Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 27003 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 27003 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 18/06/2025
SENTENZA
sul ricorso ex art. 628-bis cod. proc. pen. proposto da
COGNOME NOME nata a Caste! di Sangro il 28/08/1980
avverso la sentenza della Corte d’appello di L’Aquila del 28/01/2015 avverso la sentenza della Corte di Cassazione di Roma del 07/01/2016
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso. udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha chiesto l’accoglimento del ricorso e la revoca delle sentenze.
che ha concluso chiedendo
RITENUTO IN FATTO
1.COGNOME NOME è stata tratta in giudizio dinanzi al Tribunale di Sulmona, per rispondere del reato previsto e punito dall’art. 589 cod. pen. in relazione ad un sinistro con esito mortale, perché, nella sua qualità di titolare dell’agenzia agricola “Rio torto”, per colpa consistita in negligenza e imperizia e imprudenza, lasciando incustodita una mandria di cavalli vaganti su una strada comunale, consentiva l’investimento della persona offesa che procedeva a bordo del suo
motociclo, a seguito del quale riportava lesioni personali talmente gravi da causarne il decesso.
Il Tribunale di Sulmona, in data 17/03/2014, assolveva l’imputata con la formula “perché il fatto non sussiste”.
Su appello dell’accusa e della parte civile, con pronuncia del 24 aprile 2015, la Corte d’appello di L’Aquila ha riformato la sentenza di assoluzione condannando la ricorrente ad una pena di un anno e sei mesi di reclusione, oltre al risarcimento dei danni alle parti civili.
Avverso tale decisione l’imputata ha proposto ricorso per cassazione censurando il vizio di violazione di legge, avendo la Corte d’appello ribaltato il giudizio assolutorio di primo grado senza procedere all’ascolto diretto dei testimoni, unica prova a carico, le cui dichiarazioni erano state diversamente interpretate.
Con sentenza del 02/05/2016, la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, determinando il passaggio in giudicato della statuizione di penale responsabilità.
Secondo la sentenza di legittimità, la Corte d’appello non aveva proceduto agli incombenti istruttori legittimamente, posto che non aveva sovvertito il giudizio di credibilità dei testimoni ma aveva semplicemente valorizzato gli elementi di prova presenti nel fascicolo e trascurati dal Tribunale.
2.A seguito del passaggio in giudicato della condanna per omicidio colposo, l’imputata proponeva ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo, denunciando la violazione dell’art. 6 della Convenzione EDU per l’arbitrario ribaltamento operato in appello della sentenza assolutoria di primo grado sulla base della mera rilettura delle acquisite deposizioni testimoniali.
Il ricorso era accolto con sentenza pronunciata dalla prima sezione della Corte suddetta, in data 23 gennaio 2025.
La Corte EDU rilevava che la Corte d’appello aveva pronunciato condanna nei confronti dell’imputata, ritenendo sufficientemente provato che l’incidente stradale, da cui era derivata la morte della persona offesa, fosse stato causato dai cavalli di sua proprietà, ponendo a fondamento della decisione da un lato, le dichiarazioni rese da NOME COGNOME e NOME COGNOME i quali avevano riferito di aver visto una mandria di cavalli nei pressi del luogo del sinistro, dall’altro, l non attendibilità dei testi NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME le cui versioni risultavano in contrasto con quelle degli altri testimoni, in particolare circa l’identità della persona giunta per prima sul luogo dell’incidente. Diversamente, il Tribunale aveva ritenuto che nessuno dei testimoni escussi avesse assistito direttamente al fatto e, pertanto, aveva escluso che fosse stato raggiunto il grado di prova richiesto per affermare, oltre ogni ragionevole dubbio, che la causa del sinistro fosse stata la collisione con i cavalli.
Ad avviso dei giudici di Strasburgo, dunque, la Corte d’appello di L’Aquila non si era limitata ad una nuova valutazione di elementi di natura meramente giuridica ma si era pronunciata su una questione di fatto, vale a dire sulla possibilità che l’incidente fosse stato causato dalla collisione con i cavalli della ricorrente, ed aveva valutato differentemente la credibilità delle deposizioni di RAGIONE_SOCIALE
La Corte EDU, inoltre, sottolineava che, per quanto fossero state prese in considerazione altre prove sia dal Tribunale che dalla Corte d’appello, il contenuto delle testimonianze aveva costituito l’elemento centrale che aveva indotto il giudice di primo grado a dubitare della fondatezza delle accuse.
Concludeva che «considerata la posta in gioco per la ricorrente, La Corte non è convinta che le questioni che la Corte di appello di L’aquila ha dovuto risolvere, prima di decidere di condannare l’interessata ribaltando il giudizio di assoluzione del tribunale di Sulmona, potessero, per ragioni di equità del processo, essere adeguatamente esaminate senza valutazione diretta dei testimoni escussi dal giudice di primo grado; ed aggiungeva che «coloro che hanno la responsabilità di decidere sulla colpevolezza o sull’innocenza dell’imputato devono, in linea di principio, escutere i testimoni di persona e valutare la loro credibilità (si veda Manoli c. Repubblica di Moldavia n. 56875/2011, §32, 28 Febbraio 2017, a contrario, COGNOME. C. Estonia, n. 22574/08, §§48-50, 26 aprile 2016). La valutazione della credibilità di un testimone è compito complesso che, normalmente, non può essere assolto attraverso la semplice lettura del contenuto delle sue dichiarazioni come risulta dai verbali delle udienze (Dan, sopra citata §33)».
3.Divenuta definitiva la sentenza europea, in data 4 aprile 2025, la difesa di NOME COGNOME tramite procuratore speciale, ha attivato lo strumento processuale previsto dall’art. 628-bis cod. proc. pen, diretto a conformare l’ordinamento interno alle decisioni della Corte EDU che accertino la violazione di diritti riconosciuti dalla Convenzione.
3.1.Ricorrendo dinanzi a questa Corte, ha chiesto che « la Corte Suprema di Cassazione, previa declaratoria di ammissibilità del presente ricorso ex art. 628bis c.p.p., voglia disporre la revoca della sentenza n. 190/2015 della Corte d’appello di L’Aquila del 28.1-24.4.2015 e della successiva sentenza di legittimità n. 18201/2016 del 7.1-2.5.2016, e, comunque, adottare tutti i provvedimenti che riterrà necessari ad eliminare in via definitiva gli effetti pregiudizievol derivanti dalla violazione dell’art. 6 della Convenzione EDU accertata dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo Con la sentenza depositata il 23.1.2025 a definizione del caso COGNOME RAGIONE_SOCIALE, con ogni conseguente statuizione del codice di rito».
A tal fine rappresenta che la riscontrata violazione dell’art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo è di natura e gravità tale da ingenerare seri e fondati dubbi sull’accertamento della responsabilità penale della COGNOME.
Sottolinea che il ribaltamento dell’esito del processo penale svoltosi in primo grado a carico della odierna ricorrente, è avvenuto sulla base di una mera rivisitazione delle acquisite deposizioni testimoniali ovvero sulla base di una valutazione fattuale alternativa in chiave esclusivamente accusatoria delle dichiarazioni testimoniali già vagliate dal Tribunale e che «la mera rilettura delle dichiarazioni già ritenute attendibili dal giudice di primo grado alla luce di diversi elementi istruttori, con il conseguente ribaltamento del giudizio di attendibilità non sarebbe in grado di superare la presunzione di non colpevolezza che deve guidare il giudice nella valutazione della prova».
Alla luce di quanto esposto, la ricorrente ritiene sussistente il requisito dell’incidenza effettiva” di cui al comma quinto dell’art. 628-bis cod. proc. pen., potendosi ragionevolmente ritenere che la rinnovata assunzione delle prove orali avrebbe potuto condurre a una diversa valutazione e, conseguentemente, a un differente epilogo del processo penale celebrato a suo carico.
A ulteriore sostegno del ricorso, si rappresenta che la statuizione di penale responsabilità, divenuta irrevocabile, ha inciso negativamente sulla vita sociale e relazionale della COGNOME, determinando altresì gravissimi, e verosimilmente irreparabili, danni patrimoniali, derivanti dall’esecuzione forzata delle statuizioni civili contenute nella sentenza penale d’appello.
I rilievi svolti inducono l’imputata a chiedere la revoca della sentenza penale d’appello e di quella successiva di legittimità adottate nei suoi confronti, ritenendosi, nel caso di specie, superfluo il rinvio ad altro giudice per l’eliminazione degli effetti pregiudizievoli di tali decisioni, ben potendo la stessa Corte Suprema provvedere direttamente in tal senso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Va preliminarmente osservato che la questione concernente l’individuazione di uno strumento processuale idoneo a consentire la riapertura di un procedimento penale definito con sentenza irrevocabile, al fine di dare esecuzione a una decisione della Corte EDU che abbia accertato una violazione della Convenzione, è oggetto di dibattito da lungo tempo. A tale problematica ha cercato di offrire una prima risposta la Corte costituzionale con la sentenza n. 113 del 2011, con la quale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 630 c.p.p., nella parte in cui non prevedeva, tra i casi di revisione, quello volto a ottenere la riapertura del processo necessaria per conformarsi a una sentenza della Corte EDU.
A tale pronuncia ha fatto seguito un ampio dibattito dottrinale e una successiva decisione della Consulta (sentenza n. 210 del 2013), che ha chiarito come, nei casi in cui non fosse necessaria la riapertura del giudizio di cognizione, ma si rendesse invece opportuno intervenire sul titolo esecutivo, il rimedio dovesse essere individuato nel procedimento di esecuzione.
Le difficoltà applicative, la complessità della procedura di revisione e le incertezze circa le violazioni convenzionali rilevanti hanno spinto il legislatore a intervenire, dapprima con il disegno di legge 5-23 del 23 marzo 2018, poi non approvato, così come era accaduto per i precedenti disegni di legge S-3168 del 24 marzo 1998 e S-1997 del 18 settembre 2007, anch’essi volti a introdurre un rimedio per le violazioni della Convenzione che avevano determinato un “processo iniquo”.
È solo con la legge delega n. 134 del 2021 che il legislatore è finalmente intervenuto in modo organico, introducendo, in attuazione dell’art. 1, comma 13, lett. o), una nuova disposizione codicistica, invocata nel caso di specie dalla COGNOME.
1.1. La nuova norma è stata inserita nel Titolo III-bis del Libro IX del codice di procedura penale, dedicato ai «Rimedi per l’esecuzione delle decisioni della Corte europea dei diritti dell’uomo». Essa è rubricata come «Richiesta per l’eliminazione degli effetti pregiudizievoli delle decisioni adottate in violazione della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali o dei Protocolli addizionali».
La denominazione, la collocazione sistematica – tra le disposizioni sul ricorso per cassazione e quelle sulla revisione – nonché il fatto che l’istituto riguardi sentenze o decreti penali irrevocabili, a seguito dell’accoglimento del ricorso da parte della Corte EDU (o della sua cancellazione dal ruolo per riconoscimento della violazione da parte dello Stato), sono tutti elementi che consentono di qualificare il rimedio previsto dall’art. 628-bis c.p.p. come mezzo di impugnazione straordinario.
L’utilizzo del rimedio è, invece, precluso per i provvedimenti di competenza del tribunale di sorveglianza che, in quanto adottati “rebus sic stantibus”, consentono all’interessato di riproporre la questione con una nuova domanda (Sez. 5, n. 39801 del 13/07/2023, Viola, Rv. 285231 – 01).
Il legislatore delegato ha individuato, quali soggetti legittimati a proporre « la richiesta, il «condannato» e la «persona sottoposta a misura di sicurezza» che abbiano ottenuto una decisione favorevole dalla Corte EDU, ovvero che abbiano visto la cancellazione della causa dal ruolo ai sensi dell’art. 37 della Convenzione, a seguito del riconoscimento unilaterale della violazione da parte dello Stato (comma 1).
La richiesta del soggetto vittorioso a Strasburgo può tendere (comma 1):
-alla revoca di una sentenza o del decreto penale di condanna pronunziati nei suoi confronti
-alla riapertura del procedimento,
o, comunque, all’eliminazione degli effetti pregiudizievoli derivanti dalla violazione accertata.
L’istanza, ai sensi del secondo comma dell’art. 628-bis cod. proc. pen., deve essere presentata, a pena di inammissibilità (comma 3), nella Cancelleria del Giudice che ha emesso il provvedimento cui si riferisce la richiesta «personalmente dall’interessato o, in caso di morte, da un suo congiunto, a mezzo di difensore munito di procura speciale». Il termine è di novanta giorni dalla data in cui è divenuta definitiva la sentenza della Corte Edu ma, per i richiedenti che abbiano ottenuto la decisione favorevole prima dell’entrata in vigore del d.lgs. 150 del 2022, il termine, a norma dell’art. 91, comma I, d.lgs. cit., decorre dal 30 dicembre 2022, data di entrata in vigore della riforma Cartabia.
La Corte di cassazione decide sulla richiesta in camera di consiglio ai sensi dell’art. 611 cod. proc. pen. (comma 4) e, fuori dai casi di inammissibilità, accoglie la richiesta quando la violazione accertata dalla Corte edu «per natura e gravità», abbia avuto «un’incidenza effettiva» sulla sentenza o sul decreto penale di condanna.
Quanto agli epiloghi decisori, il quinto comma dell’art. 628-bis cod. proc. pen. prevede che la Corte di cassazione assuma i provvedimenti necessari a rimuovere gli effetti pregiudizievoli derivanti dalla violazione disponendo, ove occorra, la revoca della decisione «se non sono necessari ulteriori accertamenti di fatto o comunque risulta superfluo il rinvio. Altrimenti trasmette gli atti a Giudice dell’esecuzione o dispone la riapertura del processo nel grado e nella fase in cui si procedeva quando si è verificata la violazione», indicando in quale parte conservano efficacia gli atti compiuti nel procedimento.
Il comma 6 precisa che: «La prescrizione riprende il suo corso dalla pronuncia della Corte di cassazione che dispone la riapertura del processo davanti al giudice di primo grado».
Infine, il comma 8 stabilisce che: «Le disposizioni del presente articolo si applicano anche quando la violazione accertata dalla Corte europea riguarda il diritto dell’imputato di partecipare al processo».
2.Dal contesto delle disposizioni esaminate emerge, dunque, la necessità che la valutazione in ordine alla fondatezza della richiesta ex art. 628-bis cod. proc. pen. si articoli in due fasi: una prima, volta alla verifica dell’ammissibilità della domanda e dell’incidenza effettiva della violazione convenzionale sulla decisione interna; una seconda, finalizzata all’adozione dei provvedimenti idonei a yd
rimuovere gli effetti pregiudizievoli della violazione, anche mediante trasmissione degli atti al giudice dell’esecuzione o al giudice di cognizione.
3.Quanto al primo profilo volto alla verifica delle condizioni di ammissibilità, sotto il profilo formale si osserva che la richiesta è stata presentata tempestivamente in data 4 aprile 2025, entro il termine di novanta giorni, nella cancelleria della Corte d’appello di L’Aquila, che ha poi trasmesso l’istanza a questa Corte, in termini.
La presentazione è avvenuta legittimamente a mezzo del difensore NOME COGNOME cui l’istante aveva rilasciato procura speciale, posto che la richiesta per l’eliminazione degli effetti pregiudizievoli delle decisioni, di cui all’art. 628cod. proc. pen., può essere presentata dall’interessato o da un suo procuratore speciale. (Sez. 5, n. 47183 del 12/10/2023, K., Rv. 285398 – 02)
4.Quanto al contenuto, non si pongono dubbi circa l’ammissibilità della richiesta in ordine alla tipologia della lesione accertata dalla Corte EDU, posto che la genericità della previsione di cui all’art. 628-bis cod. proc. pen. lascia intendere che l’istanza può essere proposta indifferentemente sia per una violazione di ordine sostanziale sia per una violazione procedurale di un diritto egualmente sancito dalla Convenzione o dai suoi Protocolli addizionali.
Il vaglio positivo degli aspetti precedentemente considerati, consente a Questo Collegio di svolgere lo scrutinio affidato dal legislatore a Questa Corte, di verificare, cioè, se, per «natura» e «gravità», la violazione accertata dalla Corte EDU abbia avuto un’«incidenza effettiva» sulla sentenza di condanna.
4.1. Su concetto di effettività si intende ribadire quanto già affermato da questa Corte (Sez. 5, n. 47183 del 12/10/2023, K., Rv. 285398 – 03) e cioè che tale concetto, pur essendo lessicalmente diverso dalla più volte definita, dalla nostra giurisprudenza, “decisività”, quale idoneità disarticolante del vizio rilevato rispetto al verdetto cui il Giudice di merito sia giunto non se ne discosta in maniera particolarmente significativa, e che di «incidenza effettiva» può parlarsi solo relativamente a violazioni della CEDU che abbiano avuto un peso concreto nella decisione interna perché, qualora non avessero contrassegnato il processo, l’esito sarebbe stato, ragionevolmente, diverso.
Può dunque affermarsi che la violazione può considerarsi rilevante non soltanto quando senza di essa l’esito del processo sarebbe stato opposto, ma anche quando senza tale violazione l’esito sarebbe stato diverso e più favorevole all’imputato.
In questo senso può essere indicativo un passaggio della Raccomandazione Rec (2000)2 del 19 gennaio 2000 del Comitato dei Ministri – già sopra evocata quale risalente sollecitazione all’attuazione di iniziative interne per dare
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esecuzione ai dicta della Corte edu – in cui si legge che il rimedio interno andava apprestato in relazione a situazioni in cui la violazione rilevata fosse causata da errori o carenze procedurali di tale gravità da far sorgere seri dubbi sull’esito del procedimento.
5.AI fine di calare i principi descritti nel caso concreto giova soffermarsi, sia pur sinteticamente, sulle ragioni sottese ai diversi esiti processuali e sulla portata del dictum europeo.
In relazione al primo profilo deve evidenziarsi che il Tribunale di Sulmona, ha assolto l’imputata con la formula “perché il fatto non sussiste”, giacchè non era stato adeguatamente provato che l’incidente fosse stato causato dai cavalli e che, di conseguenza, ci fosse un nesso di causalità tra la pretesa negligenza dell’imputata ed il decesso della persona offesa. In particolare, in primo grado si è rimarcato: che non si era proceduto ad alcuna autopsia; che i luoghi dell’incidente erano stati modificati prima dell’intervento degli agenti delle forze dell’ordine, che la consulenza tecnica della parte civile si basava unicamente su fotografie, e che nessuno dei testimoni escussi aveva assistito all’incidente. Con riferimento a quest’ultimo aspetto, il giudice ha osservato che la teste NOME COGNOME si era limitata a riferire di aver visto una mandria di cavalli sulla carreggiata e, successivamente, di aver udito un rumore seguito da nitriti. I testimoni NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME invece, avevano semplicemente constatato la presenza del corpo della vittima a terra, accanto a un motociclo.
La Corte d’appello di L’Aquila, invece, ha riformato la sentenza di assoluzione, attraverso una diversa valutazione delle dichiarazioni dei testimoni NOME COGNOME e NOME COGNOME, ascoltati dal Tribunale, valorizzando la circostanza che essi avevano affermato di avere visto una mandria di cavalli nelle vicinanze del luogo dell’incidente. La motivazione ha poi fatto riferimento alle dichiarazioni degli agenti delle forze dell’ordine NOME COGNOME e NOME COGNOME, anch’essi non escussi nel giudizio d’appello, i quali avevano dedotto che l’incidente fosse stato causato da cavalli avendo constatato sul luogo del sinistro la presenza di crini di cavallo e impronte di zoccoli sul motociclo della persona offesa.
La Corte Edu si è soffermata anche sulla rilevanza della violazione affermando che la pronuncia di condanna, in quanto fondata esclusivamente sulla rilettura delle dichiarazioni rese dai testi in fase istruttoria, avrebbe potuto compromettere l’esito della valutazione finale.
Questo Collegio non può che condividere la valutazione del giudice sovranazionale considerato che la mancata rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, con riferimento alla mancata escussione dei testi nel giudizio di appello, può avere effettivamente inciso sulla completezza della ricostruzione
operata dalla Corte territoriale chiamata a ridefinire i termini fattuali dell vicenda, proprio su tali testimonianze.
Per altro, lo stesso giudice d’appello non poteva, a priori, essere in grado di valutare direttamente nemmeno l’attendibilità dei testi in questione.
E dunque non può che riconoscersi nel caso di specie la effettiva incidenza della violazione accertata dalla Corte Edu.
6. Ciò comporta la riapertura del processo in grado d’appello per un nuovo giudizio che tenga conto dei principi affermati della corte Edu.
Occorre in particolare una nuova determinazione in ordine alla necessità di procedere alla rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale per la rinnovazione
dell’esame dei testi non escussi nel precedente giudizio di appello, determinazione questa che esula dalle competenze del giudice di legittimità in
quanto esclusivamente di merito.
Attesa la natura della violazione, e la sua collocazione procedimentale, contrariamente a quanto richiesto dalla ricorrente, il Collegio ritiene, quindi, che
lo strumento più adatto per rimuovere gli effetti pregiudizievoli della condanna nel caso di specie sia la revoca formale della sentenza di merito unitamente a quella della Corte di cassazione che ha definito il giudizio, con riapertura del processo nel grado di appello essendo questa la fase in cui si è verificata la violazione.
In conclusione, questa Corte dispone la revoca della sentenza n. 18201/2016 della Corte di cassazione, emessa all’udienza del 7 gennaio 2016, nonché della sentenza della Corte d’appello di L’Aquila n. 190/2015, emessa all’udienza del 28 gennaio 2015, nei confronti di NOME COGNOME
Dispone, altresì, la riapertura del processo, dinanzi alla Corte d’appello di Perugia per la nuova celebrazione giudizio in linea con la pronuncia convenzionale.
P.Q.M.
Revoca la sentenza n. 18201/2016 della Corte di cassazione emessa all’udienza del 07/01/2016, nonché della sentenza della Corte d’appello di L’Aquila n. 190/2015 emessa all’udienza del 28.1.2015 nei confronti di NOME COGNOME e dispone la riapertura del processo nel grado di appello dinanzi alla Corte d’Appello di Perugia cui rimette gli atti per il prosieguo.
Così deciso in Roma, in data 18/06/2025
Il Consigliere estensore’ .
Il Presidente ueposirata in Cancelleria