Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 9950 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 9950 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME COGNOME NOME
Data Udienza: 27/02/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
1. COGNOME NOME nato a PALERMO il DATA_NASCITA
2. COGNOME NOME GLYPH
nato a PALERMO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 30/03/2023 della CORTE D’APPELLO DI CALTANISSETTA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME, che ha concluso per l’inammissibilità dei ricorsi; uditi l’AVV_NOTAIO COGNOME, anche in sostituzione dell’AVV_NOTAIO COGNOME, difensore di COGNOME, e gli AVV_NOTAIO NOME COGNOME e NOME COGNOME, difensori di COGNOME, che hanno chiesto l’accoglimento dei ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 30 marzo 2023 la Corte di appello di Caltanissetta rigettava le richieste di revisione presentate nell’interesse di NOME COGNOME e NOME COGNOME, condannati alla pena dell’ergastolo per i reati di omicidio
cp
aggravato dalla premeditazione e occultamento di cadavere, con sentenza emessa il 20 febbraio 2009 dal G.u.p. del Tribunale di Palermo, confermata dalla Corte di assise di appello di Palermo con sentenza del 26 novembre 2009 e divenuta irrevocabile in data 19 maggio 2011 a seguito del rigetto dei ricorsi per cassazione.
Hanno proposto ricorso i due condannati, a mezzo dei rispettivi difensori, chiedendo l’annullamento della sentenza.
Con un unico motivo di ricorso la difesa di NOME COGNOME ha premesso che la richiesta di revisione seguiva contestualmente due direttrici.
Sotto un primo aspetto si segnalava, ai sensi dell’art. 630, comma 1, lett. a), cod. proc. pen., che la condanna di COGNOME, emessa all’esito del giudizio abbreviato, non si conciliava, nella sua ricostruzione storica, con la sentenza pronunciata a seguito di giudizio ordinario nei confronti di NOME COGNOME e NOME COGNOME, nel quale si era accertato che l’impulso ideativo e deliberativo dell’omicidio di NOME COGNOME era da attribuirsi esclusivamente ai membri del mandamento di Resuttana, in autonomia da qualsivoglia input decisorio o istigatore da parte di NOME COGNOME.
Sotto un secondo aspetto si valorizzavano, ai sensi dell’art. 630, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., una serie di informative di polizia giudiziaria non valutate nel giudizio oggetto di revisione che avrebbero smentito la ricostruzione dei fatti operata per ritenere COGNOME concorrente nei reati.
Anche dalle due sentenze acquisite nel corso del giudizio di revisione, emesse nei processi di cui alle operazioni “Gotha” e “Rebus”, risulta l’interesse esclusivo all’omicidio in capo al mandamento di Resuttana.
La richiesta di revisione è stata respinta dalla Corte di appello di Caltanissetta con motivazione illegittima e in violazione di legge (erronea applicazione dell’art. 110 cod. pen., in relazione agli artt. 575 e 411 cod. pen., nonché in relazione agli artt. 192, 630, comma 1, lett. a) e c), 631 e 637 cod. proc. pen.).
3.1. Quanto alla inconciliabilità fra giudicati, diversamente da quanto ritenuto dai giudici di merito nel processo a carico del ricorrente (secondo i quali, per affermare il suo concorso nell’omicidio, era fondamentale la circostanza che anche COGNOME avesse deciso di affiancare NOME COGNOME a COGNOME per controllarlo nella gestione delle estorsioni), nel giudizio ordinario si è individuato in NOME COGNOME l’unica persona che assunse tale ultima decisione, come confermato anche dalle dichiarazioni di NOME COGNOME, profondamente legato a COGNOME e dunque a conoscenza di tali dinamiche.
La Corte di appello di Caltanissetta ha illegittimamente escluso la denunciata incompatibilità senza confutare gli elementi individuati dalla difesa negli atti del processo ordinario e sostenendo erroneamente che anche nella sentenza della Corte di assise di Palermo, emessa nel processo ordinario, si sarebbe confermato il coinvolgimento di COGNOME nella decisione di affiancare COGNOME a COGNOME.
Un altro elemento di contrasto fra i due procedimenti si rinviene nella ricostruzione del fatto da parte dei giudici dell’ordinario sulla base della missiva inviata da NOME COGNOME a NOME COGNOME nella quale si parlava dell’omicidio di COGNOME.
Al contrario dei giudici dell’abbreviato, che ritenevano non dirimente un mancato riferimento esplicito al ricorrente rispetto alla vicenda oggetto del processo, la sentenza di appello emessa nel giudizio ordinario forniva sul punto passaggi chiarissimi nell’individuare nella missiva un coinvolgimento decisorio solo in capo a NOME COGNOME e NOME COGNOME.
Quale corollario a tali due aspetti nella richiesta di revisione si segnalava che nel giudizio ordinario la vicenda veniva descritta evidenziando una interruzione ineludibile nella catena deliberativa che lasciava insoluto e irrealizzato, nella forma concorsuale, l’eventuale interessamento del ricorrente.
La sentenza impugnata, nell’escludere la diversità nelle ricostruzioni del fatto operate nei due diversi giudizi, non ha considerato che i giudici dell’ordinario hanno parlato di due diversi momenti deliberativi, resisi necessari per rispettare le regole di “cosa nostra”, fra i quali manca un collegamento concorsuale, non potendo bastare il fatto che COGNOME e COGNOME potessero avere assunto una prima risoluzione omicidiaria preesistente a quella di NOME COGNOME e NOME COGNOME.
3.2. In ordine all’asserita incapacità delle prove nuove a portare alla revisione della condanna di COGNOME, la motivazione non è idonea, in quanto dalle informative di polizia giudiziaria del 24 gennaio 2006, 15 maggio 2006, 11 marzo 2008 e 5 giugno 2008, nessuna delle quali è stata valutata nel giudizio abbreviato (neppure la prima, a differenza di quanto ritenuto nella sentenza impugnata), risulta smentito l’incontro del 23 dicembre 2005 in cui COGNOME e COGNOME avrebbero dovuto affrontare il “problema COGNOME“, incontro ritenuto dai giudici decisivo per creare un collegamento concorsuale fra i due schieramenti (quello cui appartenevano COGNOME e COGNOME e quello del mandamento di Resuttana).
Le stesse informative smentiscono il concorso di COGNOME nella nomina di NOME COGNOME (già oggetto del contrasto di giudicati) e dimostrano invece la paternità dell’omicidio in capo al solo mandamento di Resuttana.
La Corte di appello ha illegittimamente sminuito la rilevanza delle circostanze indicate nelle suddette informative di polizia giudiziaria e non ha poi verificato se le prove nuove avessero un effetto sulla sentenza di condanna, essendosi limitata a riassumere gli argomenti su cui condividere l’affermazione di responsabilità di COGNOME, non come giudice della revisione ma come giudice dell’appello.
Detto errore si coglie anche nel laconico riferimento alle sentenze “Gotha” e “Rebus”, nelle quali si ribadiva che non era ipotizzabile alcuna convergenza di interessi fra COGNOME e COGNOME, tanto più su una vicenda relativa al solo mandamento di Resuttana, al quale appartenevano tutti i soggetti interessati a detta vicenda, che avevano legami diretti con COGNOME e avevano alimentato il malcontento nei confronti di COGNOME, sfociato nel suo omicidio.
Il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME è articolato in due motivi, nei quali vengono svolte argomentazioni in parte analoghe a quelle dell’altro ricorrente.
4.1. Con il primo motivo la sentenza viene censurata per violazione di legge e motivazione apparente là dove ha rigettato la richiesta di revisione del condannato adottando uno standard probatorio incompatibile con la regola dell’oltre ogni ragionevole dubbio.
Dalla informativa del 24 gennaio 2006, il cui carattere di prova nuova è stato erroneamente escluso dalla Corte di appello, risulta che in realtà non vi fu mai l’incontro del 23 dicembre 2005 fra COGNOME e COGNOME nel quale, secondo i giudici dell’abbreviato, il primo avrebbe rafforzato il proposito del secondo di uccidere COGNOME.
A fronte della nuova prova dedotta, la sentenza impugnata ha confermato che l’incontro vi fu con una motivazione apparente, ha ritenuto poi superflua la questione nonostante nel giudizio di merito esso fosse stato valutato come “indispensabile” per la condanna di COGNOME, ha reiterato quel giudizio di mera verosimiglianza sulla esistenza dell’incontro e sui problemi ivi ipoteticamente trattati, in violazione del principio sancito dall’art. 533 del codice di rito.
4.2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la motivazione apparente della sentenza impugnata in ordine all’asserita insussistenza di un contrasto di giudicati fra la pronuncia oggetto del giudizio di revisione e quella emessa all’esito del giudizio ordinario nei confronti, tra gli altri, di NOME COGNOME NOME COGNOME, nel quale si è accertato che la paternità della decisione di affiancare NOME COGNOME a COGNOME andava attribuita esclusivamente a COGNOME, reggente del mandamento di Resuttana.
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La circostanza è emersa anche dalla informativa di polizia giudiziaria in data 11 dicembre 2008 (erroneamente indicata nella richiesta e nella sentenza impugnata con la data dell’Il marzo 2008), nella quale si afferma che detta decisione – come dichiarato anche da NOME COGNOME – era stata assunta da COGNOME in concerto con COGNOME e COGNOME.
Anche in merito a questa prova, evidenziata dalla difesa, la motivazione della sentenza impugnata è stata solo apparente.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi, che possono essere congiuntamente trattati, vanno rigettati perché proposti con motivi infondati.
In ordine al primo tema proposto dalle difese, va premesso che, secondo il diritto vivente, non sussiste contrasto fra giudicati agli effetti dell’art. 6 comma 1, lett. a), cod. proc. pen. se i fatti posti a base delle due decisioni, attribuiti a più concorrenti nel medesimo reato, siano stati identicamente ricostruiti dal punto di vista del loro accadimento oggettivo e il diverso epilogo giudiziale sia il prodotto di difformi valutazioni di quei fatti – specie se dipese dalla diversità del rito prescelto nei separati giudizi e dal correlato, diverso regime di utilizzabilità delle prove – dovendosi intendere il concetto di inconciliabilità fra sentenze irrevocabili non in termini di mero contrasto di principio tra le decisioni, bensì con riferimento ad un’oggettiva incompatibilità tra i fatti storici su cui esse si fondano (Sez. 5, n. 43631 del 05/10/2023, COGNOME, Rv. 285320; Sez. 6, n. 16477 del 15/02/2022, COGNOME, Rv. 283317; Sez. 1, n. 15088 del 08/01/2021, COGNOME, Rv. 281188; Sez. 2, n. 18209 del 26/02/2020, COGNOME, Rv. 279446; Sez. 6, n. 34927 del 17/04/2018, COGNOME, Rv. 273749).
Richiamato tale principio, la sentenza impugnata ha escluso la sussistenza di un contrasto di giudicati sulla base di precisi dati obiettivi ricavati dall motivazioni delle conformi sentenze di merito con le quali, ad esito del giudizio ordinario, NOME COGNOME e NOME COGNOME sono stati condannati per avere determinato con premeditazione la morte di NOME COGNOME, “in concorso con COGNOME NOME, COGNOME NOME (imputati in altro procedimento) e con altri soggetti allo stato non identificati”.
I ricorrenti hanno estrapolato alcuni brani delle sentenze, trattando soprattutto della vicenda dell’affiancamento di COGNOME a COGNOME e della missiva inviata da COGNOME a NOME COGNOME in cui si parlava dell’omicidio.
Dalla descrizione di questi fatti e, più in generale, dalla ricostruzione del delitto operata nel giudizio ordinario emergerebbe – secondo le difese – che
l’impulso ideativo e deliberativo dell’omicidio di NOME COGNOME sarebbe stato esclusivamente dei membri del mandamento di Resuttana, senza alcun coinvolgimento dei ricorrenti, ovvero, quanto meno, con uno iato fra la prima risoluzione omicidiaria di COGNOME e COGNOME e quella finale assunta da COGNOME e COGNOME.
La sentenza qui impugnata ha ricordato come i giudici dell’ordinario abbiano lungamente trattato della incontestabile (in quanto dimostrata da plurimi e convergenti risultati probatori) iniziale deliberazione omicidiaria in capo a COGNOME e COGNOME, cosicché il fulcro del tema qui in esame, depurato di elementi di contorno che finiscono per perdere ogni rilievo, era quello di verificare se – nella ricostruzione degli stessi giudici – l’intervento di COGNOME e COGNOME fu tale da avere determinato “una interruzione ineludibile nella catena deliberativa che lasciava insoluto e irrealizzato, nella forma concorsuale, l’eventuale interessamento del ricorrente” (così il ricorso di COGNOME).
La stessa difesa ha sostenuto che i giudici dell’ordinario hanno parlato di due diversi momenti deliberativi, resisi necessari per rispettare le regole di “cosa nostra”, circostanza della quale non avrebbe tenuto conto la sentenza impugnata.
La deduzione è priva di fondamento se si considera che la Corte di appello di Caltanissetta ha enfatizzato proprio questa successione di momenti decisionali, evidenziando che nel giudizio ordinario le difese avevano sostenuto anche una tesi speculare a quella degli odierni ricorrenti, cercando di fare ricadere la responsabilità dell’omicidio su COGNOME e COGNOME.
La sentenza impugnata ha ricordato (pagg. 19-20) che anche la Corte di assise di Palermo aveva ampiamente parlato della “esistenza di diversi momenti deliberativi dell’omicidio riferibili solo nell’ultima fase al COGNOME e al COGNOME” (pag. 90), valorizzando anche l’importante conversazione intercettata 1’11 novembre 2005 tra COGNOME e COGNOME, dalla quale risultava che solo da un certo momento fu “NOME COGNOME ad attivarsi non solo per realizzare il proposito onnicidiario ma per coinvolgere i vertici di cosa nostra, in particolar modo NOME COGNOME“.
Il collegamento fra i membri dei due gruppi contrapposti, in relazione all’omicidio di NOME COGNOME, non solo non è stato escluso dai giudici dell’ordinario ma è stato dagli stessi confermato, come osservato con adeguata motivazione dalla Corte nissena, supportata da perentorie affermazioni che si leggono nella sentenza della Corte di assise di appello di Palermo, prodotta dalla difesa di COGNOME: “il succedersi degli eventi…mostra chiaramente la costante determinazione omicida nei confronti del COGNOME da parte del gruppo mafioso facente capo al COGNOME ed al COGNOME; il progressivo ineluttabile coinvolgimento
nell’omicidio del sodalizio mafioso di appartenenza della vittima (vale a dire del mandamento di Resuttana); il graduale diretto personale interessamento del COGNOME, una volta ritornato ‘reggente’ del mandamento; nonché l’allargamento della responsabilità della decisione omicida al capo della componente mafiosa allora antagonista del COGNOME, vale a dire di COGNOME NOME” (pag. 53).
La stessa sentenza di appello, richiamando anche la missiva spedita da COGNOME a COGNOME, esaminata alla luce delle altre risultanze probatorie, ha condiviso la valutazione del primo giudice, che aveva “esattamente ricavato…che l’eliminazione del COGNOME fosse stata finalmente ‘decisa’ (ancorché con amarezza e riluttanza ed in esito alle pressanti sollecitazioni del COGNOME e del COGNOME) proprio dagli odierni imputati”; i giudici di merito hanno quindi affermato la “coesistenza di distinte volontà omicida del COGNOME e del COGNOME (oltre che del COGNOME e del COGNOME)” (pag. 68).
La pronuncia emessa a seguito del giudizio ordinario non solo non contrasta con quella emessa precedentemente ad esito del rito abbreviato, ma risulta conforme nella valutazione dei fatti essenziali e soprattutto in quella finale, secondo la quale l’omicidio fu il frutto di una deliberazione ascrivibile a COGNOME, COGNOME, COGNOME e COGNOME, sì da determinarne la responsabilità concorsuale nel reato, così come contestato nel capo d’imputazione.
Pertanto, sul primo punto, la motivazione della sentenza impugnata non è né “illegittima” (così definita nel ricorso di COGNOME) né apparente, come sostenuto nel ricorso di COGNOME.
La stessa motivazione è incensurabile anche in ordine al secondo profilo inerente alla incidenza delle prove nuove sulla decisione di condanna.
Premesso che la deduzione svolta nel ricorso di COGNOME sulla omessa considerazione delle due sentenze prodotte nel giudizio di revisione è del tutto generica, non avendo indicato quali sarebbero state le circostanze decisive ignorate nella sentenza impugnata, rileva il Collegio che la Corte di appello di Caltanissetta ha esaminato le quattro note informative indicate quali prove nuove e le ha ritenute non incidenti “sulla ricostruzione complessiva del quadro probatorio”: ciò a partire da quella del 24 gennaio 2006, relativa all’incontro fra COGNOME e COGNOME del 23 dicembre 2005, oggetto peraltro di una doglianza espressa nel ricorso per cassazione nel giudizio abbreviato, disattesa nella sentenza di legittimità, che aveva evidenziato la impossibilità di proporre una diversa lettura delle fonti di prova, doglianza che nel giudizio di revisione è stata riproposta e ritenuta infondata nella sentenza impugnata con motivazione per relationem, da ritenere legittima, come si dirà nel prosieguo.
La sentenza, diversamente da quanto sostenuto nel ricorso di COGNOME, non ha fatto ricorso a un criterio di verosimiglianza, ma ha confermato che l’incontro del 23 dicembre 2005 vi fu (pag. 22) e ha ritenuto che non siano emersi elementi significativi tali da alterare il giudizio espresso nel processo.
La nota del 15 maggio 2006 – ha osservato la Corte di appello – non tratta dei risultati investigativi relativi al proposito omicidiario ma solo della vicenda degli COGNOME. In generale, va rimarcato che le note informative, già presenti agli atti del giudizio abbreviato, contengono valutazioni più che la esposizione di precise circostanze di fatto. In ogni caso, la sentenza le ha esaminate e ha valorizzato ancora il contenuto di rilevanti intercettazioni, ritenendo che non vi siano profili non considerati nel giudizio di merito né tantomeno novità tali da disarticolare il ragionamento dei giudici di merito.
Anche nella informativa in data 11 dicembre (e non marzo) 2008, non emergono fatti incompatibili con la ricostruzione dei giudici di merito. Le difese lo hanno contestato, ma la motivazione sul punto è precisa e richiama un passo preciso della nota relativo alle dichiarazioni di COGNOME sulla decisione di COGNOME e COGNOME di eliminare COGNOME. Si tratta di una valutazione che si risolve in un giudizio di merito che non è suscettibile di essere censurata in sede di legittimità in quanto sorretta da motivazione congrua ed immune da vizi logici e da contraddizioni.
Alla medesima conclusione è pervenuta la Corte di appello di Caltanissetta in relazione alla nota del 5 giugno 2008.
Con ampia e puntuale motivazione la sentenza impugnata ha osservato che detta informativa (all. 11, pag. 53) conferma la ricostruzione dei giudici di merito sulla compartecipazione di COGNOME nella vicenda dell’affiancamento di COGNOME a COGNOME, dimostrata dalla inequivoca conversazione del 21 ottobre 2005 tra lo stesso COGNOME e COGNOME.
Più in generale, osserva il Collegio che i ricorsi hanno censurato la motivazione quasi come se la Corte di appello di Caltanissetta fosse stata chiamata a valutare la decisività della prova nella fase preliminare riguardante l’ammissibilità della richiesta di revisione, nella quale il giudice «ha il limitat compito di valutare in astratto, e non in concreto, la sola idoneità dei nuovi elementi dedotti a dimostrare – ove eventualmente accertati – che il condannato, attraverso il riesame di tutte le prove, unitamente a quella noviter producta, debba essere prosciolto a norma degli artt. 529, 530 e 531 cod. proc. pen.» (Sez. 5, n. 7217 del 11/12/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 275619; in senso conforme cfr., ad es., Sez. 5, n. 1969 del 20/11/2020, dep. 2021, L., Rv. 280405; Sez. 3, n. 15402 del 20/01/2016, COGNOME, Rv. 266810; Sez. 5, n. 15403 del 07/03/2014, COGNOME, Rv. 260563).
Ben diverso, invece, è il compito affidato al giudice della revisione ad esito del giudizio e dell’acquisizione delle prove nuove.
Secondo il diritto vivente, per pervenire a un esito positivo del giudizio di revisione, la prova nuova deve condurre all’accertamento, in termini di ragionevole sicurezza, di un fatto la cui dimostrazione evidenzi come il compendio probatorio originario non sia più in grado di sostenere l’affermazione della penale responsabilità dell’imputato oltre ogni ragionevole dubbio; il giudice della revisione, anche quando le nuove prove offerte dal condannato abbiano natura speculare e contraria rispetto a quelle già acquisite e consacrate nel giudicato penale, può e deve saggiare, mediante comparazione, la “resistenza” di queste ultime rispetto alle prime, giacché, in caso contrario, il giudizio di revisione si trasformerebbe indebitamente in un semplice e automatico azzeramento, per effetto delle nuove prove, di quelle a suo tempo poste a base della pronuncia di condanna; la valutazione giudiziale delle nuove prove di cui all’art. 630, lett. c), cod. proc. pen. non può prescindere dal complesso degli elementi già accertati nel giudizio precedente alla revisione, al fine di saggiarne e compararne la resistenza rispetto alle prove sopravvenute o scoperte dopo la condanna, con la conseguenza che, qualora l’acquisizione di queste ultime non abbia disarticolato il ragionamento seguito dai primi giudici, ma lo abbia anzi confermato, è ammissibile anche la motivazione per relationem alla sentenza oggetto di ricorso (cfr., ad es., Sez. 5, n. 34515 del 18/06/2021, COGNOME, Rv. 281772; Sez. 2, n. 35399 del 23/05/2019, COGNOME, Rv. 277072; Sez. 5, n. 24070 del 27/04/2016, NOME, Rv. 267067; Sez. 5, n. 38276 del 19/02/2016, NOME, Rv. 267786; Sez. 5, n. 24682 del 15/05/2014, NOME, Rv. 260005; da ultimo v. Sez. 5, n. 48479 del 26/09/2023, NOME, non mass., con la quale è stata rigettata la richiesta di revisione proposta avverso la sentenza di condanna per la strage di Brescia del 1974).
La sentenza impugnata si è attenuta a detti prindpi: premesso di non avere ravvisato alcun contrasto o incompatibilità fra le prove acquisite nel giudizio di merito e quelle nuove offerte dalle difese, la Corte territoriale ha comunque ritenuto che queste ultime non fossero affatto in grado di scardinare l’impianto motivazionale della “doppia conforme” di condanna, alla luce delle prove valutate nel giudizio abbreviato.
Le difese hanno contestato questa conclusione, deducendo in sostanza che la Corte di appello avrebbe erroneamente valutato le risultanze probatorie.
Tuttavia, anche in relazione al giudizio di revisione è pertinente il principio secondo il quale è preclusa alla Corte di legittimità la possibilità di una nuova valutazione di dette risultanze, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito, attraverso una diversa lettura, sia pure anch’essa logica, dei dati
processuali o una diversa ricostruzione storica dei fatti o un diverso giudizio di rilevanza o comunque di attendibilità delle fonti di prova (Sez. 5, n. 26455 del 09/06/2022, COGNOME, Rv. 283370; Sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021, COGNOME, Rv. 280747; Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, F., Rv. 280601; Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, COGNOME, Rv. 273217; Sez. 4, n. 1219 del 14/09/2017, dep. 2018, COGNOME, Rv. 271702).
In sede di revisione, peraltro, i ricorrenti, in assenza di significative novità ricavabili dalle suddette informative, hanno reiterato nella sostanza deduzioni e argomentazioni già proposte con il precedente ricorso per cassazione, disattese da questa Corte con la sentenza n. 25368 del 19 maggio 2011, connotata da una motivazione molto ampia e puntuale.
Al rigetto delle impugnazioni proposte segue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 27/02/2024.