Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 24572 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 24572 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 18/06/2025
SENTENZA
Sul ricorso proposto da: COGNOME nato il 08/11/1965 a ROMA avverso la sentenza in data 04/07/2023 della CORTE DI APPELLO DI PERU-
GIA;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
sentita la requisitoria del Pubblico ministero, nella persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per l ‘inammissibilità del ricorso;
sentito l’Avvocato NOME COGNOME che ha illustrato i motivi d’impugnazione e ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
NOME COGNOME per il tramite del proprio procuratore speciale, impugna la sentenza in data 04/07/2024 della Corte di appello di Perugia, che ha rigettato l’istanza di revisione della sentenza in data 30/06/2008, pronunciata ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen. dal G. i.p. Tribunale di Roma (irrevocabile il 18/09/2008), in relazione ai reati di tentativo di rapina aggravata, furto aggravato e associazione per delinquere.
Deduce:
Vizio di motivazione in relazione agli artt. 416 cod. pen., 630, 631 e 531 cod. proc. pen..
Il ricorrente sostiene l’inconciliabilità tra la sentenza pronunciata nei suoi confronti in data 30/06/2008 dal G.i.p. del Tribunale di Roma e la sentenza pronunciata nei confronti di altri coimputati, in data 17/07/2014, dal Tribunale di Roma , all’esito del dibattimento .
In particolare, osserva che, con la sentenza di patteggiamento, veniva condannato per il delitto di associazione per delinquere contestato al capo 2), mentre i suoi coimputati, all’esito del giudizio ordinario, venivano assolti dal medesimo delitto di associazione per delinquere, sempre contestato al capo 2) della rubrica.
Il ricorrente premette che nel giudizio celebrato con il rito ordinario i coimputati erano stati assolti per il reato di associazione per delinquere contestato al capo 2); che il reato di tentativo di rapina aggravata contestato al capo UU era stato riqualificato in termini di tentativo di furto; che, in relazione ai reati di furto aggravato contestato ai capi TT, erano state riconosciute circostanze attenuanti generiche in misura equivalente alle contestate aggravanti.
Precisa , dunque, che l’istanza di revisione era stata avanzata per l’incompatibilità tra i contenuti della sentenza pronunciata nei suoi confronti e quella pronunciata nei confronti dei coimputati.
2.1. Osserva che la Corte di appello ha rigettato l’istanza di revisione in relazione al reato associativo sul presupposto che la sentenza assolutoria era stata pronunciata con la formula terminativa ‘per non aver commesso il fatto’, precisando che essa non aveva riguardato le posizioni di COGNOME, COGNOME e COGNOME.
Il ricorrente evidenzia, dunque, che COGNOME e COGNOME non erano imputati per l’associazione di cui al capo 2, sottolineando che «è infatti possibile che con riferimento alla contestata associazione per delinquere- le posizioni dei primi due siano state oggetto di provvedimenti di archiviazione o che siano state registrate cause di estinzione per quel reato».
Con riguardo a Messina osserva che quello, con diversa sentenza datata 30/06/2008, veniva assolto dal delitto associativo, perché il fatto non sussiste.
Con riguardo alla mancata pronuncia assolutoria nei confronti di COGNOME e COGNOME, osserva che dalle sentenze di condanna pronunciate nei confronti di COGNOME, COGNOME e COGNOME non era possibile ricavare elementi per ritenere sussistente un’associazione per delinquere.
Sostiene, dunque, come sulla base della motivazione della sentenza del Tribunale di Roma in data 17/07/2014, la formula assolutoria per il reato associativo doveva essere perché il fatto non sussiste, e non con la formula per non aver commesso il fatto.
Secondo il ricorrente la diversa formula terminativa utilizzata nella sentenza è frutto di un evidente errore materiale, dato che la motivazione spiega che non emergevano elementi utili a ritenere la sussistenza dell’associazione.
A sostegno dell’assunto vengono illustrati e compendiati i contenuti della motivazione, sottolineando come in caso di contrasto tra dispositivo e motivazione, la regola della prevalenza del dispositivo possa essere superato in presenza di un errore materiale obiettivamente rilevabile.
2.2. Tutti tali temi sono stati ulteriormente approfonditi con motivo aggiunto pervenuto il 31.05.2025, con quale si è altresì dedotta l’incompatibilità «della sentenza ex art. 444 cpp del Gup di Roma con la sentenza del Tribunale di Roma: gli originari reati contestati alla lett. UU del capo d’imputazione (artt. 56 e 628, comma 1 e 2, c.p.) in quelli più lievi ex artt. 56-624-625, n. 2, cp, previo riconoscimento delle attenuanti generiche in misura equivalente alle contestate aggravanti46 e i soli reati di cui alle lett. TT (artt. 624, commi 2 e 5, cp) ha riconosciuto le attenuanti generiche in misura equivalente alle aggravanti contestate per tutti i coimputati».
2.3. E’ pervenuta anche una memoria di replica alla requisitoria del pubblico ministero.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso é fondato, nei termini di seguito specificati.
1.1. Il ricorrente sostiene l’inconciliabilità tra la sentenza pronunciata nei suoi confronti , ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen., in data 30/06/2008 dal G.i.p. del Tribunale di Roma e la sentenza pronunciata nei confronti di altri coimputati in data 17/07/2014, sempre dal Tribunale di Roma, in esito al dibattimento.
In particolare, osserva che con la sentenza di patteggiamento, veniva condannato per il delitto di associazione per delinquere, mentre i suoi coimputati, all’esito del giudizio ordinario, venivano assolti dal medesimo delitto di associazione per delinquere.
2. La corte di appello ha rigettato l’istanza di revisione osservando che gli altri coimputati erano stati assolti ‘per non aver commesso il fatto’, così che veniva lasciata aperta la possibilità che altri avessero perpetrato il delitto associativo.
I giudici di merito, inoltre, precisavano che non si doveva guardare alla sola sentenza pronunciata dal Tribunale di Roma con le forme del giudizio ordinario, ma anche alle ulteriori sentenze pronunciate nei confronti di altri coimputati, i quali avevano anch’essi riportato condanna per il medesimo delitto di associazione per delinquere.
A tale riguardo, i giudici della corte di merito hanno osservato che COGNOME era stato condannato con sentenza di patteggiamento e che COGNOME era stato condannato all’esito del giudizio abbreviato, così che era sussistente il requisito
del numero minimo di tre persone richiesto per la configurazione dell’assoc iazione per delinquere.
1.3. A fronte di ciò, il ricorrente osserva che, nella motivazione della sentenza pronunciata in esito al dibattimento, veniva più volte affermata l’insussistenza di elementi utili a ritenere configurata l’associazione per delinquere e che tali elementi non si rintracciavano neanche dalle sentenze pronunciate nei confronti di Portaccio, Greco e COGNOME.
Secondo il ricorrente, inoltre, il tribunale di Roma, con la sentenza datata 17/07/2014, avrebbe dovuto assolvere con la formula perché il fatto non sussiste e non per non aver commesso il fatto, in ragione della motivazione esibita su tale capo d’imputazione .
1.4. Le censure sono fondate proprio in relazione a tale ultimo profilo.
Risulta utile premettere che l’associazione di cui si tratta è la medesima considerata nella sentenza di patteggiamento pronunciata nei confronti di Portaccio e nella sentenza del Tribunale di Roma in data 17/07/2014, che ha assolto i coimputati dell’odierno ricorrente per il reato di cui all’art. 416 cod. pen. loro contestato.
Va, dunque, rilevato che, dalla lettura della motivazione di tale sentenza assolutoria, i giudici si esprimono in maniera inequivoca nel senso dell’insussistenza di una struttura organizzativa stabile, necessaria per la configurazione del delitto di associazione per delinquere.
«In ragione di tali premesse giuridiche -si legge alla pagina 18 della motivazioneva rilevato, quanto al caso in esame, che l’attività istruttoria espletata in dibattimento non ha fornito una chiara e puntuale dimostrazione della esistenza di una struttura organizzativa destinata alla commissione di un numero indefinito di delitti contro il patrimonio. . Non emerge alcun dato obiettivamente rilevante che faccia ritenere che gli stessi soggetti avessero costituito uno stabile e duraturo sodalizio effettivamente funzionale alla commissione anche di altri, indefiniti e ulteriori delitti contro il patrimonio».
Il Tribunale, poi, alla pagina 19, conclusivamente osserva: «In ragione di quanto fin qui argomentato, allora, non può che essere emessa una pronuncia assolutoria, quantomeno ai sensi dell’art. 530, comma 2, cod. proc. pen., per il delitto associativo di cui al numero 2 della rubrica perché il fatto non sussiste, mancando la prova certa della sussistenza del requisito della finalizzazione della struttura alla commissione non di specifici delitti, bensì di una serie indeterminata di reati contro il patrimonio».
Nonostante l’evidente esclusione della sussistenza del fatto associativo per la mancanza di una stabile struttura organizzata, i giudici, nel dispositivo, hanno assolto gli imputati per non aver commesso il fatto.
Il ricorrente ha correttamente osservato che tale formula terminativa risulta in inconciliabile contrasto con la motivazione e che in questa ipotesi deve ritenersi prevalente quanto contenuto nella motivazione e non quanto statuito con il dispositivo.
In effetti, a fronte di tale evenienza, questa Corte ha già avuto modo di affermare che «in caso di contrasto tra dispositivo e motivazione della sentenza, la regola della prevalenza del dispositivo, in quanto immediata espressione della volontà decisoria del giudice, non è assoluta, ma va contemperata, tenendo conto del caso specifico, con la valutazione degli elementi tratti dalla motivazione, che conserva la sua funzione di spiegazione e chiarimento delle ragioni della decisione e che, pertanto, ben può contenere elementi certi e logici che facciano ritenere errato il dispositivo o parte di esso» (Sez. 3, n. 3969 del 25/09/2018, dep. 2019, Rv. 275690 -01; conforme, non massimata, Sez. 3, n. 36768 del 10/07/2024, Di Piazza).
Ne discende che i giudici della revisione, nell’apprezzare l’eventuale inconciliabilità opposta dal ricorrente, non si sarebbero dovuti limitare a valorizzare il dato formale della statuizione contenuta nel dispositivo, ma avrebbero dovuto verificare se il contenuto della motivazione non contenesse profili -in ipotesi- inconciliabili con la sentenza di cui si chiede la revisione.
A ciò si aggiunga che, sempre nella sentenza assolutoria del 17/07/20214, i giudici osservavano anche che non si traevano elementi utili ai fini della configurazione del reato associativo dalle sentenze pronunciate nei confronti di Portaccio, Greco e COGNOME. Sentenze che, invece, vengono valorizzate per escludere l’inconciliabilità nella sentenza oggi impugnata, così dimostrandosi ulteriormente che i giudici non hanno considerato i contenuti argomentativi della sentenza di cui si denuncia l’inconciliab ilità.
Tali rilievi conducono all’annullamento della sentenza impugnata, con rinvio alla Corte di appello di Firenze per nuovo giudizio, in occasione del quale si terrà presente che, come ben evidenziato da Sez. 2, n. 24324 del 26/04/2022, COGNOME, Rv. 283536 – 01, in ordine al profilo di cui all’art. 630, lett. a) cod. proc. pen. che viene in considerazione nel caso in esame (“se i fatti stabiliti a fondamento della sentenza o del decreto penale di condanna non possono conciliarsi con quelli stabiliti in un’altra sentenza penale irrevocabile del giudice ordinario o di un giudice speciale”), il concetto di inconciliabilità tra sentenze irrevocabili non deve essere inteso in termini di contraddittorietà logica tra le valutazioni effettuate nelle due decisioni, ma come oggettiva incompatibilità tra gli accertati elementi di fatto (la norma fa riferimento ai “fatti stabiliti” costituenti le premesse storiche delle decisioni) su cui esse si fondano.
Il ricorrente, con il motivo aggiunto pervenuto il 31/05/2025, ha sostenuto anche l’incompatibilità della sentenza ex art. 444 cpp del Gup di Roma con la sentenza del Tribunale di Roma in relazione ai reati contestati alla lett. UU del capo d’imputazione (artt. 56 e 628, comma 1 e 2, c.p.) in quelli più lievi ex artt. 56 -624-625, n. 2, cp, di cui alle lett. TT (artt. 624, commi 2 e 5, cp).
Va però rilevato che tale inconciliabilità non risulta dedotta con l’originaria istanza di revisione, dove al punto 3 si eccepiva «l’inconciliabilità fra giudicati limitatamente al n. 2 della rubrica in ordine al reato ex art. 416 c.p.», ma non anche in relazione agli ulteriori reati di tentativo di rapina e furto.
Tanto implica l’inammissibilità del motivo, non potendosi sottoporre alla Corte di cassazione una questione inedita, in quanto non sollevata davanti alla Corte di appello con l’originaria istanza di revisione.
A ciò si aggiunga che il motivo sarebbe comunque inammissibile, in quanto privo di collegamento rispetto all’unica questione introdotta con l’odierno ricorso, con il quale è stata eccepita l’inconciliabilità delle due sentenze in relazione al solo delitto associativo, ma non anche in relazione ai reati di rapina e di furto, così che tale questione risulta priva di collegamento rispetto al contenuto dell’impugnazione originaria.
Va ricordato, infatti, che «in materia di impugnazioni, la facoltà del ricorrente di presentare motivi nuovi incontra il limite del necessario riferimento ai motivi principali, di cui i primi devono rappresentare mero sviluppo o migliore esposizione, ma sempre ricollegabili ai capi e ai punti già dedotti, sicché sono ammissibili soltanto motivi aggiunti con i quali si alleghino ragioni di carattere giuridico diverse o ulteriori, ma non anche motivi con i quali si intenda allargare l’ambito del predetto “petitum”, introducendo censure non tempestivamente formalizzate entro i termini per l’impugnazione» (Sez. 6, n. 36206 del 30/09/2020, Tobi, Rv. 280294 -01).
Il ricorso è, dunque, inammissibile in relazione ai reati ulteriori rispetto all’associazione per delinquere.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente al reato di associazione per delinquere con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Firenze; dichiara inammissibile nel resto il ricorso.
Così deciso il 18/06/2025