Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 27054 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 27054 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 03/07/2025
annullato la sentenza della Corte d’appello nissena con rinvio ad altra Sezione per nuovo giudizio.
In data 20/11/2024 la Corte d’appello di Caltanissetta, decidendo in sede di rinvio, ha rigettato la richiesta di revisione della sentenza del Giudice dell’udienza preliminare di Palermo, confermata dalla Corte d’assise del capoluogo siculo e definitiva in data 02/04/2021 condannando gli istanti al pagamento delle spese di quest’ultimo giudizio.
Avverso la sentenza rescissoria hanno proposto nuovamente ricorso per cassazione NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME tramite i rispettivi difensori che deducono quanto segue.
8.1. L’Avv. NOME COGNOME nell’interesse di NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE e di NOME COGNOME, lamenta:
8.1.1. inosservanza o erronea applicazione della legge penale in relazione agli artt. 192 e 530 cod. proc. pen. e mancanza, contraddittorietà ed illogicità della motivazione per travisamento dei fatti: rileva che gli odierni imputati, che avevano optato per definire la propria posizione con rito abbreviato, erano stati condannati per aver fatto parte dell’associazione di stampo mafioso denominata RAGIONE_SOCIALE ma che i coindagati, per i quali si era proceduto con rito ordinario, erano stati assolti con sentenza irrevocabile, per insussistenza del fatto, ovvero perché non era stata raggiunta la prova dell’esistenza del sodalizio; aggiunge che, su tale presupposto, era stata proposta istanza di revisione, fondata sulla considerazione dell’oggettiva inconciliabilità delle due decisioni, respinta dalla Corte d’appello di Caltanissetta con sentenza che la Corte di cassazione aveva annullato con rinvio; osserva che la sentenza che, in sede di rinvio, ha nuovamente respinto l’istanza di revisione, è di fatto priva di motivazione avendo fatto riferimento ad un precedente di legittimità non riferibile al caso di specie ma a quello relativo ad una diversa valutazione di attendibilità dei collaboratori con riguardo a fatti diversi e non già al medesimo fatto che la Corte di cassazione, nella sentenza rescindente, ha ritenuto essere stato correttamente inquadrato dalla Corte d’assise nella decisione assolutoria e diversamente ricostruito nelle due vicende processuali; segnala, ancora, che la Corte territoriale, in sede di rinvio, ha sottolineato come non si vertesse in ipotesi di accertata falsità delle dichiarazioni dei collaboratori ma esclusivamente di valutazione della loro attendibilità, così incorrendo in un travisamento sull’oggetto della revisione, rappresentato dalla verifica del fatto oggetto della contestazione associativa; richiama la più recente giurisprudenza di legittimità in punto di inconciliabilità tra l’affermazione e la negazione dell’esistenza di un’associazione a delinquere di stampo mafioso e censura la
sentenza impugnata anche laddove ha omesso di considerare quella della Corte d’assise del 14/05/2020.
8.2. L’Avv. NOME COGNOME nell’interesse di NOME COGNOME e l’Avv. NOME COGNOME nell’interesse di Emetuwa COGNOME, con ricorsi identici, richiamano in primo luogo l’imputazione e la genesi dell’indagine caratterizzata dalle dichiarazioni di alcuni collaboratori e da intercettazioni telefoniche che avevano consentito ai giudici del merito, nel giudizio abbreviato, di ritenere comprovata l’ipotesi accusatoria dell’esistenza di un sodalizio con le caratteristiche di cui all’art. 416bis cod. pen. le cui finalità erano quelle di affermare il predominio territoriale sulla comunità nigeriana anche indipendentemente da riflessi e finalità di natura patrimoniale; segnalano, tuttavia, che la decisione di condanna, pur definitiva a séguito del rigetto dell’appello e del successivo ricorso per cassazione, si poneva in rapporto di incompatibilità con la assoluzione degli altri coimputati (intervenuta per insussistenza del fatto ed ai sensi del comma primo dell’art. 530 cod. proc. pen.) con sentenza della Corte d’assise di Palermo n. 10/2019, confermata in appello e definitiva per declaratoria di inammissibilità del ricorso del Procuratore generale e sulla cui base era stata avanzata istanza di revisione, respinta dalla Corte d’appello di Caltanissetta con sentenza oggetto di annullamento con rinvio all’esito del quale, tuttavia, la medesima Corte territoriale è pervenuta al medesimo risultato; deducono, perciò, violazione ed inosservanza di legge con riferimento all’art. 627 cod. proc. pen., riportando alcuni passi della sentenza rescindente da cui emergerebbe che i giudici di legittimità avevano insistito sull’esistenza di un contrasto non già sulla diversa valutazione del medesimo fatto ma sull’incompatibilità tra diversi fatti storici; aggiunge che la sentenza rescindente aveva annullato con rinvio la sentenza impugnata sul rilievo della inattendibilità, equivalente a falsità, delle dichiarazioni dei collaboratori, oggetto quantomeno di artata manipolazione; osserva che, su tale presupposto, la Corte nissena avrebbe dovuto pervenire all’accoglimento dell’istanza di revisione non potendo disattendere il mandato conferitole ai sensi dell’art. 627 cod. proc. pen. facendo rientrare nel merito della valutazione della prova dichiarativa un accertamento positivo ormai insuperabile.
La Procura Generale ha trasmesso la requisitoria scritta concludendo per l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata.
La difesa di NOME COGNOME ha trasmesso una memoria con cui insiste nell’accoglimento del ricorso condividendo le considerazioni sviluppate dalla Procura generale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono infondati.
Gli odierni ricorrenti, all’esito del giudizio celebrato con rito abbreviato, erano stati riconosciuti responsabili del delitto di cui all’art. 416bis cod. pen. ‘… per aver fatto parte dell’organizzazione mafiosa nigeriana RAGIONE_SOCIALE … e per essersi … avvalsi della forza di intimidazione del vincolo associativo ed della condizione di assoggettamento ed omertà che ne deriva, per commettere reati contro la vita, l’incolumità individuale, la libertà personale, il patrimonio, per acquistare in modo diretto o indiretto la gestione o, comunque, il controllo di attività economiche (ad esempio, attività illecite di riscossione crediti o di sfruttamento e controllo della prostituzione e del traffico di stupefacenti) per realizzare profitti e vantaggi ingiusti per sé e per gli altri …’.
La sentenza di condanna, come anticipato nel ‘ritenuto in fatto’, pronunciata dal Giudice dell’udienza preliminare di Palermo, era stata confermata dalla Corte d’assise d’appello del capoluogo siculo e, da ultimo, validata con sentenza della Corte di cassazione che aveva respinto i ricorsi proposti dalle difese.
Nel contempo, i coimputati che avevano optato per il rito ordinario, con sentenza della Corte d’assise di Palermo del 08/11/2019, erano stati assolti dall’imputazione associativa – ai sensi dell’art. 530 cpv. cod. proc. pen. – per insussistenza del fatto (cfr., sulla formula assolutoria, pag. 1 della sentenza della Corte d’assise d’appello del 15/03/2022); l’assoluzione era divenuta definitiva a séguito della declaratoria di inammissibilità del ricorso per cassazione proposto dalla Procura generale presso la Corte d’appello di Palermo, intervenuta con sentenza di questa Corte del 21/02/2023.
Ed è per l’appunto deducendo la oggettiva inconciliabilità delle due decisioni che gli odierni ricorrenti avevano proposto istanza di revisione ai sensi dell’art. 630, comma 1, lett. a), cod. proc. pen.; avevano infatti sostenuto che l’affermazione dell’esistenza del sodalizio di stampo mafioso non poteva conciliarsi con l’opposta affermazione contenuta nella sentenza di assoluzione ‘perché il fatto non sussiste’.
La Corte d’appello di Caltanissetta, investita dell’istanza di revisione, che aveva giudicato ammissibile, aveva tuttavia concluso nel senso che i diversi
approdi decisori – di condanna ed assolutorio – fossero stati il frutto di un diverso apprezzamento delle prove e, in particolare, di una diversa valutazione delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia sia in termini di attendibilità che di convergenza tra le diverse propalazioni.
5. La sentenza di rigetto dell’istanza di revisione era stata oggetto di ricorso per cassazione da parte delle difese che ne avevano denunziato l’illegittimità sotto il profilo della violazione di legge e del vizio di motivazione anche per travisamento dei fatti.
6. La Corte di cassazione, con la sentenza del 09/07/2024, aveva annullato la sentenza impugnata sostenendo che l’istanza di revisione troverebbe fondamento nel fatto che ‘… le sentenze di merito della Corte di Assise di Palermo in data 08/11/2019 e della Corte di Assise di appello di Palermo in data 15/03/2022, emesse nel parallelo giudizio a carico di coimputati degli odierni ricorrenti, accusati di avere ricoperto ruoli di vertice nell’ambito dell’associazione criminale in esame, non solo hanno prosciolto gli imputati per assoluta inattendibilità delle fonti testimoniali d’accusa, ma hanno addirittura escluso l’esistenza nel territorio italiano di una specifica struttura unitaria costituente articolazione locale (cd. Zone) dell’associazione criminale nigeriana denominata RAGIONE_SOCIALE, della quale è stata parimenti esclusa l’esistenza di una cellula locale ubicata in Palermo denominata Forum’ ; i giudici della fase rescindente avevano inoltre fatto presente che ‘… a tali pronunce deve aggiungersi quella emessa da questa Sezione Sesta, n. 1444 del 21/02/2023, PG in proc. e COGNOME, non mass. che ha sancito l’impossibilità di ricondurre automaticamente la cellula territoriale denominata Forum di Palermo all’organizzazione criminale nigeriana denominata RAGIONE_SOCIALE‘ e che ‘… i ricorrenti sono stati condannati in giudizio abbreviato in quanto partecipi della RAGIONE_SOCIALE attraverso la partecipazione al Forum, la cui esistenza è stata o esclusa o quantomeno non correlata alla RAGIONE_SOCIALE Axe da altre pronunce ed i cui presunti capi sono stati, comunque, assolti’.
La sentenza di annullamento aveva inoltre chiarito che ‘… risulta assodato che nessuna delle sentenze citate ha messo in dubbio né ha escluso l’esistenza dell’associazione criminale nigeriana RAGIONE_SOCIALE, è altrettanto pacifico che i ricorrenti sono stati condannati per averne fatto parte in quanto membri del cd. Forum di Palermo, la cui esistenza o quanto meno la cui riconducibilità alla RAGIONE_SOCIALE è stata, come anzidetto, esclusa con il conseguente proscioglimento dei dirigenti’.
Più in particolare, aveva spiegato che ‘… le citate pronunce delle Corti di assise di Palermo costituiscono, in particolare, il portato diretto di una valutazione di totale inattendibilità delle fonti probatorie testimoniali d’accusa, sì da indurre coerentemente i Giudici di merito ad esprimere un giudizio di sostanziale falsità di quegli elementi di prova. Non mancano, infatti, anche nella giurisprudenza di questa Corte di legittimità pronunce che, operando un distinguo rispetto al prevalente orientamento interpretativo, hanno affermato che, ai fini dell’accoglimento o meno della richiesta di revisione, quando il giudicato di condanna si fonda soprattutto su prove testimoniali, ove queste abbiano concorso a formare il libero convincimento del giudice, solo la dimostrazione (positiva) della loro falsità è suscettibile di essere utilizzata come supporto ad una richiesta di revisione della sentenza e non già il mero dubbio postumo della loro affidabilità (…)’.
I giudici della fase rescindente avevano, a tal proposito, richiamato un passo di quella della Corte d’assise d’appello di Palermo del 15/03/2022 in cui si legge che ‘alla stregua delle esposte considerazioni, va dunque condiviso il giudizio espresso dai primi Giudici in ordine alla convergenza meramente apparente delle dichiarazioni rese dai collaboratori -inidonee, pertanto, a riscontrarsi reciprocamente secondo il paradigma della convergenza del molteplice – avuto riguardo ai rassegnati profili di criticità e alle incongruità caratterizzanti il racconto degli stessi (che inducono a dubitare finanche della partecipazione fisica di costoro alla festa del 7 luglio 2013 nonché alle asserite connotazioni occulte della medesima)’.
Avevano pertanto affermato che, quello formulato dalle sentenze di assoluzione, sarebbe stato un ‘… u n giudizio di inattendibilità, dunque, equipollente ad uno di completa falsità dei dichiaranti o quanto meno di artata manipolazione da parte di essi della indicazione e ricostruzione stessa degli eventi’.
Di cui, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio.
Non è inutile, in primo luogo, ribadire che il concetto di inconciliabilità fra sentenze irrevocabili di cui all’art. 630, comma 1, lett. a), cod. proc. pen., non deve essere inteso in termini di mero contrasto di principio tra due sentenze, bensì con riferimento ad una oggettiva incompatibilità tra i fatti storici su cui queste ultime si fondano (cfr., in tal senso, Sez. 6, n. 20029 del 27/02/2014, Corrado, Rv. 259449-01; Sez. 6, n. 34927 del 17/04/2018, COGNOME, Rv. 273749-01).
In definitiva, la revisione per contrasto di giudicati è ammessa quando la sentenza della quale si chiede la revisione abbia accertato “fatti” inconciliabili con quelli ritenuti da altra sentenza, mentre non sono compresi nella categoria degli eventi che giustificano la revisione le diverse valutazioni “in diritto” concernenti gli stessi fatti, dato che in tale caso si rimetterebbe in discussione una decisione coperta dal giudicato.
Deve essere chiarito che il “fatto” è integrato dalla sequela “condotta-nesso causale-evento” e che esulano da tale nozione sia la valutazione in ordine al suo inquadramento giuridico, sia tutte le valutazioni in diritto relative agli elementi di fattispecie; la giurisprudenza ha, infatti, escluso dall’area della revisione tutti gli eventi valutativi e, dunque, anche le divergenze generate dalla valutazione dei compendi probatori differenti in ragione della diversità del rito: si è infatti affermato che non è invocabile l’ipotesi di revisione di cui all’art. 630, comma 1, lett. a) cod. proc. pen., della sentenza di applicazione della pena sul presupposto dell’intervenuta successiva sentenza di assoluzione all’esito di giudizio ordinario nei confronti del coimputato non patteggiante, diverso essendo il criterio di valutazione proprio dei due riti, di per sé tale da condurre fisiologicamente ad esiti opposti (cfr., Sez. 3, n. 23050 del 23/04/2013, COGNOME, Rv. 256169-01); allo stesso modo, si è chiarito che non sussiste contrasto fra giudicati agli effetti dell’art. 630, comma 1, lett. a), cod. proc. pen. se i fatti posti a base delle due decisioni, attribuiti a più concorrenti nel medesimo reato, siano stati identicamente ricostruiti dal punto di vista del loro accadimento oggettivo ed il diverso epilogo giudiziale sia il prodotto di difformi valutazioni di quei fatti – specie se dipese dalla diversità del rito prescelto nei separati giudizi e dal correlato, diverso regime di utilizzabilità delle prove – dovendosi intendere il concetto di inconciliabilità fra sentenze irrevocabili non in termini di mero contrasto di principio tra le decisioni, bensì con riferimento ad un’oggettiva incompatibilità tra i fatti storici su cui esse si fondano (cfr., Sez. 6, n. 16477 del 15/02/2022, COGNOME, Rv. 283317-01, in cui la Corte, in una fattispecie di turbata libertà degli incanti, ha ritenuto immune da censure il rigetto dell’istanza di revisione avanzata dall’istigatore, condannato in sede di giudizio abbreviato, in relazione alla assoluzione “perché il fatto non sussiste” pronunciata, in esito a giudizio ordinario, in favore dei soggetti istigati; cfr., ancora, Sez. 1, n. 6273 del 03/02/2009, COGNOME, Rv. 243231-01 in cui, ancòra una volta, la Corte ha ribadito che non è ammessa la revisione della sentenza di condanna fondata sugli stessi dati probatori utilizzati dalla sentenza di assoluzione nei confronti di un concorrente nello stesso reato e pronunciata in un diverso procedimento, in quanto la revisione giova a emendare l’errore di fatto e non la valutazione del fatto).
La declinazione di tali principi all’ipotesi del delitto di associazione a delinquere, reato a concorso necessario, ha posto il problema dell’assoluzione di alcuni imputati e della conseguente ammissibilità della revisione della sentenza pronunciata nei confronti degli altri associati per i quali era intervenuta una decisione di condanna.
Ebbene, è pacifico che qualora, con la sentenza di assoluzione, si finisca per “destrutturare”, il fatto associativo riducendo il numero degli associati al di sotto di quello minimo (di tre) previsto dalla fattispecie astratta, è praticabile l’istanza di revisione atteso che l’esclusione, con sentenza definitiva, della presenza del numero minimo di partecipanti all’associazione implica non un semplice contrasto valutativo in relazione alle posizioni dei coimputati del medesimo reato, ma il venir meno degli stessi elementi costitutivi del reato oggetto della sentenza di cui si chiede la revisione (cfr., così, ad esempio, Sez. 1, n. 43516 del 06/05/2014, COGNOME, Rv. 260702-01).
Qualora, invece, come nel caso in esame, la condanna riguarda un numero di associati (uguale o maggiore a tre), comunque sufficiente per integrare la fattispecie associativa e la assoluzione riguardi “ulteriori” associati, al fine di verificare se via sia contrasto tra giudicati occorre accertare se alla base delle decisioni in conflitto ci sia un diverso accertamento dei fatti oggetto di giudizio o, piuttosto, una diversa valutazione degli elementi allegati a sostegno dell’accusa; a tal proposito, si è naturalmente evidenziato che siffatta diversa valutazione può essere necessitata anche dalla applicazione delle diverse regole che governano il giudizio a prova contratta rispetto a quello a prova piena (cfr., Sez. 2, n. 18209 del 26/02/2020, COGNOME, Rv. 279446-01).
La sentenza ‘ COGNOME ‘ ha evidenziato come, proprio con riguardo al fatto associativo, sia diffuso un orientamento secondo cui il fatto associativo penalmente rilevante non è il frutto di una qualificazione giuridica applicata a determinate relazioni umane, ma un fenomeno materiale con proprie caratteristiche strutturali, cui accedono condotte connotate dal dolo punibile (così, Sez. 6, n. 695 del 03/12/2013, dep. 2014, Gullo, Rv. 257849-01): si tratta di una impostazione che ‘… rifiuta la possibile dematerializzazione delle condotte e degli eventi materiali che osservati in modo prospettico ed unitario potrebbero indicare l’esistenza dell’associazione e che, pertanto, nega l’attrazione nell’area della valutazione dell’accertamento della fattispecie associativa, ovvero dell’esistenza del pactum sceleris e della relativa organizzazione nonostante la conferma dell’esistenza dei fatti storici allegati per l’accertamento dell’integrazione del reato associativo’ (cfr., ivi).
Si è tuttavia osservato che queste conclusioni, che finiscono con il negare la natura sovrastrutturale del reato associativo riconoscendogli una consistenza fenomenica indipendente dalle valutazioni giudiziarie, se è condivisibile con riferimento a fenomeni associativi stabili e radicati, come quelli di stampo mafioso ‘tradizionale’, non è automaticamente mutuabile con riguardo ad associazioni meno strutturate e riconoscibili sulla base dell’emersione di una minima struttura organizzativa ovvero non ancora affermate sul territorio, poiché in tali casi il riconoscimento dell’associazione – prettamente caratterizzata ai sensi dell’art. 416bis cod. pen. – finisce con l’essere il frutto di una operazione valutativa suscettibile di approdare ad esiti differenti nonostante il riconoscimento dell’esistenza degli stessi elementi di fatto (cfr., Sez. 2, n. 18209 del 26/02/2020, cit.).
In altri termini, il ‘fatto’ associativo non è sempre ed automaticamente riconducibile ad un mero “fenomeno materiale” assolutamente indipendente dalle valutazioni giudiziali; il riconoscimento dell’esistenza dell’associazione, sul piano della rilevanza penale (e della sua tipologia), soprattutto nei casi in cui l’organizzazione del consorzio contestato è minima ovvero la sua presenza è recente, può essere invece il risultato di una valutazione giuridica, ontologicamente “sovrastrutturale”, che non è materia di ‘revisione’ proprio per la sua natura “valutativa”: l’associazione è, infatti, riconosciuta o negata sulla base della valutazione giudiziaria di un compendio di eventi materiali che sono sottoposti ad una valutazione giudiziaria che può non essere omogenea anche in ragione del compendio probatorio disponibile in relazione al rito prescelto (cfr., ancora, ivi).
Nel caso che ci occupa, peraltro, la lettura delle due sentenze che, in sede di legittimità, hanno concluso i due diversi percorsi processuali caratterizzati, come detto, da riti differenti e da un diverso regime probatorio, consente di apprezzare come le valutazioni finali circa l’acquisizione della prova della esistenza di un sodalizio riconducibile al paradigma delineato dall’art. 416bis cod. pen. fosse stato il frutto, anche ed in particolare, di una serie di valutazioni in punto di ricostruzione ermeneutica della fattispecie incriminatrice con riguardo non soltanto al coefficiente probatorio ma, prima ancora, alle condizioni richieste per poter qualificare il sodalizio in termini di mafia ‘delocalizzata’; è noto che, da taluno, a tal fine è sufficiente la prova del collegamento del sodalizio locale con la casa ‘madre’ da cui si ritenga possa derivare una forza di intimidazione “intrinseca”; da altri, invece, che, ai fini della configurabilità della natura mafiosa della diramazione di un’associazione costituita fuori dal territorio di origine di quest’ultima, è necessario che l’articolazione del sodalizio sprigioni nel nuovo
contesto territoriale una forza intimidatrice che sia effettiva ed obiettivamente riscontrabile.
8. Nel caso di specie, va rilevato che la stessa sentenza rescindente ha fatto presente che quella che aveva dichiarato inammissibile il ricorso del Procuratore Generale della Corte d’appello di Palermo aveva sancito ‘… l’impossibilità di ricondurre automaticamente la cellula territoriale denominata Forum di Palermo all’organizzazione criminale nigeriana denominata RAGIONE_SOCIALE‘ aggiungendo che ‘… i ricorrenti sono stati condannati in giudizio abbreviato in quanto partecipi della RAGIONE_SOCIALE attraverso la partecipazione al Forum, la cui esistenza è stata o esclusa o quantomeno non correlata alla RAGIONE_SOCIALE da altre pronunce ed i cui presunti capi sono stati, comunque, assolti’.
In altri termini, è dallo stesso tenore della decisione rescindente che si desume che il ‘fatto’ associativo non era stato escluso in termini assoluti atteso che la assoluzione finale era stato il frutto, piuttosto, di una valutazione sulla riconducibilità del gruppo palermitano al sodalizio di origine nigeriana, di pacifica impronta ‘mafiosa’.
In questa complessa ed articolata valutazione avevano avuto un peso decisivo le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia che erano stati ritenuti pienamente attendibili e reciprocamente riscontrati nel giudizio abbreviati (culminato nella sentenza della Seconda Sezione penale di questa Corte n. 24494 del 02/04/2021) ed invece assolutamente inattendibili (fino a sconfinare in un giudizio di ‘… completa falsità dei dichiaranti o quanto meno di artata manipolazione da parte di essi della indicazione e ricostruzione stessa degli eventi’ ) dalla sentenza di assoluzione.
La sentenza rescindente ha d’altra parte evocato quel filone giurisprudenziale secondo cui ‘ ai fini dell’accoglimento o meno della richiesta di revisione, quando il giudicato di condanna si fonda soprattutto su prove testimoniali, ove queste abbiano concorso a formare il libero convincimento del giudice, solo la dimostrazione (positiva) della loro falsità è suscettibile di essere utilizzata come supporto ad una richiesta di revisione della sentenza e non già il mero dubbio postumo della loro affidabilità’.
Va detto, a tal proposito, che le decisioni rese sul punto hanno avuto cura di chiarire che quando il giudicato di condanna si fonda soprattutto su prove testimoniali, ove queste abbiano concorso a formare il libero convincimento del giudice, solo la dimostrazione (positiva) della loro falsità è suscettibile di essere utilizzata come supporto ad una richiesta di revisione della sentenza, e non già il
mero dubbio postumo della loro affidabilità (cfr., Sez. 3, n. 1554 del 28/04/1999, COGNOME COGNOME Rv. 214002-01; Sez. 2, n. 2151 del 23/10/2020, COGNOME, Rv. 280516-01; conf., tra le non massimate, Sez. 5, n. 24640 del 09/02/2022, Bruno).
Le suesposte considerazioni, sia in merito alla divergente ricostruzione del ‘fatto associativo’ che, poi, alla valutazione della ‘falsità’ delle dichiarazioni su cui era stata fondata la sentenza di condanna, consentono di ritenere non censurabile l’impostazione seguita la Corte d’appello di Caltanissetta che, giudicando in sede di revisione, ha inteso il ‘mandato’ conferitole come diretto a verificare se, effettivamente, le sentenze di assoluzione contenessero un giudizio di questa natura, ovvero di conclamata e (positivamente) accertata falsità delle dichiarazioni dei collaboratori piuttosto che una valutazione – quand’anche severa anche nei toni – di inaffidabilità del dichiarato.
In altri termini, la sentenza rescindente non ha – e non avrebbe potuto farlo trattandosi di un approdo prettamente di merito – attestato che le sentenze assolutorie avevano escluso in rerum natura l’esistenza del gruppo evocato nell’imputazione, limitandosi a segnalare che le decisioni di opposto segno avevano messo in dubbio la sua riconducibilità e riferibilità a gruppi criminali consolidati; per altro verso non ha – ed ancora una volta non poteva evidentemente farlo – attestato la ‘falsità’ dei dichiaranti limitandosi a richiamare un passaggio della sentenza della Corte d’assise d’appello del 15/03/2022 che aveva espresso un giudizio severo (anche sul piano lessicale) sulla loro effettiva affidabilità.
Si tratta, infatti, di valutazioni che erano state correttamente rimesse al giudice del rinvio che, come giudice di merito, aveva il compito esclusivo di procedere ad una rilettura delle decisioni in contrasto per verificarne l’assoluta incompatibilità sotto il profilo, per l’appunto, della accertata falsità delle dichiarazioni che avevano portato alla condanna.
Va anzi ribadito quello che è l’oggetto della valutazione consentita al giudice della revisione chiamato a verificare la sussistenza di una oggettiva incompatibilità tra giudicati che non è quello di operare una rivalutazione delle fonti di prova già vagliate dai giudici di merito ma di verificare se, effettivamente, la sentenza che si assume incompatibile con quella di condanna (di cui si chiede la revisione) abbia essa (e non già il giudice della revisione e tantomeno il giudice di legittimità) accertato la falsità del dichiarante.
Ed è in questo quadro che, correttamente, si è mossa la sentenza qui in verifica premettendo che il giudizio rescissorio aveva ad oggetto ‘il profilo dell’accertamento – tipico del giudizio di merito – della falsità delle dichiarazioni
testimoniali rese dai collaboratori di giustizia e oggetto di valutazione da parte della sentenza assolutoria emessa l’8 novembre 2019 dalla Corte di assise di Palermo confermata, in data 15 marzo 2022, dalla Corte di Assise di appello di Palermo’ (cfr., pag. 5 della sentenza impugnata).
Detto questo, i giudici nisseni hanno ritenuto che ‘dalla disamina congiunta dei provvedimenti assolutori resi in entrambi i gradi di giudizio, non sia emerso alcun positivo accertamento della falsità delle stesse’ e, riportando ampi passi della sentenza di assoluzione in primo grado, hanno spiegato che ‘… si tratta, a ben vedere, quella contenuta nel prefato provvedimento, di una valutazione di inattendibilità delle dichiarazioni rese dai collaboratori in ragione della genericità del racconto, dell’esistenza di contraddizioni relative alla organizzazione di RAGIONE_SOCIALE, che mai nella sentenza vengono tacciate di falsità, ma piuttosto sono ritenute inidonee a fondare una sentenza di accertamento della penale responsabilità’ (cfr., ivi, pag. 8).
La Corte d’appello (cfr., ivi, pagg. 8-10) ha quindi riportato ulteriori passi della sentenza della Corte d’assise d’appello di Palermo del 15/03/2023 (pagg. 810) ribadendo come anche in quella sede non si fosse mai giunti a parlare di falsità delle dichiarazioni dei collaboratori aggiungendo che le sentenze avevano pronunciato ‘non già un’assoluzione piena ma una assoluzione conseguente al mancato superamento del canone dell’oltre ogni ragionevole dubbio’ (cfr., ancora, ivi, pag. 10); ha pertanto concluso sostenendo che ‘non può dirsi, dunque, che nei predetti procedimenti si sia avuto un accertamento positivo della falsità delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, unico presupposto che, secondo la minoritaria giurisprudenza valorizzata dalla Corte di cassazione remittente, potrebbe fornire supporto ad una richiesta di revisione della sentenza’ (cfr., ancora, ivi).
Si tratta di valutazioni che non sono censurabili in questa sede perché correttamente ancorate al tenore della decisione asseritamente ‘incompatibile’ e, per altro verso, non certo in contrasto con la corretta ed unica interpretazione del mandato conferito dalla sentenza rescindente.
10. Le suesposte considerazioni comportano il rigetto dei ricorsi e la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così è deciso, 03/07/2025