Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 25524 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 25524 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 09/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
NOME (CUI CODICE_FISCALE), nata in Albania il 03/08/1992
avverso la ordinanza del 05/02/2025 della Corte di appello di Trento visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile.
RITENUTO IN FATTO
Con la ordinanza in epigrafe indicata, la Corte di appello di Trento dichiarava inammissibile l’istanza di revisione presentata da NOME COGNOME in relazione alla sentenza definitiva della Corte di appello di Venezia del 31 maggio 2022 che l’aveva condannata per reati di estorsione.
Secondo la difesa, vi era contrasto di giudicati, in quanto in altro procedimento la COGNOME era stata assolta con formula piena da analoghe accuse mosse dall stessa persona offesa, perché ritenuta inattendibile.
Nel processo conclusosi con la condanna della COGNOME la persona offesa era stata invece ritenuta credibile, ma trattandosi di rito abbreviato non era stata ascoltata in giudizio, come invece avvenuto nell’altro procedimento.
Avverso la suddetta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il difensore della COGNOME denunciando i motivi di annullamento, di seguito sintetizzati conformemente al disposto dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Violazione di legge e vizio di motivazione.
La Corte di appello non ha considerato che i procedimenti avevano riguardato una vicenda unitaria così da non potersi configurare fatti diversi, come ritenuto nell’ordinanza impugnata.
La sentenza assolutoria ha infatti ricostruito il reale rapporto esistente tra i protagonisti e il dipanarsi della vicenda e quindi i fatti emersi con le nuove prove assunte.
La nozione di fatto da porre alla base del giudizio di inconciliabilità non si riferisce al mero accadimento materiale ma è il risultato dell’addizione di elementi normativi della fattispecie legale.
Nel giudizio assolutorio è emersa la insussistenza del presupposto della prospettazione accusatoria ovvero che la ricorrente avrebbe minacciato la persona offesa di divulgare foto e messaggi di contenuto intimo, non risultando tra l’altro la disponibilità di tale materiale, avendo la persona offesa dichiarato che aveva consegnato il denaro solo per aiutarla e che la donna non aveva foto.
Andavano considerate le prove nuove emerse nel diverso giudizio.
Si contesta la decisione assunta de plano posto che non poteva ictu °culi la prova non considerarsi nuova o inutile rispetto al giudicato di condanna.
Disposta la trattazione scritta del procedimento, ai sensi dell’art. 611 cod. proc. pen., il Procuratore generale ha depositato conclusioni scritte, come in epigrafe indicate. La parte civile ha fatto pervenire una memoria a sostegno della inammissibilità del ricorso.
Il difensore della ricorrente, avv. NOME COGNOME in replica alle richieste del Procuratore generale, ha insistito per l’accoglimento dei motivi di ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
Va premesso che la richiesta di revisione era stata presentata ai fini dell’ipotesi di cui alla lettera a) dell’art. 630 cod. proc. pen. ovvero d inconciliabilità tra sentenze irrevocabili.
Tale ipotesi postula una oggettiva incompatibilità tra i fatti di reato accertati e posti a fondamento delle due diverse decisioni, essendo invece irrilevante la valutazione differente, da parte dei giudici, di fatti storici diversi.
Da ultimo, la Suprema Corte ha precisato, alla stregua delle conclusioni cui è pervenuta la sentenza n. 200 del 2016 della Corte costituzionale ai fini del divieto di bis in idem, che, ferma restando la necessità di distinguere tra l’inconciliabilità di fatti e la divergenza di valutazioni giuridiche – che resta fuori da perimetro censurabile attraverso la revisione – l’identità del fatto sussiste quando vi sia corrispondenza storico-naturalistica nella configurazione del reato, considerato in tutti i suoi elementi costitutivi (condotta, evento, nesso causale), con la conseguenza che gli elementi normativi della fattispecie sono stati individuati come elementi che concorrono a delineare la nozione di fatto.
Con la conseguenza che nel giudizio di revisione di cui all’art. 630, comma 1, lett. a) cod. proc. pen., la individuazione dei “fatti” rilevanti ai fini della valutazione di inconciliabilità implica non solo la verifica degli accadimenti storici o fattuali, apprezzati ineludibilmente nella loro connotazione storico-naturalistica (o empirica), ma anche l’accertamento, che è giuridico-fattuale, degli elementi normativi che concorrono ad integrare la condotta (Sez. 6, n. 22283 del 07/02/2024, Rv. 286615).
Peraltro, anche tale nozione di “fatto” – presa in considerazione anche dall’ordinanza impugnata – non giova alla ricorrente, posto che l’accertamento condotto dalla sentenza assolutoria riguardava fatti diversi, anche considerando la loro connotazione giuridico fattuale.
Invero la sentenza assolutoria ha accertato che non vi era stata per quella vicenda (commessa il 14 ottobre 2019) la minaccia estorsiva ad opera della ricorrente nei confronti della persona offesa, che aveva dichiarato di aver consegnato la somma per ristorarla delle spese legali sostenute per un processo e per averla presa in giro e che non vi erano fotografie costituenti l’arma del ricatto.
Questo giudizio non è inconciliabile con le vicende estorsive commesse il 27 agosto 2018 e il 7 agosto 2019, in quanto il fatto accertato in sede di assoluzione rimaneva pur sempre la mancanza “in quella occasione” della minaccia estorsiva, che non veniva di per sé a rendere non più sostenibili i diversi fatti oggetto della presente revisione.
Non può essere presa infine in considerazione l’altra ipotesi per la prima voi introdotta dalla difesa in questa sede della lettera c) dell’art. 630 cod. proc. p
3, Il ricorso, per quanto detto, deve essere dichiarato inammissibile, con condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di
euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della soma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle
Ammende.
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Così deciso il 09/05/2025.