Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 29418 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 29418 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 15/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a TAURIANOVA il 25/02/1954
avverso la sentenza del 16/01/2025 della CORTE APPELLO di MILANO udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME sentite le conclusioni del PG PASQUALE SERRAO D’AQUINO che ha chiesto il rigetto. udito il difensore, avv. NOME COGNOME che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza indicata nel preambolo la Corte di appello di Milano investita del giudizio di rinvio disposto con decisione di questa Corte di legittimità in data 30 novembre 2023 – ha dichiarato inammissibile l’istanza di revisione avanzata da NOME COGNOME con riferimento alla sentenza di condanna alla pena di anni quattro di reclusione emessa dalla Corte di appello di Genova, che lo aveva riconosciuto colpevole del reato di falso ideologico in concorso con NOME COGNOME
Secondo l’accertamento divenuto definitivo, COGNOME, partecipando, nella qualità di dirigente superiore e direttore dello RAGIONE_SOCIALE, all’organizzazione e all’esecuzione di una perquisizione ad iniziativa autonoma della polizia giudiziaria dell’edificio scolastico INDIRIZZO, sito in Genova, con l’impiego di oltre duecento operatori, aveva attestato fatti o circostanze non corrispondenti al vero, in concorso, tra gli altri, con i materiali redattori e sottoscrittori degli atti trasmessi all’autorità giudiziaria in relazione all’arresto di COGNOME Thomas e di altre novantadue persone, e ciò al fine di costruire un compendio probatorio a carico degli arrestati in flagranza nonché per giustificare la violenza usata nei confronti dei medesimi in occasione dell’irruzione all’interno dell’istituto e la causazione di lesioni personali agli arrestati e quindi per assicurare l’impunità dei reati commessi dai pubblici ufficiali che avevano posto in essere tali ultime condotte.
Più in particolare, COGNOME – presente sui luoghi al momento dell’ irruzione all’interno dell’edificio scolastico sia durante le successive operazioni di raccolta degli oggetti e dei materiali che venivano appresi per essere sottoposti al sequestro sia infine durante la collocazione, sempre all’interno dei locali del medesimo istituto, del reperto costituito da due bottiglie incendiarie molotov pienamente consapevole di quanto accaduto nella realtà, aveva determinato ed indotto gli agenti ed ufficiali di polizia giudiziaria impegnati nelle operazioni, alcuni dei quali suoi diretti sottoposti, ad attestare falsamente:
di aver incontrato violenta resistenza da parte degli occupanti, consistita in un fittissimo lancio di pietre ed oggetti contundenti dalle finestre;
di aver incontrato resistenza, opposta anche all’interno dell’istituto, da parte degli occupanti che ingaggiavano violente colluttazioni con gli agenti di polizia armati di coltelli ed armi improprie;
che quanto rinvenuto all’interno dell’istituto, tra cui mazze, bastoni spranghe, era stato utilizzato come arma impropria dagli stessi occupanti per commettere gli atti di resistenza;
il rinvenimento di due bottiglie incendiarie con innesco al piano terra dell’istituto perquisito vicino all’ingresso, in luogo visibile ed accessibile a tutti, in modo da attribuirne la disponibilità ed il possesso indistintamente a tutti gli occupanti l’edificio.
A ragione della decisione la Corte distrettuale osserva che l’ istanza di revisione non rispetta nessuno dei requisiti per essere considerata ammissibile, limitandosi a riproporre argomenti già vagliati in tutte le sedi giudiziarie e riproponendo una diversa ‘ valutazione del dedotto o un’inedita disamina del deducibile ‘ , oltre che vizi motivazionali delle sentenze di merito denunciabili soltanto con gli ordinari rimedi impugnatori.
La difesa indica come nuove prove che in realtà sono già state assunte nel dibattimento di primo grado e quindi valutate, implicitamente o esplicitamente, dalla Corte di appello seppure per escluderne la rilevanza e la valenza ai fini assolutori:
-l’esame dei coimputati COGNOME e COGNOME;
-l’esame dei funzionari di polizia che parteciparono alle riunioni in questura precedenti alle perquisizioni;
-l’esame dei testimoni informati sull’orario di arrivo di Gratteri sul luogo dove avvenne il pestaggio del giornalista, NOMECOGNOME
-l’esame filmati relativi all’episodio da ultimo citato.
Non sono, inoltre, accoglibili:
la richiesta di acquisizione dell’interrogatorio reso nel corso delle indagini preliminari dal coimputato COGNOME avvalsosi della facoltà di non rispondere.
la richiesta di acquisizione delle dichiarazioni rese dal prefetto COGNOME e del dottor COGNOME davanti al comitato parlamentare perché già rigettata dalla Corte di appello;
la richiesta di esame giornalista NOME COGNOME avente natura esplorativa.
Ricorre COGNOME per il tramite dei difensori di fiducia, articolando tre motivi.
3.1. Con il primo denuncia, ai sensi dell’art 606 , comma 1 lett. c) cod. proc. pen., nullità della sentenza per violazione dell’articolo 178 comma 1 lett. c) cod. proc. pen.
Evidenzia che, dopo il decreto di fissazione dell’udienza in camera di consiglio, esattamente 21 luglio 2024, l’ Avvocato generale della Corte di appello ha depositato un parere che non è stato né notificato né comunicato alla parte che ha chiesto la revisione.
Tale omissione, come ripetutamente affermato dalla giurisprudenza di legittimità in più pronunce richiamate, ha determinato la nullità dell’impugnata decisione perché non ha consentito la corretta instaurazione del contraddittorio.
La difesa, nel primo atto utile successivo alla conoscenza dell’esistenza di tale parere, la memoria difensiva depositata il 12 dicembre 2024, ha eccepito la violazione del diritto di difesa, svolgendo un’analitica confutazione del parere.
Contrariamente a quanto sostenuto dalla Corte distrettuale, la mancata comunicazione ha determinato un concreto pregiudizio per la difesa che, al momento delle conclusioni in esito all’udienza del 28 novembre 2024, non aveva alcuna conoscenza del contenuto del parere.
2.2. Con il secondo motivo denuncia nullità della sentenza ai sensi dell’articolo ai sensi dell’art 606 , comma 1 lett. c), cod. proc. pen., per violazione dell’articolo
634 cod. proc. pen. in ordine alla procedura di trattazione della domanda di revisione.
Lamenta l’ inosservanza dei criteri che regolano il giudizio di inammissibilità nel giudizio rescindente avendo la Corte di appello erroneamente adottato le regole di valutazione proprie del giudizio rescissorio.
Nonostante la sentenza di annullamento avesse imposto la fissazione dell’udienza camerale ai sensi dell’articolo 127 cod. proc. pen., imponendo la nuova celebrazione del giudizio rescindente, la Corte di appello, senza passare alla seconda fase che si apre solo dopo l’emissione del decreto previsto dell’articolo 601 cod. proc. pen., ha definito il giudizio con una sentenza anziché con l’ordinanza.
Tale errore ha determinato un grave vulnus sostanziale poiché il giudice procedente, lungi dal limitarsi a valutare l’astratta idoneità demolitoria del giudicato dell’istanza, ha valutato l’idoneità concreta degli elementi addotti al fine di ribaltamento della sentenza di condanna, operando una penetrante anticipazione dell’apprezzamento di merito e non limitandosi ad una sommaria delibazione degli elementi di prova.
Seguendo quest ‘ erronea prospettiva, la Corte distrettuale ha proceduto in modo parcellizzato, esaminando uno per uno gli elementi probatori indicati nella domanda, senza considerarli nella loro efficacia globale, e non ha preso in esame la memoria difensiva del 17 ottobre 2024, nella quale è stato evidenziato il carattere decisivo delle prove nuove rimarcando che esse, nel loro complesso, si presentavano idonee a scardinare l’impianto probatorio posto a fondamento del giudicato di condanna perché incidenti sulle circostanze più significative: l’assunzione da parte di COGNOME della direzione delle operazioni di perquisizioni, la sua presenza al momento dell’irruzione presso la scuola Diaz, l’impossibilità materiale di partecipare alla decisione di collocare le due molotov all’interno della scuola e di ingerirsi nella formazione delle prove false.
2.3. Con il terzo motivo denuncia mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione .
Lamenta che la Corte distrettuale ha preferito aderire acriticamente al parere del Procuratore generale, pur trattandosi di atto non previsto dalla normativa processuale, senza prendere in considerazione la memoria difensiva di replica.
Ha erroneamente interpretato l’argomentazione difensiva che aveva evidenziato quale vizio della sentenza della Corte di appello l’incompleta valutazione del corredo probatorio, correttamente preso in esame dal Tribunale.
La difesa non ha in nessun atto processuale ammesso che la Corte di appello aveva valutato implicitamente le prove considerate dal Tribunale; anzi ha
ripetutamente sottolineato che la Corte si era sottratta alla valutazione degli elementi espressi dal giudice del primo grado.
L’istanza di revisione non ha inteso denunciare il travisamento delle dichiarazioni del coindagato COGNOME né ha preteso una diversa valutazione di argomenti relativi alla sostituzione del dottor COGNOME al prefetto COGNOME nella gestione delle operazioni di polizia. Al contrario, essa ha evidenziato l’omessa valutazione delle dichiarazioni dibattimentali di COGNOME, da cui risulta pacificamente che COGNOME non aveva esercitato alcuna ingerenza né in ordine alla decisione di redigere la relazione al questore né in ordine al suo contenuto, e la mancata valutazione di tutte le prove, documentali e testimoniali, attestanti estraneità di COGNOME alle operazioni di perquisizione.
Quanto alla richiesta di esaminare il frame video delle ore 00.03.30 del 22 luglio, essa aveva ad oggetto una prova mai valutata dal giudice di appello che non aveva esaminato il video avendo ritenuto valida la descrizione che del frame avevano fatto i consulenti della parte civile.
Dall’esame del filmato sarebbe risultato evidente che la persona indicata in sentenza come COGNOME è invece il collega COGNOME
Quanto alla richiesta di acquisire il verbale dell’interrogatorio reso in sede di indagini preliminari dal computato COGNOME è del tutto irrilevante, ai fini della revisione, che la sua acquisizione non era stata richiesta nel dibattimento di primo grado, avendo la giurisprudenza di legittimità chiarito che costituiscono prove nuove anche quelle non acquisite nel precedente giudizio ovvero acquisite ma non valutate, neanche implicitamente, purché non si tratti di prove dichiarate inammissibili e ritenute superflue del giudice, indipendentemente dalla circostanza che l’omessa conoscenza da parte di quest’ultimo sia imputabile al comportamento processuale sia esso negligente o addirittura doloso, del condannato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso propone censure infondate sicché deve essere rigettato.
1. Il primo motivo è privo di pregio.
Come ricordato dalla difesa del ricorrente, è pacifico nella giurisprudenza di legittimità il principio che, in sede di revisione, qualora nel procedimento di delibazione de plano previsto dall’art. 634 cod. proc. pen. , che non prevede la previa interlocuzione del procuratore generale, sia stato irritualmente acquisito il parere della parte pubblica, sussiste l’obbligo di espressa comunicazione alla parte
richiedente della presenza agli atti, imprevista e imprevedibile, della requisitoria del pubblico ministero.
In tal senso si è affermato che, nel giudizio di revisione, il parere del pubblico ministero irritualmente acquisito ai fini della valutazione sull’ammissibilità della richiesta ai sensi dell’art. 634 cod. proc. pen. ed avente un contenuto argomentativo, deve essere comunicato alla parte richiedente. (Sez. U, n. 15189 del 19/01/2012, Dander, Rv. 252020)
La comunicazione del parere del pubblico ministero eventualmente acquisto alla parte richiedente costituisce pertanto uno strumento finalizzato a consentire, in assenza di specifica previsione del codice di rito, l’instaurazione di un contraddittorio effettivo anche nel caso in cui la corte di appello, pur adottando il modello processuale previsto dall’art. 634, comma 1, cod. proc. pen., che le consente alla di dichiarare la domanda inammissibile “anche di ufficio” mediante un giudizio espresso senza interlocuzione con il procuratore generale, opti per coinvolgere comunque l’accusa compulsandola per esprimere un parere sulla richiesta del privato (cfr. Sez. 5, n. 21296 del 08/04/2010, Scuderi, Rv. 247297).
In tale peculiare ipotesi, essendo del tutto imprevedibile in un rito incentrato sulla sommaria delibazione preliminare da parte della corte di appello la presenza agli atti processuali di una requisitoria o, comunque, di un parere proveniente dal procuratore generale, soltanto l’espressa comunicazione del giudice può assicurare a colui che ha avanzato la domanda di revisione la conoscenza del parere della parte pubblica e può così consentirgli di esprimere la sua difesa anche in relazione al suo contenuto.
L ‘obbligatorietà di siffatta comunicazione, con conseguente nullità della decisone adottata in sua assenza, permette di allinearsi alla ‘ cogente indicazione della giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo per cui il diritto a un processo penale basato sul contraddittorio implica, tanto per l’accusa quanto per la difesa, la facoltà di conoscere le osservazioni e gli elementi di prova prodotti dalla controparte, nonché di discuterli … Soltanto così può concretarsi l’effettiva garanzia del contraddittorio che, ancorché regola non esplicitata positivamente, è indubbiamente sottesa alla previsione dell’art. 6, comma 1, CEDU; e soltanto mediante detta informazione indirizzata alla parte privata si permette la salvaguardia del suo diritto a “farsi sentire”, e cioè a potere non soltanto esporre le ragioni proprie, ma, soprattutto, controbattere quelle avversarie (cfr. Sez. U., COGNOME, già citata, in motivazione).
In definitiva, quando nella fase rescindente si acquisisce il (pur non dovuto) parere del procuratore generale e questo sia foriero di considerazioni, suscettibili di tradursi in profili di valutazione probatoria, si impone l’applicazione della piena
dialettica processuale, consentendo anche alla parte istante di prendere conoscenza del documento.
Ne segue che, con esclusione dell’ipotes i in cui è lo stesso procuratore generale l’ istante , al giudice della revisione è inibito l’uso, nella motivazione della propria decisione, dei profili argomentativi insiti nel parere che – al di fuori di ogni obbligo normativo – abbia, tuttavia, richiesto al procuratore generale (ed abbia acquisito agli atti processuali), poiché, in tal modo, incorre nella menzionata patologia della nullità del provvedimento giudiziale.
Il medesimo principio, all’evidenza, non è applicabile qualora, come nel caso in esame, il giudizio di revisione si è svolto, per di più su inderogabile prescrizione del Giudice di legittimità che ha disposto l’annullamento con rinvio, con l’osservanza delle forme previste dall’art. 127 cod. proc. pen., quindi previa fissazione della data dell’udienza camerale con tempestivo avviso alle parti e alle altre persone interessate, audizione dei difensori comparsi che hanno, al pari delle altre parti, facoltà, fino a cinque giorni prima dell’udienza, di presentare memorie in cancelleria
A seguito dell’adozione del delineato modello processuale, completamente diverso da quello de plano, l’acquisizione del parere del pubblico ministero non costituisce una procedura irrituale imprevedibilmente adottata dal giudice procedente, ma un adempimento doveroso perché prescritto dalla disciplina processuale
Nella concreta vicenda processuale non si è, peraltro, verificata alcuna alterazione del contraddittorio.
La parte che ha chiesto la revisione, dopo la fissazione dell’ udienza in camera di consiglio, ha avuto la possibilità di consultare il parere del Procuratore generale depositato, mesi prima dell’udienza di trattazione, e di contrapporsi dialetticamente alle argomentazioni in esso contenute nel corso della discussione orale quando il rappresentante della pubblica accusa lo aveva espressamente richiamato nel formulare le sue conclusioni.
In ogni caso, la nullità relativa al l’omessa comunicazione del parere doveva essere eccepita ai sensi dell’art. 182, comma 2, cod. proc. pen. dalla parte interessata nell’udienza in cui sono state rassegnate le conclusioni e non con una memoria successiva, depositata dopo la riserva di decisione, non potendosi introdurre con tale strumento temi in precedenza non sviluppati (Sez. 6, Sentenza n. 38757 del 22/06/2016. Alibani, Rv. 268093 -01; Sez. 1, n. 49086 del 24/05/2012 Acanfora Rv. 253963 -01).
Il secondo ed il terzo motivo, che possono essere trattati congiuntamente in ragione della connessione logica delle questioni poste, sono parimenti infondati.
2.1. In premessa, vanno esaminati i temi della correttezza della procedura e della regola di giudizio adottate dalla Corte di appello per pervenire alla declaratoria di inammissibilità dell’istanza di revisione.
2.1.1. La locuzione normativa impiegata dall’art. 634, comma 1, cod. proc. pen. – a mente del quale, nei casi da esso previsti («quando la richiesta è proposta fuori delle ipotesi previste dagli articoli 629 e 630 o senza l’osservanza delle disposizioni previste dagli articoli 631, 632, 633, 641 ovvero risulta manifestamente infondata»), «la corte di appello anche di ufficio dichiara con ordinanza l’inammissibilità» della richiesta di revisione -rimette «alla discrezionalità della Corte di appello l’adozione del rito camerale con la garanzia del contraddittorio per i casi di inammissibilità che non siano di evidente ed immediato accertamento», fermo restando che la disposizione in discorso consente, altresì «che le valutazioni preliminari di inammissibilità della richiesta di revisione siano compiute anche de plano» ( Sez. 5, n. 16218 del 14/01/2022, COGNOME, Rv. 283396 -01; Sez. 5, n. 26480 del 04/05/2015, COGNOME, Rv. 264848 – 01; cfr. pure Sez. 3, n. 34945 del 09/07/2015, S., Rv. 264740 – 01; Sez. 3, n. 37474 del 07/05/2014, B., Rv. 260182 – 01; e già, tra le altre, Sez. 1, n. 26967 del 30/03/2005, Pagano, Rv. 232150 – 01).
Il procedimento di revisione può svilupparsi secondo un duplice schema, nel senso che vi possono essere casi in cui il giudice decide ex officio e casi in cui il giudizio deve essere emesso all’esito di una procedura partecipata, garantendosi il contraddittorio tra le parti.
Come acutamente osservato da Sez. 5, n. 26480/2015, cit., che sul punto argomenta anche alla luce di Sez. U., n. 26156 del 28/05/2003, COGNOME, Rv. 22461,«alcuni dei casi di inammissibilità descritti dall’art. 634 c.p.p., comma 1, sono di evidente e immediato accertamento, ossia rilevabili ictu ocuii, sicché l’adozione del rito camerale in quest’ambito si risolverebbe in uno spreco di attività giurisdizionale»; «altre volte, invece, la valutazione di ammissibilità richiede un esame, anche solo superficiale e sommario, degli atti ed allora è necessario il rispetto del principio del contraddittorio»; – ragion per cui «spetta dunque alla Corte di appello valutare, di volta in volta, quale sia la forma procedimentale più adeguata, contemperando l’esigenza di garanzia della partecipazione delle parti con quella di non disperdere inutilmente energie processuali».
Dunque, anche in esito alla procedura partecipata, la corte di appello può emettere una declaratoria di inammissibilità, che costituisce un epilogo decisorio legittimo anche se viene adottato il modello processuale di cui all’art. 636, primo comma, cod. proc. pen., con l’emissione del decreto di citazione, trovando aplicazione il disposto dell’art. 591, quarto comma, a mente del quale, quando non è stata rilevata d’ufficio prima dell’emissione del decreto di citazione a giudizio,
l’inammissibilità “può essere dichiarata in ogni stato e grado del procedimento”» (così Sez. 6, n. 2801 del 12/10/1993, COGNOME, Rv. 196028 – 01, espressamente condivisa da Sez. U, n. 18 del 10/12/1997 – dep. 1998, COGNOME, Rv. 210040 – 01; cfr. pure Sez. U, n. 624 del 26/09/2001 – dep. 2002, COGNOME, Rv. 220441 nella cui motivazione si legge « … il giudizio sulla ammissibilità della richiesta di revisione spetta sempre alla corte di appello, la quale può ben emetterlo in dibattimento e, quindi, nel pieno contraddittorio delle parti con più ampie garanzie di difesa … il potere della corte di appello di dichiarare l’inammissibilità della domanda … trova la più esplicita, decisiva canonizzazione nel disposto dell’art. 634, comma 1, che impone alla detta corte di dichiarare “anche di ufficio” (e quindi, con l’alternativa della rilevabilità ad opera delle parti, in un regime comunque designato dall’instaurazione del contraddittorio), con ordinanza, l’inammissibilità della richiesta» più di recente Sez. 3, n. 43573 del 30/09/2014, G., Rv. 260989 -01; Sez. 2, n. 34773 del 17/05/2018, COGNOME, ‘Rv. 273452 – 01 che hanno fissato il principio secondo cui «in sede di giudizio di revisione, la Corte d’Appello può rivalutare la richiesta e dichiararne con sentenza l’inammissibilità, non solo nel corso o all’esito del dibattimento, ma anche nella fase degli atti preliminari, allorquando risulti, per qualsiasi ragione, che le prove richieste manchino del requisito della novità o della idoneità a provocare l’assoluzione del condannato, non residuando in tal caso alcun ulteriore accertamento che giustifichi il prosieguo del dibattimento e lo svolgimento di ulteriore attività difensiva»).
2.1.2. La regola di giudizio in applicazione della quale la Corte di appello può legittimamente pervenire alla declaratoria di inammissibilità dell’istanza in esito alla procedura partecipata non può che essere influenzata dalle peculiari caratteristiche di sommarietà tipiche del modello processuale prescelto.
Ciò non significa che nell’attuale disciplina della revisione, che non prevede più uno stadio della procedura che si conclude con la revoca o con l’annullamento della precedente sentenza, conserva ancora rilevanza, così come sostenuto dal ricorrente, la distinzione tra una fase rescindente e una fase rescissoria.
Dall’ espressa previsione, nell’art. 634 cod. proc. pen., di un autonoma causa di inammissibilità della richiesta costituita dalla “manifesta infondatezza” della medesima, risulta attribuito alla corte d’appello, nella fase preliminare prevista dalla medesima disposizione qualunque sia il modello processuale in concreto adottato, de plano o partecipato, un limitato potere-dovere di valutazione, anche nel merito, della oggettiva potenzialità degli elementi addotti dal richiedente, ancorché costituiti da “prove” formalmente qualificabili come “nuove”, a dar luogo ad una necessaria pronuncia di proscioglimento.
La corte di appello, anche qualora opti per il procedimento camerale partecipato, deve procedere alla valutazione preliminare circa l’ammissibilità della
richiesta di revisione proposta sulla base di prove nuove attraverso una delibazione, prognostica ancorata alla realtà processuale, avente ad oggetto la persuasività e la congruenza dei ‘nova’ valutati nel contesto già acquisito in sede di cognizione. Tale giudizio, pur esteso al grado di intrinseca affidabilità egli elementi posti a fondamento dell’impugnazione straordinaria per capovolgere la precedente statuizione di colpevolezza, deve essere tuttavia limitato al riscontro di eventuali profili critici rilevabili in astratto, oltre che di non decisività delle allegazioni non potendosi tradurre in un’ indebita anticipazione del giudizio di merito (Sez. 5, n. 18064 del 25/03/2025, R., Rv. 288137 -03; Sez. 5, n. 1969 del 20/11/2020, L., dep. 2021, Rv. 280405 -01; Sez. 2, n. 18765 del 13/03/2018, COGNOME, Rv. 273029 -01; Sez. 1, n. 29660 del 17/06/2003, , Rv. 226140 -01)
Più nello specifico, il giudice della revisione deve procedere ad una comparazione tra le prove nuove e quelle già acquisite nel caso concreto eventualmente rilevando evidenti segni di inconferenza o inaffidabilità della prova nuova, purché, però, riscontrabili “ictu oculi” (Sez. 6, n. 20022 del 30/01/2014, Di Piazza, Rv. 259779 -01).
In questa prospettiva è stata ritenuta inammissibile, per manifesta infondatezza, la richiesta di revisione fondata non sull’acquisizione di nuovi elementi di fatto, ma su una diversa valutazione di prove già conosciute ed esplicitamente valutate dal giudice di merito, anche se erroneamente per effetto di travisamento, potendo, in tal caso, essere proposti gli ordinari mezzi di impugnazione ovvero su prove che, sia pur formalmente nuove, sono inidonee “ictu oculi” a determinare un effetto demolitorio del giudicato (Sez. 5, n. 44925 del 26/06/2017, COGNOME, Rv. 271071 -01; Sez. 3, n. 34970 del 03/11/2020, Rv. 280046 -01).
Costituisce pacificamente ‘prova nuova ‘ , infatti, ai sensi dell’art. 630, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., la prova sopravvenuta alla sentenza di condanna o scoperta successivamente ovvero non acquisita nel precedente giudizio o acquisita ma non valutata, neanche implicitamente, ai fini della revisione della sentenza di condanna la “prova nuova”.
Secondo l’orientamento di recente divenuto prevalente, la prova nuova non può, invece, consistere in una diversa valutazione del dedotto o in un’inedita disamina del deducibile; essa deve sempre constare di elementi, caratterizzati da novità, estranei e diversi da quelli acquisiti nel processo, sicché non costituisce “prova nuova” un elemento già esistente negli atti processuali, ancorché non conosciuto o valutato dal giudice per mancata deduzione o mancato uso dei poteri d’ufficio (Sez. 4, n. 11628 del 26/02/2025, COGNOME Rv. 287728 -01; Sez. 3, n. 9207 del 09/01/2024, COGNOME, Rv. 286022 -01; Sez. 3, n. 28358 del 30/03/2016, COGNOME Rv. 267531 – 01 contra Sez. 6, n. 20022 del 30/01/2014, COGNOME, Rv.
259779 -02 secondo cui « In tema di revisione la prova nuova deve considerarsi tale anche quando, pur esistendo al tempo del giudizio, non sia stata portata a conoscenza del giudice, così come nuovi devono considerarsi quegli elementi di prova che, quantunque risultanti dagli atti, non furono conosciuti e valutati dal giudice per omessa deduzione delle parti ovvero per il mancato uso dei poteri d’ufficio»).
2.3. Il provvedimento impugnato, in sintonia coi delineati principi, si è limitato ad una delibazione astratta e sommaria, anche se non superficiale, dando esaustiva giustificazione dell’esito negativo sul preliminare controllo delle allegazioni poste a fondamento dell’impugnazione straordinaria.
In quest’ottica , la Corte territoriale ha esaminato le prove indicate dalla difesa e, una volta pervenuta alla giustificata conclusione che nessuna di esse, considerata sia singolarmente sia valutata insieme con le altre, presenta, alla luce del compendio probatorio acquisto nel processo ordinario di cognizione, le caratteristiche richieste dall’art. 630 lett. c) cod. proc. pen., ha correttamente escluso l’ ammissibilità dell’istanza di revisione.
Le argomentazioni utilizzate al riguardo non sono né illogiche né giuridicamente scorrette.
2.3.1. Quanto al nuovo esame di COGNOME, è stato evidenziato che lo stesso, nella qualità di coimputato, era stato già esaminato in primo grado su tutte le circostanze ritenute decisive ai fini del coinvolgimento, personale e diretto, di COGNOME nell’iter di formazione degli atti falsi indicati nel capo di imputazione (relazioni di servizio, verbali di arresto, perquisizione e sequestro, comunicazione notizia di reato); in particolare sul ruolo decisionale e di comando assunto da COGNOME nelle operazioni di organizzazione ed esecuzione della perquisizione presso la scuola Diaz-Pertini e sulla sua presenza fisica al momento dell’irruzione (si legge nella sentenza di appello, pagg. 250 – 251 che COGNOME aveva ampiamente riferito delle sollecitazioni poste in essere nei suoi confronti da COGNOME per redigere l’ informativa al Questore seguite dalla raccomandazione di fare espressa menzione degli atti di resistenza, che in realtà gli operatori non avevano incontrato durante l’irruzione , ed aveva altresì precisato di avere consegnato la relazione finale a COGNOME su sua precisa richiesta, motivata dall’esigenza di confrontarne il contenuto con quello di altre relazioni).
Né può attribuirsi rilevanza al denunciato stravolgimento delle dichiarazioni di COGNOME nel giudizio di appello perché oggetto di specifica censura, che, dedotta con il rcorso per cassazione, era stata esplicitamente ritenuta infondata dalla sentenza che aveva definito il giudizio di legittimità.
Nel considerare infondato il secondo motivo di ricorso articolato da COGNOME -con cui si lamentava erronea applicazione della regola di giudizio in tema di
valutazione della prova, anche sotto il profilo del travisamento, delle dichiarazioni di COGNOME sostenendo che, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte di appello, quest’ultimo non aveva mai riferito di essere stato sollecitato da COGNOME per la stesura di una relazione di servizio falsa – la sentenza della quinta sezione di questa Corte ha osservato che non vi era stato ‘ nessun travisamento della prova da parte dei giudici di secondo grado ‘ , i quali erano giunti correttamente alla affermazione di responsabilità del COGNOME non sulla base di un apodittico “non poteva non sapere” riferito ad una responsabilità da posizione di comando, bensì sulla base di specifici elementi concreti a suo carico ‘ tra cui proprio le dichiarazioni di COGNOME, ampiamente convergenti con quelle rese dal prefetto COGNOME sulla presenza attiva e centrale dell’odierno ricorrente non solo nel corso di tutta la durata dell’operazione “Diaz”, ma anche nella fase della redazione degli atti, nonché nel controllo del loro contenuto.
2.3.2. Quanto all ‘ audizione dei funzionari di polizia che parteciparono alle riunioni in questura precedenti alle perquisizioni interessate all’ attività di falsificazione, oggetto dell’ accertamento irrevocabile già sentiti in primo grado, è stato evidenziato che la richiesta non era strumentale ad acquisire elementi nuovi, bensì a rivalutare i medesimi temi – le ragioni della missione svolta a Genova di Gratteri ed il suo ruolo in sostituzione dell’ordinaria catena di comando ampiamente esaminati dalle sentenze di merito sulla scorta di una pluralità di dichiarazioni e di pertinenti riscontri, oltre che di argomenti natura logica.
La difesa di COGNOME, come correttamente evidenziato dal provvedimento impugnato sulla base del contenuto dell’istanza di revisione e delle successive memorie, con riferimento a questo specifico aspetto si è diffusa a formulare doglianze che, attenendo al profilo del vizio di motivazione della sentenza di appello, dovevano essere avanzate con l’ordinario mezzo di impugnazione previsto avverso queste ultima pronuncia.
2.3.3. Quanto alla richiesta di valutare il frame video delle ore 00.03.30 del 22 luglio 2001, la Corte ha correttamente osservato che si tratta di prova rappresentativa già valutata.
D’altra parte, il ricorrente neanche in questa sede ha spiegato la potenziale efficacia demolitoria del giudicato di tale porzione del video, considerato che tutte le riprese filmate non sono valutate in chiave accusatoria isolatamente ma alla luce delle dichiarazioni rese dalle persone in esse effigiate (in particolare COGNOME che, come si legge nella sentenza della quinta sezione di questa Corte di cassazione, aveva ammesso che il ‘ conciliabolo ‘ con i colleghi, tra cui COGNOME, ripreso alle ore 00,41.29, tenutosi in prossimità del telo nero contenente le molotov aveva interessato anche gli ordigni) e che, in ogni caso, una volta data per credibile la prospettazione difensiva, l’intero filmato continuerebbe a
dimostrare le circostanze ritenute più significative ai fini dell’affermazione della responsabilità penale di COGNOME, ovvero la sua presenza nel cortile della scuola “Diaz” dalle ore 0,24 alle ore 01,12 in atteggiamento spiegabile solo con il ruolo organizzativo e di comando (in un frame è ripreso mentre agita il “tonfa ‘ed ordina agli agenti di fermare le persone che stavano tentando la fuga attraverso i ponteggi; in un altro frame partecipa al c.d. “conciliabolo” di funzionari con al centro il sacchetto contenente le bottiglie molotov tenuto in mano dal Luperi) e dalle ore 01,13 alle ore 01,50, nei pressi del cancello dell’istituto scolastico e all ‘ interno dei cortile o ancora in INDIRIZZO mentre si intrattiene con i giornalisti presenti in virtù della sua posizione apicale.
Di conseguenza, anche in tale ipotesi, rimarrebbe ancora valida l’ argomentazione centrale utilizzata dalla Corte di appello nel giudizio di colpevolezza a carico dell’odierno ricorrente : in ragione del suo arrivo sul posto quando l’operazione era in pieno svolgimento e della posizione di comando assunta di fatto prima, durate e dopo l’irruzione aveva personalmente constatato ‘ cosa stava realmente accadendo ‘ , rendendosi perfettamente conto che si era verificata quella che alcuni suoi colleghi avevano definito nel dibattimento una vera e propria “macelleria messicana”.
2.3.4. Quanto al verbale di interrogatorio reso nelle indagini preliminari dal coimputato COGNOME, il provvedimento impugnato ha ritenuto ostativa la mancata attivazione, nel processo definito con sentenza irrevocabile, del sistema previsto per la transazione di tale atto nel fascicolo del dibattimento e, quindi, per la sua utilizzabilità probatoria.
L’assunto è corretto.
Come è noto, le dichiarazioni predibattimentali del coimputato e degli altri soggetti indicati nell’art. 210 cod. proc. pen. possono formare oggetto di contestazione ed essere allegate al fascicolo del dibattimento soltanto se costui renda testimonianza dibattimentale; nel qual caso valgono come prova sia nei confronti di chi le ha rese e, qualora ricorrano le condizioni previste dall’art. 500, comma quarto, cod. proc. pen., nei confronti degli altri imputati.
A mente del secondo comma dell’art. 513 cod. proc. pen. se, invece, non è possibile procedere all’esame dibattimentale può disporsi la acquisizione delle dichiarazioni rese in sede di indagini preliminari mediante lettura o se ricorre l’ ipotesi, prevista dall’art. 512 cod. proc. pen., dell’impossibilità di ripetizione per fatti o circostanze imprevedibili al momento delle dichiarazioni oppure se il dichiarante si avvale della facoltà di non rispondere e vi sia l’accordo delle parti.
Ritiene il Collegio che in virtù del carattere inderogabile della disciplina non può costituire ‘ prova nuova’ nel processo di revisione un verbale di dichiarazioni predibattimentali non transitato nel fascicolo del dibattimento in diretta
applicazione degli artt. 210, 500, 503, 511, 512, 512 bis e 513 e 514, comma 1, cod. proc. pen.
Sul punto, si è del resto già espressa la giurisprudenza di legittimità, che ha affermato il principio secondo il quale “in tema di revisione, nella fase del giudizio sull’ammissibilità della richiesta il giudice non può esimersi dall’obbligo di apprezzare la manifesta inidoneità e inefficacia dimostrativa, rispetto al prospettato risultato finale del proscioglimento, dei nuovi elementi di prova attinti da un radicale vizio di inutilizzabilità, rilevabile anche d’ufficio e conseguente ad obiettive violazioni dei divieti stabiliti dalla legge processuale, anche ai fini di una valutazione prognostica sulla congruenza in astratto degli elementi su cui si basa la richiesta di revisione Sez. 1, n. 45612 del 5.11.2003, COGNOME, Rv. 227131).
2.3.5. Quanto, infine, alla valutazione come prova nuova delle dichiarazioni rese dal prefetto COGNOME e del dottor COGNOME davanti al comitato parlamentare e dell’esame del giornalista NOME COGNOME, la Corte distrettuale ha ineccepibilmente osservato che le prime erano state ritenute superflue nel giudizio definito dalla sentenza di cui è stata chiesta la revisione (cfr. Sez. 5 – , Sentenza n. 12763 del 09/01/2020, R., Rv. 279068 -01, Sez. 4, n. 25862 del 15/03/2019, Giulivi, Rv. 276372 – 01), mentre non è stata neanche astrattamente prospettata la portata demolitrice delle dichiarazioni di COGNOME la cui richiesta di audizione ha, pertanto, un carattere meramente esplorativo.
In conclusione, il ricorso va rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso, in Roma 15 maggio 2025.