Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 44367 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 44367 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 03/10/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da COGNOME NOMECOGNOME nato a Benevento 1’1/4/1972
COGNOME NOME, nato a Castel Campagnano il 27/11/1962 avverso l’ordinanza del 7/6/2024 emessa dalla Corte di appello di Roma visti gli atti, l’ordinanza impugnata e i ricorsi; udita la relazione del consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona della Sostituta Procuratrice generale NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi inammissibili i ricorsi; letta la memoria e le conclusioni formulate dall’Avvocato NOME COGNOME il quale ha chiesto l’accoglimento dei ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
I ricorrenti impugnano l’ordinanza con la quale la Corte di appello di Roma dichiarava l’inammissibilità dell’istanza di revisione, proposta avverso la sentenza
con la quale erano stati riconosciuti colpevoli del reato di partecipazione ad associazione finalizzata al narcotraffico.
Nell’ordinanza impugnata, si dava atto che la revisione era proposta per far valere l’inconciliabilità della sentenza di condanna con quella di assoluzione resa nei confronti di altri associati, ritenendo tuttavia che non vi fosse alcun incompatibilità tra le due sentenze, essendo queste emesse nei confronti di soggetti diversi e senza che fosse stata esclusa l’esistenza dell’associazione.
Avverso tale ordinanza, i ricorrenti hanno formulato un unico motivo di ricorso per violazione di legge e difetto di motivazione.
In punto di diritto, si censura l’affermazione secondo cui la revisione potrebbe operare solo nei confronti di sentenze concernenti il medesimo imputato e gli stessi fatti, non sussistendo rimedi nel caso di contrasto sostanziale tra giudicati formatisi sullo stesso fatto, ma con riguardo a imputati diversi.
Nel merito, si sottolinea come tutti gli imputati giudicati con rito ordinar venivano assolti dal reato associativo, il che si porrebbe in insanabile contrasto con la condanna emessa a carico dei ricorrentì, che avevano optato per il rito abbreviato.
È pur vero che l’assoluzione veniva pronunciata “per non aver commesso il fatto”, formula che lascerebbe ipoteticamente configurabile la sussistenza dell’associazione, tuttavia, le condotte oggetto di quel giudizio erano del tutt sovrapponibili a quelle contestate agli attuali ricorrenti, il che dovrebbe comportare l’estensione nei loro confronti dei medesimi principi che avevano indotto all’assoluzione dei restanti presunti associati.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi sono manifestamente infondati.
Deve in primo luogo darsi atto che il principio di diritto in ordine al delimitazione dell’ambito applicativo della revisione, così come affermato dalla Corte di appello, non è corretto.
Invero, in giurisprudenza si è affermato che la sentenza passata in giudicato ha un’efficacia preclusiva soltanto nei confronti del medesimo imputato e in relazione al medesimo fatto e non sussitono rimedi in caso di contrasto sostanziale di giudicati formatisi sullo stesso fatto in procedimenti diversi per imputati divers Pertanto il contrasto di giudicati rilevante ai fini della revisione di una senten definitiva non ricorre nell’ipotesi in cui lo stesso verta sulla valutazione giuridica
dello stesso fatto operata da giudici diversi (Sez.5, n. 633 del 2/12/2017, dep. 2018, COGNOME, Rv. 271928). Si tratta di un principio formulato non con riguardo ad un ricorso per revisione e in una fattispecie peculiare, connotata da una diversa valutazione giuridica relativa al medesimo fatto storico, che si pone ai limiti dell’obiter dictum.
Per converso, la giurisprudenza ampiamente maggioritaria è propensa a ritenere l’ammissibilità della revisione anche nel caso di più imputati per reato associativo, che siano stati giudicati separatamente e con diversi epiloghi. In tali casi, l’inconciliabilità fra sentenze irrevocabili, di cui all’art. 630, comma 1, lett a), cod. proc. pen., in relazione al reato di associazione per delinquere deve essere intesa con esclusivo riferimento ai casi in cui i fatti storici allegati a sostegno dell’imputazione associativa siano negati in un caso e riconosciuti nell’altro (Sez.2, n. 18209 del 26/2/2020, Popescu Rv. 279446).
Pur dovendosi ritenere errata la premessa operata in diritto nell’ordinanza della Corte di appello, l’esito del giudizio non muta, posto che è stata fornita un’adeguata motivazione circa le ragioni atte ad escludere l’incompatibilità logica tra i fatti accertati nelle sentenze contrastanti.
Nella sentenza assolutoria, infatti, manca l’accertamento di un fatto incompatibile con la ritenuta sussistenza dell’associazione, affermata nel giudizio a carico dei ricorrenti.
La difesa deduce che, a prescindere dalla formula assolutoria utilizzata, vi sarebbe comunque stato l’accertamento dell’intrinseca carenza della struttura associativa.
Tale affermazione, tuttavia, è frutto di una mera deduzione e tende a fondare l’istanza di revisione non già sul dato obiettivo dell’incompatibile ricostruzione del fatto storico, bensì su una interpretazione in bonam partem di una statuizione che non ha escluso affatto l’esistenza dell’associazione.
Invero, si sarebbe potuto prescindere dalla formula assolutoria e ritenere l’incompatibilità con la sentenza di condanna solo ove il numero residuo di presunti partecipi, all’esito delle assoluzioni, fosse divenuto inferiore al limite di legge.
Questa Corte ha già affermato che è suscettibile di revisione la sentenza irrevocabile di condanna di un imputato per il reato di cui all’art. 416-bis cod. pen., allorché sia passata in giudicato la sentenza di assoluzione, per insussistenza del fatto, di tutti gli altri compartecipi dell’associazione, data l’oggettiva incompatibilità tra i fatti storici accertati nelle due sentenze e l’impossibilità di configurare un sodalizio criminale composto da un numero di partecipi inferiore a quello previsto “ex lege”, non venendo, invece, in rilievo una questione di
differente valutazione delle condotte (Sez.2, n. 24324 del 26/4/2022, COGNOME, Rv. 283536).
Tale principio, tuttavia, non è applicabile nel caso in esame, posto che i ricorrenti non hanno neppure dedotto che il numero residuo di partecipi all’associazione risulterebbe inferiore a quello minimo richiesto per la configurabilità dell’associazione.
Alla luce di tali considerazioni, i ricorsi devono essere rigettati, con conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila ciascuno in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende
Così deciso il 3 ottobre 2024 Il Consigliere estensore COGNOME
Il res e te