Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 23792 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 23792 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 07/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME nato il 12/11/1950 a Portogruaro avverso l’ordinanza del 07/01/2025 dalla Corte d’appello di Bologna;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udita la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che chiede che il ricorso sia dichiarato inammissibile.
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza in epigrafe, la Corte d’appello di Bologna dichiarava inammissibile la richiesta di revisione della sentenza del Tribunale di Pordenone, confermata dalla Corte di appello di Trieste, con cui NOME COGNOME era stato
dichiarato responsabile di appropriazione indebita aggravata (artt. 646, 61, n. 11 cod. pen.).
In particolare, osservava come la richiesta di revisione fosse fondata sull’asserita falsità della testimonianza della persona offesa (art. 630, lett. d), cod. proc. pen.) e precisava che la falsa testimonianza era, tuttavia, soltanto allegata all’istanza, non essendo per essa documentato nemmeno l’inizio di un procedimento penale e tantomeno un accertamento passato in giudicato, invece indispensabile, secondo la giurisprudenza di legittimità, ai fini della revisione del processo.
Avverso l’ordinanza ha presentato ricorso NOME COGNOME deducendo, con un unico motivo, vizio di motivazione.
COGNOME è stato condannato per il delitto di appropriazione indebita aggravata di documenti sulla base della sola testimonianza di NOME COGNOME (resa in data 22 settembre 2017), la quale affermò che il ricorrente si era rifiutato di restituire documenti relativi a una causa civile in materia successoria.
Tali affermazioni devono ritenersi, tuttavia, false, dal momento che, se COGNOME si fosse realmente appropriato di tali documenti, l’Avvocato COGNOME non avrebbe potuto iscrivere a ruolo l’atto di citazione in nome e per conto della stessa Martini avanti al Tribunale di Treviso, allegandoli all’atto di citazione.
Tali documenti, dunque, furono depositati in forma cartacea dall’Avvocato nella Cancelleria del Tribunale di Treviso, allegati all’atto di citazione e poi riconsegnati, nella copia rimasta in possesso del professionista, alla Martini che gli aveva revocato il mandato.
Ciò premesso, nel dichiarare inammissibile l’istanza di COGNOME, la Corte d’appello ha richiamato la giurisprudenza di legittimità secondo cui la revisione può essere chiesta, ai sensi dell’art. 630, comma 1, lett. d), cod. proc. pen., solo se la falsità della testimonianza su cui si fonda la condanna sia stata accertata definitivamente con sentenza irrevocabile.
Non ha, tuttavia, considerato che la stessa giurisprudenza fa salvi i casi in cui per i fatti di falsa testimonianza presupposto della revisione sia intervenuta una causa estintiva che impedisce un accertamento principale nel merito.
In tal senso si esprimono Sez. 5, n. 40169 del 24/06/2009, NOME COGNOME Rv. 245189, nonché Sez. 1, n. 1925 del 22/04/1991, COGNOME, Rv. 187247, in cui si specifica che, quando l’ipotizzato delitto di falsa testimonianza è estinto per prescrizione, come avvenuto nel caso di Martini, l’interesse principale all’accertamento della verità sostanziale prevale su quello secondario relativo all’accertamento della responsabilità penale del terzo che, quindi, potrà formare oggetto di indagini incidentali in sede di revisione.
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Si dà, dunque, contraddizione tra la motivazione e il dispositivo della sentenza impugnata, la quale aveva a disposizione la copia integrale della sentenza del Tribunale di Pordenone in cui fu chiesta la revisione, in quanto allegata al ricorso, e che ha omesso di considerare che il reato di falsa testimonianza, commesso il 22 settembre 2017, era ormai estinto per prescrizione sin dal 22 settembre 2023.
La Corte d’appello avrebbe dovuto applicare il principio di diritto indicato e decidere nel merito il ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è manifestamente infondato.
2. Secondo il principio di diritto evocato dalla Corte d’appello nel provvedimento impugnato, «non è ammissibile la richiesta di revisione, che adduca la falsità delle prove o che la condanna è stata pronunciata in conseguenza di falsità in atti o in giudizio o di un altro fatto previsto come reato, in assenza di un accertamento irrevocabile sulla dedotta falsità o sull’esistenza dei fatti criminosi posti a fondamento della condanna» (Sez. 5, n. 40169 del 24/06/2009, NOME COGNOME, Rv. 245189; cfr. anche Sez. 3, n. 4960 del 28/11/2007, dep. 2008, Galli, Rv. 239088, in tema di calunnia, nonché Sez. 1, n. 1925 del 22/04/1991, COGNOME, Rv. 187247).
Ciò detto, è vero che le medesime pronunce citate precisano che, ciò nondimeno, il giudice della revisione può procedere ad un accertamento incidentale «nel caso in cui per i fatti criminosi presupposto della revisione sia intervenuta una causa estintiva che impedisca un accertamento principale nel merito».
Resta però inteso che la “prova nuova” su cui deve basarsi la revisione, perché sia idonea a revocare in dubbio l’accertamento svolto in due gradi di giudizio di merito, deve avere consistenza tale da consentire, da sola o unitamente a quelle già acquisite, di ribaltare il giudizio di colpevolezza dell’imputato (Sez. 2, n. 18765 del 13/03/2018, COGNOME, Rv. 273028).
3. Questo non è il caso in esame.
Da un lato, i Giudici dell’ordinanza impugnata hanno infatti evidenziato come il ricorrente non abbia affatto dimostrato, neanche in forma embrionale, la sussistenza della falsa testimonianza cui ha fatto riferimento, visto che non ha allegato neppure l’inizio di un procedimento penale per tale delitto.
Dall’altro lato, e soprattutto, diversamente da quanto affermato nel ricorso, non corrisponde al vero che l’accertamento di responsabilità di COGNOME sia fondato
sulla sola testimonianza di COGNOME.
Va in fatti ricordato che Sez. 2, n. 35435 del 14/07/2022, nel decidere il ricorso dell’imputato contro la sentenza della Corte d’appello che aveva
confermato la condanna in primo grado, ha basato la declaratoria di inammissibilità, oltre che su tale testimonianza, su quella di altri due testi (tale
COGNOME e il figlio di COGNOME, nonché sull’assoluta genericità e contraddittorietà delle deduzioni difensive che, nel contempo, affermavano e negavano il possesso dei
documenti in questione in capo a Bronzin.
4. Per le ragioni esposte, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento
e al versamento delle somme indicate nel dispositivo, ritenute eque, in favore della
Cassa delle ammende, in applicazione dell’art. 616 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di tremila euro alla Cassa delle ammende.
Così deciso il 07 maggio 2025
Il Consigliere estensore
Il Presidente