Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 19999 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 19999 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 08/02/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOME, nato a San Cipriano D’Aversa il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza emessa il 04/07/2023 dalla Corte di appello di Roma visti gli atti, l’ordinanza impugnata e il ricorso; udita la relazione del Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, che ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza impugnata la Corte di appello di Roma ha dichiarato inammissibile la richiesta di revisione della sentenza emessa dalla Corte di appello di Napoli in data 17 febbraio 2014, divenuta irrevocabile, proposta da NOME
COGNOME.
AVV_NOTAIO, nell’interesse del COGNOME, ricorre avverso tale ordinanza e ne chiede l’annullamento.
Articolando un unico motivo, il ricorrente censura la violazione di legge penale e processuale, nonché il vizio di motivazione sul punto.
Il difensore deduce che la Corte di appello avrebbe errato nell’escludere la valenza decisiva della «prova nuova» prodotta, ai sensi dell’art. 630, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., e costituita dalla documentazione originale della gara per la costruzione di un impianto idraulico e dalla consulenza grafologica eseguita sugli stessi.
Ad avviso del difensore, tale documentazione dimostrerebbe che la firma apparentemente apposta dal condannato sull’offerta di partecipazione alla gara non sarebbe in realtà a lui riferibile, ma apocrifa.
Con la requisitoria e le conclusioni scritte depositate in data 27 dicembre 2023, il AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO, NOME AVV_NOTAIO, ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Con un unico motivo, il ricorrente censura la violazione di legge penale e processuale nonché il vizio di motivazione, in quanto la Corte di appello non avrebbe ritenuto sussistente il carattere decisivo della «prova nuova», costituita dalla documentazione originale della gara per la costruzione di un impianto idraulico e dalla consulenza grafologica eseguita sugli stessi.
Il motivo è inammissibile, in quanto aspecifico.
Il ricorrente, infatti, non si confronta specificamente con le ragioni poste dalla Corte di appello a fondamento della declaratoria di inammissibilità.
3.1. Secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, in tema di revisione, anche nella fase rescindente è richiesta una delibazione non superficiale, sia pure sommaria, degli elementi addotti per capovolgere la precedente statuizione di colpevolezza e tale sindacato ricomprende necessariamente il controllo preliminare sulla presenza di eventuali profili di non persuasività e di incongruenza, rilevabili in astratto, oltre che di non decisività delle allegazioni poste a fondamento dell’impugnazione straordinaria (ex plurimis:
Sez. 5, n. 1969 del 20/11/2020 (dep. 2021), L., Rv. 280405-01; Sez. 5, n. 26579 del 21/02/2018, G., Rv. 273228 – 01).
In tema di revisione la prova nuova è, inoltre, quella che, ex art. 630, comma 1, lett. c) cod. proc. pen., da sola o unitamente a quelle già acquisite, sia idonea a ribaltare il giudizio di colpevolezza dell’imputato (ex plurimis: Sez. 2, n. 18765 del 13/03/2018, Buscaglia, Rv. 273028 – 01).
3.2. La Corte di Appello di Roma ha fatto buon governo di tali consolidati principi, nel ritenere inammissibile, in quanto manifestamente infondata, la richiesta di revisione proposta.
La Corte di appello ha premesso che l’imputato è stato condannato per il delitto di cui agli artt. 81, secondo comma, 110, 353 cod. pen., 7 I. 203/91, in quanto, partecipando come imprenditore, ha concorso all’illecita turbativa della gara di appalto per il collettore di acque reflue del Comune di Casal di Principe, concordando l’offerta e fornendo quanto documentalmente utile per alterare l’esito della gara.
La Corte di appello ha non certo incongruamente rilevato che la sentenza di condanna è basata su un compendio probatorio costituito da intercettazioni telefoniche e ambientali, dalle quali risulta che il condannato si è piegato” alle esigenze dei sodali camorristi, prestando “buste di appoggio” e, dunque, presentato un’offerta per turbare la gara.
La sentenza di condanna ha, inoltre, accertato che il ricorrente ha avuto legami, attraverso il padre, con il clan camorristico facente capo ad NOME COGNOME, e che il funzionario infedele del Comune di Casal di Principe NOME era solito intervenire per risolvere eventuali problemi insorti in corso di gara, mediante la diretta falsificazione delle offerte.
Legittima e non manifestamente illogica è, dunque, la valutazione della Corte di appello, che ha ritenuto la prova dedotta come «nuova» inidonea a scalfire l’impianto probatorio posto a fondamento della sentenza di condanna.
Nelle condizioni descritte, infatti, la dimostrazione dell’apocrifia della sottoscrizione apposta sulla domanda di partecipazione alla gara di appalto dal ricorrente non può infirmare sul piano logico le plurime ragioni e prove poste a fondamento della sentenza di condanna.
La partecipazione del ricorrente alla gara, secondo le intese illecite, infatti, non è dimostrata dall’autografia dell’offerta presentata, ma da altri elementi probatori, e, nel contesto illecito accertato, le sottoscrizioni sulle offerte erano anche alterate dal funzionario comunale preposto al loro esame.
Alla stregua di tali rilievi il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Il ricorrente deve, pertanto, essere condannato, ai sensi dell’art. 616, comma
1, cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento.
Non essendovi ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza «versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», in virtù delle statuizioni della sentenza della Corte costituzionale del 13 giugno 2000, n. 186, deve, altresì, disporsi che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di tremila euro in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, 1’8 febbraio 2024.