Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 3856 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 3856 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 05/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a COGNOME il 04/03/1958
avverso l’ordinanza del 19/06/2024 della CORTE di APPELLO di CALTANISSETTA udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
Generale COGNOME che ha chiesto emettersi declaratoria di inammissibilità del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza resa in data 19 giugno 2024 la Corte d’Appello di Caltanissetta dichiarava inammissibile l’istanza di revisione presentata nell’interesse di COGNOME COGNOME e avente ad oggetto la sentenza emessa in data 10 novembre 2015 dalla Corte d’Appello di Palermo, irrevocabile il 21 maggio 2026, con la quale il COGNOME era stato dichiarato colpevole, in concorso con NOME COGNOME Francesco, del reato di cui agli artt. 81, 61 n. 2) e 110 cod. pen., 12-quinquies della legge n. 356/1992 e 7 della legge n. 152/1991, commesso in Misilmeri il 22 marzo 2012.
Avverso detta ordinanza proponeva ricorso per cassazione il COGNOME, per il tramite del proprio difensore, chiedendone l’annullamento e articolando due motivi di doglianza.
Con il primo motivo deduceva inosservanza o erronea applicazione della legge penale in relazione alla statuizione con la quale si era ritenuto che non costituisse “prova nuova”, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 630, lett. c cod. proc. pen., la richiesta di esame del collaboratore di giustizia COGNOME COGNOME
Esponeva che con l’istanza di revisione si era rappresentato che nel corso del giudizio di primo grado le parti avevano consentito all’acquisizione del verbale delle dichiarazioni rese da COGNOME COGNOME in data 5 maggio 2010, con le quali il collaboratore aveva escluso che l’impresa del COGNOME fosse legata all’associazione di tipo mafioso denominata “cosa nostra”, e in particolare a COGNOME NOME, soggetto condannato in via definitiva per il reato di cui all’art. 416-bis cod. pen.
Assumeva che la Corte d’appello di Caltanissetta, con l’ordinanza impugnata, era incorsa nel vizio di violazione di legge, laddove aveva ritenuto che la richiesta di esame del collaboratore COGNOME COGNOME, contenuta nell’istanza di revisione, non costituisse “prova nuova” idonea a fondare una richiesta di revisione ai sensi della lett. c) del citato art. 630 cod. proc. pen. poiché finalizzata a ottenere una inammissibile diversa valutazione di una prova già apprezzata con la sentenza di condanna, dovendosi considerare che in realtà la detta sentenza di condanna non conteneva alcuna valutazione delle dichiarazioni del Greco, ancorché le stesse fossero state acquisite al processo sull’accordo delle parti; riteneva la difesa che, in effetti, se tali dichiarazioni fossero state fatte oggetto di valutazione, la Corte d’Appello di Palermo sarebbe giunta a conclusioni opposte in punto di affermazione della responsabilità del Falletta in ordine al reato ascrittogli.
Concludeva sul punto affermando che per “prove nuove” dovevano intendersi anche quelle che, pur acquisite al processo, non fossero comunque state oggetto di valutazione da parte del giudice.
Con il secondo motivo deduceva mancanza di motivazione in ordine alla valutazione delle deposizioni testimoniali indicate nell’stanza di revisione e rese in sede di indagini difensive, ai sensi dell’art. 391 bis cod. proc. pen., anch’esse offerte quali “prove nuove” a corredo della detta istanza.
Esponeva, in particolare, che COGNOME Matteo e COGNOME, dipendenti del RAGIONE_SOCIALE, esaminati il 7 dicembre 2023 in sede di indagini difensive, avevano negato che COGNOME Francesco fosse l’effettivo titolare dell’impresa individuale del ricorrente, affermando che, in qualità di dipendenti della stessa, avevano fatto esclusivo riferimento al RAGIONE_SOCIALE e non ad altri soggetti; la difesa precisava che analoghe dichiarazioni erano state rese, sempre in sede di indagini difensive, da COGNOME Giuseppe, funzionario di banca.
Rassegnava che il provvedimento impugnato non conteneva alcuna argomentazione in ordine al contenuto dei suddetti verbali redatti in sede di indagini difensive.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo di ricorso è inammissibile in quanto manifestamente infondato.
Deve, innanzitutto, osservarsi che, secondo il consolidato orientamento del Giudice di legittimità, condiviso da questo Collego, nel giudizio di revisione non può mai costituire nuova prova la testimonianza la cui ammissione sia richiesta al fine di ottenere una diversa e nuova valutazione delle prove già apprezzate con la sentenza di condanna (v., per tutte, Sez. 3, n. 14547 del 08/03/2022, C., Rv. 282987 – 01).
Ciò premesso, il ricorrente afferma che le dichiarazioni del Collaboratore COGNOME COGNOME non sarebbero state valutate dalla Corte d’Appello di Palermo, poiché se lo fossero state la medesima Corte sarebbe pervenuta a una statuizione assolutoria del Falletta.
Osserva il Collegio che tale assunto appare del tutto indimostrato, risolvendosi nella sostanza in una mera affermazione priva di qualsivoglia riscontro.
Deve, pertanto, ritenersi che la prova offerta dal ricorrente con la deposizione del COGNOME fosse finalizzata a ottenere una inammissibile nuova valutazione della prova già apprezzata con la sentenza di condanna.
Si deve, peraltro, evidenziare che il collaboratore COGNOME ha reso dichiarazioni in termini dubitativi riguardo ai rapporti fra l’impresa del RAGIONE_SOCIALE e COGNOME Francesco, ciò che emerge dal tenore letterale degli stralci di tali dichiarazioni riportati a pag. 3 della richiesta di revisione avanzata nell’interesse del RAGIONE_SOCIALE e allegata al ricorso per cassazione.
Parimenti inammissibile, in quanto manifestamente infondato, è il secondo motivo di ricorso, se si considera che con la citata istanza di revisione il ricorrente ha chiesto esclusivamente l’esame dei collaboratori di giustizia COGNOME Giacomo e COGNOME NOMECOGNOME laddove nessuna istanza e stata avanzata con riferimento ai verbali delle sopra richiamate dichiarazioni rese in sede di indagini difensive da COGNOME Matteo, COGNOME e COGNOME; è per tale ragione che la Corte d’Appello di Caltanissetta, con il provvedimento impugnato, non ha osservato alcunché al riguardo.
Alla stregua di tali rilievi il ricorso deve, dunque, essere dichiarato inammissibile; il ricorrente deve, pertanto, essere condannato, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento. In virtù delle statuizioni della sentenza della Corte costituzionale del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, deve, altresì, disporsi che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di tremila euro in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 05/11/2024