Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 9157 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6   Num. 9157  Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 16/01/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
NOME, nata a Finale Ligure il DATA_NASCITA
avverso la ordinanza del 20/07/2023 della Corte di appello di Torino visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME, che ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile.
RITENUTO IN FATTO
Con la ordinanza in epigrafe indicata, la Corte di appello di Torino dichiarava inammissibile l’istanza proposta da NOME COGNOME per la revisione della sentenza irrevocabile di condanna emessa nei suoi confronti per il delitto di peculato in relazione a rimborsi spettanti come consigliere regionale.
Nella istanza la difesa aveva fatto valere l’assoluzione della predetta, intervenuta successivamente per condotte analoghe con riferimento a periodi contigui, giudicate penalmente irrilevanti perché “il fatto non sussiste”.
Secondo la Corte di appello, non si verteva nella ipotesi di giudizi inconciliabili per oggettiva incompatibilità di fatti storici, ma soltanto di differente valutazion giuridica di fatti solo in parte analoghi e in parte diversi, in quanto l’assoluzione era stata basata su una differente interpretazione della normativa vigente.
In particolare, con la sentenza, oggetto dell’istanza di revisione, l’imputata era stata ritenuta responsabile di peculato per spese “non inerenti” e dunque non rimborsabili, mentre la sentenza di assoluzione riguardava il peculato con riferimento a due scontrini, per i quali era stata esclusa la condotta appropriativa, attraverso una diversa interpretazione della normativa vigente.
 Avverso la suddetta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il difensore della COGNOME, denunciando i motivi di annullamento, di seguito sintetizzati conformemente al disposto dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 630 cod. proc. pen.
La ordinanza, oltre a contenere imprecisioni (la sentenza di condanna non riguardava spese di taxi per andare dall’estetista e comunque si trattava di spese irrisorie), cita sentenze di legittimità che si riferiscono a fattispecie diverse. Andava invece applicato il dictum della Corte costituzionale, contenuto nella sentenza n. 28 del 1969, che ha fissato fondamentali regole per la corretta applicazione dell’istituto della revisione nel rispetto del diritto di difesa ex art. 24 Cost.
La nozione di “fatto” evocato dalla Corte di appello è un concetto che si presta ad equivoche interpretazioni restrittive del diritto di difesa e solo recentemente si è data una esegesi più precisa in tema di ne bis in idem.
Il fatto addebitato alla ricorrente non ha ad oggetto la spesa ma la mancanza di un’adeguata rendicontazione che trovava la sua disciplina nella normativa secondaria.
Occorreva per la revisione della sentenza di condanna far riferimento ai fatti – che nella specie erano sovrapponibili – e rispetto a tali fatti i giudici di meri sono pervenuti a soluzioni giudiziarie diverse che non possono essere accettate.
L’orientamento citato dall’ordinanza impugnata non è più attuale, dovendo applicarsi il “diritto vivente” e la soluzione di diritto sostanziale più favorevo all’imputato.
La difesa della ricorrente ha fatto pervenire con pec del 27 dicembre 2023 una memoria difensiva a sostegno dell’impugnazione, evidenziando come i fatti, oggetto delle decisioni in esame, andassero trattati unitariamente, stante la loro inquadrabilità nell’art. 81 cod. pen., risultando inaccettabile che alcuni di essi possano costituire reato e altri siano penalmente irrilevanti.
CONSIDERATO IN DIRITTO
 Il ricorso è da dichiarare inammissibile in quanto declina censure manifestamente infondate.
Come ha condivisibilnnente osservato il Procuratore generale nella requisitoria scritta, secondo la giurisprudenza consolidata in tema di revisione, il concetto di inconciliabilità fra sentenze irrevocabili di cui all’art. 630, comma 1, lett. a), cod. proc. pen., non deve essere inteso in termini di mero contrasto di principio tra due sentenze, bensì con riferimento ad una oggettiva incompatibilità tra i fatti storici su cui queste ultime si fondano (Sez. 6, n. 20029 del 27/02/2014, Rv. 259449; Sez. 6, n. 34927 del 17/04/2018 Rv. 273749); con la conseguenza che la revisione per contrasto di giudicati è ammessa quando la sentenza della quale si chiede la revisione abbia accertato “fatti” inconciliabili con quelli ritenut da altra sentenza, mentre non sono compresi nella categoria degli eventi che giustificano la revisione le diverse valutazioni “in diritto” concernenti gli stessi fat posto che in tale caso si rimetterebbe in discussione una decisione coperta dal giudicato. Esulano, quindi, dalla nozione di fatto sia la valutazione in ordine al suo inquadramento giuridico, sia tutte le valutazioni in diritto relative agli elementi d fattispecie.
Tale lettura è stata accolta anche dalla Corte costituzionale (sentenza n. 129 del 2008) che ha affermato: “il contrasto, che legittima – e giustifica razionalmente – l’istituto della revisione (per come esso è attualmente disciplinato) non attiene alla difforme valutazione di una determinata vicenda processuale in due diverse sedi della giurisdizione penale. Esso ha la sua ragione d’essere esclusivamente nella inconciliabile alternativa ricostruttiva che un determinato “accadimento della vita” – essenziale ai fini della determinazione sulla responsabilità di una persona, in riferimento ad una certa regiudicanda – può aver ricevuto all’esito di due giudizi penali irrevocabili. Nella logica codicistica – secondo una affermazione costante della giurisprudenza di legittimità – il concetto di inconciliabilità fra sentenz irrevocabili, evocato dall’art. 630, comma 1, lettera a), cod. proc. pen., non può essere inteso in termini di contraddittorietà logica tra le valutazioni effettuate nelle due decisioni. Tale concetto deve, invece, essere inteso in termini di oggettiva incompatibilità tra i “fatti” (ineludibilmente apprezzati nella loro dimensione storico-naturalistica) su cui si fondano le diverse sentenze. D’altra parte, ove così non fosse, la revisione, da rimedio impugnatorio straordinario, si trasformerebbe in un improprio strumento di controllo (e di eventuale rescissione) della “correttezza”, formale e sostanziale, di giudizi ormai irrevocabilmente conclu /
Non è la erronea (in ipotesi) valutazione del giudice a rilevare, ai fini della rimozione del giudicato; bensì esclusivamente “il fatto nuovo” (tipizzato nelle varie ipotesi scandite dall’art. 630 del codice di rito), che rende necessario un nuovo scrutinio della base fattuale su cui si è radicata la condanna oggetto di revisione”.
Con l’ordinanza impugnata, la Corte d’appello di Torino si è attenuta ai predetti principi di diritto, avendo evidenziato che, nel caso in esame, veniva in rilievo nella istanza di revisione soltanto in definitiva la diversa valutazione giuridica attribuita da due diversi giudici a fatti in parte analoghi e in parte diversi
Alla stregua di tali rilievi il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
La ricorrente deve, pertanto, essere condannato, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento.
Considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, deve, altresì, disporsi che la ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di tremila euro, in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 1. *1 – ‘/2024.