente analizzato i temi che oggi il ricorrente vorrebbe porre a fondamento della richiesta di revisione, con particolare riguardo alla pretesa eterodirezione dello COGNOME, sottolineando: 1) che il ricorrente gestì il personale fino al giugno 2013; 2) che la gestione del rapporto di lavoro è un tipico atto gestorio; 3) che, invece, la tenuta della contabilità non costituisce, di per sé, atto gestorio dell’ente; 4) che la richiesta della contabilità da parte dello Stancampiano e la gestione del conto della società potrebbe, al più, prefigurare una cogestione di fatto della società stessa (cfr., Sez. 3, n. 20664 del 16/12/2022, pp. 3, 6, 10 12, 17 – 18).
Per questi specifici profili il ricorrente si limita ad affermare la novità della prova, senza però confrontarsi con la ratio decidendi del provvedimento impugnato.
Il richiamo della Corte di appello alla valutazione effettuata nel corso del giudizio di merito, ai fini di cui all’art. 603 cod. proc. pen., rende inoltre evident la non decisività di tali dichiarazioni, contrariamente a quanto il Recordare afferma (p. 11 ricorso); in altri termini, la prova già dichiarata superflua nel procedimento di cognizione, e dunque già valutata con una statuizione soggetta agli ordinari mezzi di impugnazione, non può essere certo ritenuta “nuova” (cfr., proprio in relazione alla revisione fondata su prove già oggetto di richiesta di rinnovazione dell’istruttoria ex art. 603 cod. proc. pen., Sez. 1, n. 42687 del 29/09/2023, Labidi, non mass.; Sez. 6, n. 2956 del 15/10/2019, dep. 2020, Mirabella, non mass.).
Quanto, invece, alle dichiarazioni rese da NOME COGNOME se è vero che per valutare la novità della prova si deve prescindere da ogni giudizio circa l’imputabilità alla parte interessata dell’omessa conoscenza giudiziale (Sez. U, COGNOME, cit.), è anche vero che la Corte di appello si è motivatamente soffermata sulla non persuasività della prova.
Il giudice della revisione ha quindi ritenuto le “nuove prove” palesemente inidonee ad inficiare l’accertamento del fatto, giungendo correttamente a dichiarare inammissibile la richiesta di revisione.
Costituisce ius receptum il principio per cui la declaratoria d’inammissibilità della richiesta per essere le prove nuove palesemente inidonee ad inficiare l’accertamento dei fatti posti alla base della sentenza di condanna si sottrae a censure in sede di legittimità, nel caso in cui risulti fondata su una motivazione adeguata ed immune da vizi logici (Sez. 4, n. 41398 del 24/09/2024, Rigano, Rv. 287210 – 01; Sez. 3, n. 39516 del 27/06/2017, D., Rv. 272690 – 01; Sez. 3, n. 20467 del 04/04/2007, Candotti, Rv. 236673 – 01).
In ogni caso, il motivo non spiega in che termini tali dichiarazioni, unite alle prove già valutate, siano tali da dimostrare, se accertati, che il condannato debba essere prosciolto a norma dell’art. 631 cod. proc. pen.
Stante l’inammissibilità del ricorso, e non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte cost. sent. n. 186/2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria, che si stima equo quantificare in euro tremila.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa dell
ammende.
Così deciso in Roma, il 15 aprile 2025
l’ere estensore
,
Il Prsidente